“Da sempre – sottolinea Taranto - sosteniamo che qualsivoglia intervento ‘centrale’ sui piani di rientro deve avere immancabilmente due ordini di valutazione, altrettanto determinanti: l’esigenza di razionalizzare la spesa e di riportare i bilanci in pareggio con quello, irrinunciabile, di continuare a garantire i livelli essenziali di assistenza ai cittadini di quelle regioni sottoposte ad ‘amministrazione controllata’ o ‘commissariate’”. “Ciò che invece si sta via via determinando – incalza - è una gestione che fa sopravanzare valutazioni politiche, oltretutto spesso non oggettive, a quelle ‘tecniche’. Mettere in discussione il rapporto di lavoro di circa 350 professionisti della sanità pugliese (medici ed infermieri) sulla base della sola valutazione economica (oltretutto tutta da verificare) e non sul fatto che senza quei 350 operatori i livelli essenziali di assistenza per i cittadini di una intera regione sono violati, non garantiti, è il risultato di una scorretta interpretazione dello strumento del piano di rientro. Se, così come dimostrato, senza quelle lavoratrici e quei lavoratori, chiudono servizi, ambulatori, reparti ospedalieri non esiste valutazione di opportunità economica che tenga: i LEA prima di tutto. E di questi esempi ne potremmo fare in tutte le regioni sottoposte a piano di rientro o in amministrazione “controllata”: dalla Calabria alla Campania, dall’Abruzzo al Lazio”. In conclusione, per la sindacalista “è vero che in questo Paese è in atto da anni una vera e propria operazione di destrutturazione del Servizio Sanitario Nazionale e dei suoi principi di universalità e solidarietà, ma farlo attraverso strumenti “tecnici”, tavoli “tecnici”, procedure “tecniche” è, non solo sbagliato, ma anche ipocrita. La gestione coordinata dei deficit sanitari regionali va riportata entro i giusti limiti. E, comunque, il diritto al livello essenziale di assistenza non può essere messo in discussione”.
4 agosto 2011
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