La Fnomceo – Federazione nazionale dei medici – ha rinnovato il proprio organo nazionale chiamato dalla legge ordinistica Comitato centrale. Si tratta dell’organo di governo nazionale dell’ordine dei medici ed è composto da diciassette persone che sono elette dai presidenti degli ordini provinciali, di cui quattro odontoiatri eletti dai presidenti delle commissioni di albo.
Colpisce il fatto che il
nuovo Comitato centrale della Fnomceo sia composto solo da medici e da odontoiatri uomini. Totalmente assenti le donne.
“Quante donne dovrebbero esserci negli Ordini e negli esecutivi per realizzare un equilibrio di genere, considerando che le donne sono oltre il 40 % della popolazione medica? Quali percentuali dovrebbero raggiungere perché siano massa critica, perché la diversità apporti beneficio? Quale percentuale è prevista, in altri ambiti, dalle vigenti leggi?”
Questi interrogativi si ponevano
Antonella Arras e Annarita Frullini su queste pagine nel 2015 dove analizzavano la prevalenza maschile nelle rappresentanze ordinistiche mediche lamentando uno scollamento tra mondo medico, società e leggi sopravvenute proprio in merito alla rappresentanza di genere.
In questi giorni si è aperto il dibattito sulla scomparsa delle donne medico dal comitato centrale della Federazione appena rinnovato (vedi le lettere di
Sandra Morano e di
Maria Luisa Agneni).
E’ a questo punto necessaria una riflessione in quanto stupisce che tutto sia avvenuto proprio all’indomani dell’approvazione della nuova legge degli ordini – in verità avversata dalla Fnomceo – che stabilisce per le elezioni, in attesa dei decreti attuativi, il principio generale
dell’equilibrio di genere e del ricambio generazionale. Questo ovviamente dalla prossima tornata elettorale.
Le normative sulle elezioni di vario tipo impongono, da tempo, la parità di genere. Da anni si parla di “quote rosa” spesso avversate da chi le ritiene antimeritocratiche e anticoncorrenziali.Il principio relativo all’equilibrio di genere è però ormai assodato nelle elezioni di qualunque consesso. I primi di marzo andremo a votare per le elezioni politiche con una nuova (e discutibile anche questa volta!) legge elettorale, il c.d.
Rosatellum (legge 165/2017), che stabilisce, “a pena di inammissibilità” che nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, i candidati siano “collocati secondo un ordine alternato di genere”. Norme similari le troviamo anche in tutte le elezioni degli enti locali.
Vi è da domandarsi a questo punto se sia necessario che la legge statale intervenga con norme sulla parità di genere in organismi che sono pubblici, ma economicamente non dipendenti dalla finanza pubblica. La risposta sembra positiva, atteso il carattere di ente pubblico sussidiario recentemente affermato degli ordini professionali, che non possono non essere informati ai criteri costituzionali sanciti dal secondo comma dell’articolo 3 della Carta costituzionale in merito al superamento delle discriminazioni di fatto.
Preoccupa la mancanza di sensibilità dei protagonisti del sistema elettorale ordinistico su un tema oggi all’ordine del giorno.
Questo avviene anche nei giorni in cui l’Onu ha reso noti i dati della discriminazione di genere delle donne nel mondo che guadagnano il 23% in meno degli uomini (il c.d.
gender pay gap). Situazione definita da
Anuradha Seth dell’Onu come “il più grande furto della storia”.
Avviene soprattutto quando il problema della violenza di genere penetra nel mondo sanitario. I casi di aggressione ai medici donna hanno occupato le cronache di tutti i giornali come il caso di Bari che non possono essere affrontati solo con una logica strettamente securitaria. La Fnomceo poteva dare un segnale e invece procede a rinnovo cancellando le donne dal Comitato centrale (nel Comitato uscente ne era presente una ma almeno era la presidente).
Eppure le sensibilità verso il mondo femminile sono aumentate nelle istituzioni pubbliche. Si pensi alla critica e al cambiamento imposto alla stessa lingua italiana a cui viene contestata la natura “sessuata” e la presunta “neutralità” dell’utilizzo generalizzato del maschile presentato come “universale e neutro” (da “Abbiamo un piano” del movimento femminista
Non una di meno). Ecco allora che siamo ormai abituati a chiamare “assessora”, “sindaca”, “ministra” le donne che ricoprono tali cariche in ossequio alla parità linguistica a costo anche, talvolta, di violentare la lingua per raggiungere l’obiettivo.
Stupisce quindi la mancanza di sensibilità verso il mondo dei medici donna da parte della Federazione degli ordini della più importante, storica e tradizionale delle professioni sanitarie.
Spesso le istituzioni, per tacitare le eventuali critiche, si limitano a percentuali da riserva indiana per le donne tacitando così anche la propria coscienza.. Nella Fnomceo questo 17 a 0 sposa una logica di chi non fa prigionieri, ritenendo, evidentemente che il punto di vista maschile sia comprensivo di tutte le ottiche e l’alternanza di genere verrà applicata solo se imposta da una legge che la stessa Fnomceo, per altro, ritiene da cambiare.
L’assenza di donne nel vertice della Federazione dei medici integra un vero e proprio caso di discriminazione di genere che viene, tra l’altro, combattuto dallo stesso codice di deontologia medica.
Anche il requisito del ricambio generazionale sembra non essersi realizzato vista una generale media superiore ai sessanta anni.
Stupisce il generale silenzio che ha accompagnato questa tornata elettorale su questo aspetto, fatte salve le eccezioni appena citate.
Stupisce anche che, nella generale legittima doglianza professionale relativa alla perdita di
status del medico nella società, nel rapporto con l’utenza, nell’erosione della propria centralità nel mondo delle professioni sanitarie e nei fiumi di inchiostro versati con pensosi articoli su “Questioni mediche” e dintorni non si sia spesa una parola sull’anacronistico e sempre più spinto sessismo istituzionale.
Per altro siamo in un anno simbolo per i diritti delle donne: il quarantennale dell’entrata in vigore della legge sull’interruzione della gravidanza che sancì ufficialmente quella auspicata separazione tra sessualità e procreazione che costringeva le donne al destino, considerato fino ad allora inevitabile, di mamme e angeli del focolare.
Dunque i medici nei loro vertici istituzionali vengono rappresentati da una compagine di soli uomini maturi e a fine carriera.
Dalle prossime elezioni questo non sarà più possibile e ci si domanda se una istituzione dell’importanza della Federazione nazionale degli ordini dei medici potesse mostrare un maggiore equilibrio nella rappresentanza a prescindere dagli obblighi di legge.
E’ vero che il sistema elettorale attuale, assolutamente inadeguato, non permette un’elezione diretta del Comitato centrale e non la permetterà neanche la legge Lorenzin. E’ allora sufficiente l’accordo politico che coinvolge direttamente i presidenti provinciali. Sarebbe decisamente diverso permettere ai professionisti di votare direttamente per il Comitato centrale: a quel punto, difficilmente, una lista potrebbe presentarsi come totalmente monogenere!
Non possiamo che concludere, comunque, salutando positivamente le innovazioni della recente legge Lorenzin in merito al nuovo sistema elettorale che eviterà scivoloni di immagine come quello appena rappresentato.
E’ ben chiaro che queste note non sono polemiche nei confronti di coloro che sono stati appena eletti – che non conosco e a cui auguro buon lavoro – ma verso un sistema che non riesce da solo a correggere le proprie storture e le proprie iniquità.
Luca Benci
Giurista