Manca il riconoscimento di “lavoro usurante”, ma per gli infermieri è comunque arrivata una buona notizia. Dal 17 giugno al 15 luglio, per i lavoratori in determinate condizioni, sarà possibile di presentare la domanda per la cosiddetta “Ape sociale”, che darà la possbilità di essere accompagnati alla pensione prima di raggiungere l’età e i requisiti di legge. Una indennità che vale come la rata mensile di pensione al momento dell’accesso alla prestazione (se è meno di 1.500 euro) o uguale a 1.500 euro, se la pensione è pari o maggiore di questo importo.
“Ci siamo battuti a lungo – ha detto
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi - per far riconoscere alcuni aspetti della nostra professione come lavoro usurante e non ci arrenderemo, anche se la strada appare complessa. Per ora abbiamo ottenuto di essere stati inseriti dal Parlamento tra i lavori gravosi. E’ il primo passo positivo che si concretizza. Diciamo di aver vinto una battaglia, nella speranza di poter vincere più in là anche la guerra: non si può fare una questione di numero di ore per i turni di notte – sono quelli che di più caratterizzano i lavori usuranti – quando chi li assolve ha le responsabilità che hanno gli infermieri e lo stress lavorativo – altro parametro per considerare un lavoro usurante – che ne consegue”.
La presidente Ipasvi spiega che “turni massacranti come quelli a cui sono sottoposti ormai gli infermieri si traducono per loro secondo le evidenze cliniche e numerosi studi internazionali in disturbi del sonno, problemi digestivi, stress, aumento di peso, malattie dell’apparato gastroenterico, effetti sulla sfera psicoaffettiva e disturbi cardiovascolari con un aumento del 40% del rischio di malattie coronariche. Conseguenze classiche dei lavori usuranti”.
“Gli infermieri oltre i 63 anni e fino all’età della pensione – ha aggiunto - non sono molti, circa 10-12 mila. Tuttavia al di là della quantificazione economica che l’Ape sociale può eventualmente concedere ad alcuni di loro, è davvero importante che ci sia intanto e solo per il momento una codifica ufficiale della gravosità della nostra professione”.
“Anche la Giurisprudenza – ha concluso Mangiacavalli - sta sottolineando la difficoltà del lavoro negli ospedali che non si configura davvero solo come gravoso: la recente sentenza della Cassazione (14313/2017, Sezione Lavoro) che ha condannato un’azienda sanitaria al risarcimento del danno a un professionista sanitario morto di “superlavoro” alla fine degli anni ’90 è un segnale che chi lavora per tutelare la salute degli altri davvero mette a rischio la propria. Un lavoro più usurante di così è difficile da trovare direi”.