La Corte di Cassazione – VI sezione penale, sentenza 5 luglio 2016 (depositata il 29 settembre), n. 40753 - interviene sulla problematica relativa al diritto del paziente all’interno di un pronto soccorso di essere visitato e dell’obbligo del medico di visitarlo approfondendo i rapporti tra il triage e la prestazione di pronto soccorso vera e propria. In altre parole potremo domandarci se un paziente, una volta effettuato il triage, possa vedersi differita la prestazione per decisione discrezionale del medico di pronto soccorso non impegnato in altre urgenze.
Procediamo per gradi analizzando prima la vicenda processuale e andando poi al relativo commento.
Il fatto e la vicenda processuale
Una signora si presenta al pronto soccorso alle 4,30 del mattino lamentando un dolore al braccio sinistro con un intensità pari a 9 (nella scala da 1 a 10) a seguito di una caduta accidentale. L’infermiera del triage gli attribuisce un codice verde.
La stessa infermiera chiama il medico – è un piccolo pronto soccorso – che si era recato a riposare. Il medico risponde dando indicazione verbale di somministrazione di un antidolorifico, ritiene di non procedere a visita e demanda all’infermiera la comunicazione con la paziente chiedendogli di rimanere al pronto soccorso fino alle ore 8 per effettuare controlli radiografici. In quel momento al pronto soccorso non c’erano altri pazienti e il medico di guardia aveva terminato l’ultima visita alle ore 3 del mattino.
La paziente torna a casa e si ripresenta alle 8 in pronto soccorso dove viene visitata da altro medico e alle ore 10 le veniva eseguita la radiografia con la quale gli veniva diagnosticata una frattura scomposta dell’omero sinistro. Il giorno successivo veniva operata.
Nei primi due gradi di giudizio il medico viene condannato per rifiuto di atti d’ufficio.
Nel ricorso per Cassazione il medico operava dei distinguo:
- non corrispondeva al vero il fatto di essersi rifiutato di visitare la donna, bensì di averne soltanto “disposto il differimento” senza indicare alcun orario;
- non corrispondeva al vero il fatto di avere rimandato la visita al solo scopo di rimettere l’incombenza al medico subentrante come sostenuto dalle infermiere;
- aveva correttamente prescritto i presidi farmaceutici necessari a curare i sintomi del dolore e dilazionato la visita medica della paziente, in quanto si trattava di un caso con codice verde, dunque non urgente;
- che erano necessari ulteriori accertamenti radiologici che potevano essere effettuati in mattinata;
- che non esiste un obbligo di legge che ponga in capo al medico l’obbligo giuridico di visitare immediatamente, o in un tempo ridotto o nel rispetto di una tempistica determinata, il paziente che accede al pronto soccorso con attribuzione di codice verde attribuito al triage;
- che il medico ha il potere discrezionale di differire la visita di una paziente che si presenta al pronto soccorso;
- che i protocolli ospedalieri – in questo caso quelli di triage - non hanno efficacia vincolante.
La Corte di Cassazione ha dichiarato infondato il ricorso sulla base delle argomentazioni che seguono. In primo luogo opera la conferma della sussistenza del reato di rifiuto di atti d’ufficio in quanto il carattere di urgenza ricorre nel caso in cui al medico di guardia “sia richiesto di prestare il proprio intervento da personale infermieristico e medico con insistenti sollecitazioni, non rilevando che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva”.
Da questo principio discende il fatto che il paziente che si presenta al pronto soccorso ha “il pieno diritto” a cui corrisponde il “correlativo dovere del sanitario (medico) di turno” a essere sottoposto a visita medica. Per i supremi giudici il codice di triage all’atto dell’accettazione vale soltanto a definire un ordine di visita fra più pazienti in attesa, ma non ad esentare il medico dal dare corso alla visita stessa laddove sia, la patologia valutata al triage, non grave. In particolare, nel caso di specie, si trattava di persona anziana, con dolore acuto (intensità 9 su scala di 10) e a fronte delle reiterate sollecitazioni del personale infermieristico, definito in sentenza come personale “qualificato e in grado di valutare l’effettiva necessità della visita immediata da parte del medico”.
Continua la Corte affermando che il differimento di una visita potrebbe essere ritenuto legittimo solo se l’esame radiologico non avrebbe potuto essere espletato durante la notte. Correggendosi e integrandosi la Corte prosegue affermando che a prescindere da questo aspetto, era dovere del medico di turno del pronto soccorso apprestare le prime cure, verificare la gravità della situazione e “formulare una prima diagnosi”.
Conferma quindi della condanna per rifiuto di atti d’ufficio in quanto il medico aveva il “dovere di porre in essere quale medico di turno del pronto soccorso” la visita dovuta in quanto richiesta dal personale infermieristico, “in una situazione di oggettivo rischio per la paziente, in considerazione dell’età e dell’intensità del dolore da ella riferito”.
Commento
Ricordiamo in primo luogo in cosa consiste il reato, ex art. 328 codice penale di “rifiuto di atti d’ufficio”. Si concretizza quanto un pubblico ufficiale – tale è il medico di pronto soccorso – o un incaricato di pubblico servizio – tale è un infermiere di pronto soccorso – “rifiuta indebitamente” un atto del suo “ufficio” che per motivi di “sanità” deve essere compiuto senza ritardo. Non è sufficiente la mera omissione, è necessario il rifiuto che in genere, come nel caso di specie, si è manifestato con un diniego.
