Un recente articolo pubblicato su
www.nursetimes.org ha denunciato una situazione di demansionamento nell’ASL 2 Savonese a danno del comparto infermieristico a seguito dell’introduzione da parte del coordinatore infermieristico di un modello organizzativo basato sul principio del primary nursing.
Si parla di declassamento del ruolo dell’infermiere costretto a svuotare pappagalli, a riordinare i letti e invitato ad ascoltare in assoluto “silenzio” le consegne da parte di un altro collega. Si parla di “danno all’immagine professionale” ed “alla dignità personale del lavoratore”, connesso al comportamento illecito della parte datoriale così come di “vera e propria mortificazione del lavoratore, lesiva della sua dignità e dell’immagine personale e professionale”.
Non volendo entrare nel merito della questione, rimango profondamente colpita dalla veemenza di un simile articolo e il pensiero va inevitabilmente alla persona oggetto dell’accusa. Perché oggi è un coordinatore infermieristico reo di aver applicato regole ritenute “errate”, domani è il medico reo di non aver tempestivamente diagnosticato una malattia o di aver prescritto una terapia inappropriata o un infermiere che ha erroneamente somministrato una terapia.
Tutti gli “accusati” finiscono inevitabilmente alla gogna in quanto ritenuti gli unici e i principali responsabili dell’errore. Ma se fossero solo semplicemente la punta dell’iceberg? Se la loro azione fosse solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso e la root cause ossia la causa generatrice è da ricondurre a decisioni manageriali o scelte organizzative non corrette?
Tutte le attività dell’uomo comportano dei rischi e possono indurre ad errori. In ambiente assistenziale gli errori assumono particolare importanza in quanto possibile causa di danno alle persone. Gli errori in sanità possono essere “attivi” cioè commessi da operatori in diretto contatto con il paziente e errori “latenti” cioè remoti nel tempo e riferibili a decisioni di progettazione del sistema quindi errori di pianificazione. Quelli latenti sono quindi errori di origine organizzativa.
Frequentemente nel corso della notte, in varie realtà italiane sono presenti due sole unità infermieristiche in assenza dell’operatore socio sanitario a volte anche per 30 o più pazienti. E allora il demansionamento notturno della figura infermieristica obbligato necessariamente a svuotare i pappagalli o a rifare i letti dipende dal coordinatore infermieristico o è un errore del sistema conseguente al progressivo e costante depauperamento delle risorse in sanità? Se un infermiere si rifiutasse di “svuotare un pappagallo” ad un paziente, in quanto demansionato della sua professionalità, non mancherebbe l’articolo 1 del suo codice deontologico che lo definisce responsabile dell’assistenza infermieristica e quindi erogatore di cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo (articolo 3)?
Lo stesso concetto vale per il medico. Quale medico non è oggi giorno demansionato nella sua figura professionale a salvaguardia della cura del paziente? Quante volte il medico oltre a prescrivere è assistente sociale, infermiere o psicologo con lo scopo esclusivo di “perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo della sofferenza, con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale (articolo 2 codice deontologico) o anche solo semplicemente per mancanze di risorse?
Inoltre gli errori prescrizionali o gli errori di valutazione di un medico non possono essere spesso anche la conseguenza di un eccessivo carico lavorativo in mancanza di risorse? Il fenomeno tutto italiano degli appoggi fuori reparto, la mancata riorganizzazione territoriale che frequentemente determina un sovraffollamento notturno e festivo nei pronto soccorso non sono causa di un sovraccarico lavorativo che può indurre un errore attivo dell’operatore ma conseguente a pecche del sistema e quindi a falle nella pianificazione?
Infine gli operatori sanitari impegnati quotidianamente sanno benissimo cosa significa lavorare in équipe e sono ben consapevoli che spesso la gestione sul malato per essere davvero efficace non può basarsi su rigidi paletti di competenze. Se ognuno lavorasse esclusivamente sulle proprie competenze il malato sarebbe “solo” al centro del complesso di cura.
Troppo spesso noi operatori sanitari ascoltiamo “proclami” di cambiamenti e riorganizzazioni che poi nella pratica raramente avvengono. A volte basterebbero piccoli cambiamenti come ad esempio stabilire per legge un numero massimo di pazienti per medico di guardia o stabilire un numero massimo di pazienti per unità infermieristiche per indurre modifiche epocali.
E allora evitiamo di imputare al singolo la responsabilità di simili atti perché non è il singolo, ma è il sistema la “root cause” del demansionamento di tutte le figure sanitarie.
Paola Gnerre
Componente Direttivo Nazionale Anaao Giovani