L’indagine promossa da Fiaso, che ricordiamo rappresenta i Direttori Generali delle aziende sanitarie, quindi l’espressione della politica delle regioni, non poteva essere diversa dalle attese per due ordini di motivi: perché, per “difesa di ufficio”, non possono non dare un messaggio rassicurante sulla tenuta delle strutture sanitarie e al tempo stesso sono costretti a mettere le “mani avanti”, evidenziando la necessità di intervenire prima che il sistema salute collassi definitivamente, perché non più in grado di reggere con soluzioni tampone.
La questione sollevata, quella dei processi organizzativi per effetto della normativa europea in tema di orario di lavoro, non può essere ridimensionata alla semplice segnalazione di “qualche difficoltà” nelle sale operatorie e nei servizi di emergenza perché, se includiamo le terapie intensive e sub intensive e i reparti di degenza, le aree maggiormente interessate dai problemi organizzativi rappresentano ben l’81,62%; in altre parole quasi tutti i settori dell’assistenza ospedaliera.
Ammettere che poche aziende sanitarie hanno assunto personale e che gran parte di esse sono state costrette ad adottare interventi tampone riprogrammando i processi organizzativi, in alcuni casi con provvedimenti di dubbia efficacia, evidenzia le palesi difficoltà insite in gestioni aziendali improntate solo ed esclusivamente al contenimento dei costi.
Se la Fiaso non ha il coraggio di denunciare che esistono gravi carenze di personale, che i finanziamenti per effetto dei farmaci e tecnologie innovative non sono più sufficienti, che le ingerenze della politica diventano sempre più insopportabili, che la situazione degli ospedali italiani, in termini di sicurezza, è divenuta esplosiva, un Sindacato come la Cimo ha il dovere di farlo. Non è più tempo di mascherare la carenza di personale facendo leva su provvedimenti finalizzati al “recupero dell’efficienza”; questo concetto è abusato da troppo tempo vista la lunga “cura dimagrante” che hanno subito le strutture sanitarie.
Certo, nessuno immaginava che i tempi di attesa sarebbero aumentati in modo considerevole perché gli interventi adottati nelle aziende sono stati finalizzati ad assicurare il mantenimento dei livelli quantitativi delle prestazioni; viceversa sarebbe stato interessante verificare l’efficienza clinica e l’efficacia delle cure alla luce degli stessi provvedimenti.
Oggi la partita, e la Fiaso lo sa bene, si gioca sugli standard di personale e le attuali premesse non lasciano presagire nulla di buono ad iniziare dall’idea di partire da un sistema basato sulle isorisorse piuttosto che sulla complessità delle patologie.
Cimo è pronta, da subito, ad un franco confronto sulla tematica nella consapevolezza che occorre reingegnerizzare le aziende, non attraverso interventi tampone, ma nell’ottica di un reale ammodernamento delle aziende sanitarie; che occorre garantire le giuste risorse e non alimentare ulteriori sacche di precariato; soprattutto che occorre uscire dal concetto di medicina amministrata e ridare al medico quell’autonomia professionale che ha oramai perso, per garantire la semplice presenza fisica a guardia e non a cura del paziente.
Guido Quici
Vice Presidente Vicario Cimo