Per quanto riguarda le conseguenze non è questa la sede per discutere delle annose questioni dottrinarie e giurisprudenziali sulla qualificazione del reato e in particolare se si tratta di un “reato di pericolo” o un “reato di danno astratto”: ci interessa invece sottolineare che la norma tutela di per sé, principalmente, il buon andamento della pubblica amministrazione e non si preoccupa di subordinare l’effettiva sussistenza del reato a un eventuale danno occorso al paziente per il rifiuto. Infine il rifiuto deve essere “indebito” – non giustificato quindi – e essere inerente all’attività del suo “ufficio” (in questo caso di medico in turno al pronto soccorso).
Nel caso in esame è del tutto evidente il rifiuto del medico di pronto soccorso e la pretestuosità delle motivazioni addotte e riportate nel ricorso per Cassazione.
La condotta deve integrarsi con un atto che “deve essere compiuto senza ritardo”. Atto dell’ufficio e correlativo obbligo sono scattati, quindi, dall’effettuazione del triage e dalla richiesta del personale infermieristico. Da questa scansione di fatti è scaturito il “rifiuto”.
In particolare è interessante approfondire la problematica relativa al diritto del paziente che si presenta al pronto soccorso. La Cassazione – esaminando il caso che abbiamo visto – afferma che il paziente ha il “pieno diritto” di essere visitato e il medico ha il correlativo dovere di visitarlo. E’ un affermazione del tutto corretta soprattutto tenendo conto il decisum.
Non corrisponde inoltre al vero il fatto che competa al medico un differimento della prestazione su base discrezionale al di fuori delle esigenze di servizio (es. sovraffollamento al pronto soccorso) come affermato dalla incauta difesa del medico.
Non corrisponde al vero il fatto che il medico possa limitarsi a indicare verbalmente, agli infermieri di turno, la somministrazione di farmaci antidolorifici senza la previa visita medica. Diverso sarebbe se il pronto soccorso in questione fosse inserito all’interno dei c.d. “ospedali senza dolore” (non sembra da quanto riportato in sentenza) dove la valutazione della scala del dolore e l’esistenza dei protocolli possono vicariare la prescrizione medica di farmaci antidolorifici. Il tutto però, presuppone, l’attesa al pronto soccorso o più correttamente, l’attesa al triage, a fronte di ambulatori di pronto soccorso impegnati nel trattamento di altri pazienti con codici di priorità/gravità più elevati. Come abbiamo visto non era questo il caso.
L’ultima affermazione da approfondire è relativa alla non vincolatività dei protocolli ospedalieri. Formalmente gli ambiti discrezionali relativi alla non aderenza da parte del professionista sanitario alle “linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica” (così l’attuale formulazione della “legge Balduzzi” del 2012) non sono in effetti vincolanti, ma solo elementi che servono per la determinazione della responsabilità penale e civile. In una prospettiva de jure condendo, con l’approvazione della legge sulla responsabilità professionale – c.d. “ddl Gelli” – diventerebbero obbligatorie le “raccomandazioni previste dalle linee guida” e le “buone pratiche clinico assistenziali”. Ci sarebbe da domandarsi alle raccomandazioni ministeriali sul triage possa essere riconosciuto il rango di “buona pratica”.
Ad oggi verosimilmente sì – come è noto non esiste una definizione univoca di buona pratica – se si sposa il concetto di buona pratica intesa come attività rivolta per garantire la sicurezza del paziente. La
raccomandazione ministeriale assume quindi il rango di “buona pratica per la sicurezza delle cure”. Il “ddl Gelli” però le trasformerà in buone pratiche “clinico-assistenziali” e difficilmente le raccomandazioni ministeriali possono essere correttamente incasellate in questa categoria.
Non vi è dubbio però che l’obbligatorietà della visita medica all’interno di un pronto soccorso non sia legata all’esistenza di strumenti codificati comunque denominati – protocolli, linee guida, buone pratiche ecc. – bensì dalla natura in re ipsa dell’attività del pronto soccorso. Per concludere il punto la prestazione della visita medica è intrinsecamente e obbligatoriamente dovuta al paziente una volta espletate le urgenze maggiori e nel rispetto delle urgenze minori. In questo caso il pronto soccorso era vuoto e la prestazioni assolutamente dovuta.
E’ però lecito domandarsi se il “pieno diritto” del paziente possa essere costruito anche a fronte di un quadro clinico inesistente o comunque non da pronto soccorso. Ritorna, periodicamente, la vexata quaestio dei codici bianchi e delle prestazioni improprie. Anche queste sempre fanno scattare l’obbligo della prestazione di visita medica da parte del medico del pronto soccorso? Le soluzioni individuate – laddove individuate – sono state varie e sono principalmente di natura organizzativo-professionale: gli ambulatori dei codici bianchi demandati ai medici di medicina generale e, nel caso della Regione Toscana, in alcuni pronto soccorso, l’istituzione della metodica del
See and Treat consistente nell’attribuzione a personale infermieristico di risoluzione delle “urgenze minori”.
In questi casi permane l’obbligo di visita e di trattamento, ma non in capo al medico di pronto soccorso in quanto l’ordinamento lo attribuisce ad altri medici o agli infermieri. Non è invece ad oggi assolutamente configurabile sulla carta il triage out consistente nella dimissione del paziente senza la previa visita medica anche in casi di manifesta inappropriatezza.
Luca Benci
Giurista