Dura la vita delle donne medico. Soprattutto se giovani. Le opportunità di avanzamento di carriera sono scarse. Tre camici rosa su dieci ritengono che le proprie competenze vengano utilizzate solo in parte o per nulla. Quasi la metà ha rapporti minimi o inesistenti con i propri capi. Con i colleghi va un po’ meglio: sette camici rosa su dieci sostengono di avere rapporti di tipo collaborativo. E ancora, più di cinque donne medico su dieci si sentono sovraccaricate di lavoro e trascurano la loro vita privata, specialmente se sono separate, divorziate o sole e con attività legate ad orari prestabiliti poco flessibili. Le più vessate? I medici di medicina generale e le specialiste ambulatoriali e i camici rosa che lavorano negli ospedali. Come se non bastasse quasi una dottoressa su quattro confessa di aver ricevuto offese o offerte sessuali inopportune. Il 4% di aver subito violenze fisiche. Nonostante ciò, sei dottoresse su dieci sono soddisfatte del proprio lavoro. Ad essere appagate sono soprattutto le over 54 e le vedove.
A scattare la fotografia dei camici rosa è il Rapporto “Donne medico: indagine su lavoro e famiglia, stalking e violenze”, realizzato dall’Ordine dei medici della provincia di Roma che con i suoi oltre 41mila iscritti rappresenta il 10% di tutta la categoria. Lo studio realizzato su un campione rappresentativo di 1.597 donne medico in collaborazione con la sezione romana dell’Associazione italiana delle Donne Medico, è stato presentato oggi alla presenza di Rosy Bindi, Vicepresidente della Camera dei Deputati, Paola Binetti, membro della XII Commissione Affari Sociali e Ignazio Marino Presidente della Commissione di inchiesta del Senato sull’efficacia e l’efficienza del Ssn.
“Questa indagine – ha commentato il Presidente dell’Ordine,
Mario Falconi – conferma che era oltremodo opportuno esplorare il microcosmo delle donne medico. Avevamo intuito da tempo che una percentuale rilevante di colleghe avesse un profondo disagio di lavoro e di relazioni, fatto di discriminazioni, vessazioni ed anche violenze. Una parziale sorpresa l’abbiamo avuta, però, quando abbiamo presi atto amaramente che le donne medico hanno, in alcuni casi, come ad esempio nelle aggressioni fisiche vere e proprie, percentuali sensibilmente superiori rispetto a quelle delle donne italiane in generale”. Per questo Falconi ha rivolto un appello alle istituzioni e ai colleghi uomini: “Lasciamo alla politica il compito di interpretare i dati e assumere le decisioni conseguenti. Senza dimenticare, però, che anche il mondo medico maschile ha un’occasione per riflettere e che deve dare il proprio contributo affinché le donne riescano ad avere nella realtà quotidiana quelle pari opportunità che sulla carta sono loro dovute”.
“Emerge con molta chiarezza che le donne medico sono discriminate come tutte le donne italiane – ha detto
Rosy Bindi –, ma lo sono un po’ di più perché la medicina è una realtà di potere, dove gli uomini hanno più vantaggi. Il fatto che circa la metà delle professioniste in camice rosa lamenta molestie, soprattutto sul posto di lavoro dimostra l’uso del potere professionale degli uomini, che spesso ricattano le donne anche per motivi di carriera. Per questo noi donne dovremmo credere più in noi stesse, avere più coraggio ed essere più solidali”.
“In Italia – ha sottolineato
Ignazio Marino – siamo molto lontani dalla parità in tutte le professioni: del resto la prima donna in magistratura è entrata nel 1963. Se la velocità nel raggiungimento delle pari opportunità rimane con l’attuale trend, nel nostro Paese la parità di primari maschi e femmine si raggiungerà solo nel 2064, in sanità nel 2094”. Per arrivare anche in medicina ad un’eguaglianza di fatto tra i due sessi, la strada da seguire è quella della cultura meritocratica: “Se si applica davvero il merito – ha aggiunto Marino – non c’è bisogno di introdurre quote che decidano per legge quante posizioni devono essere occupate dalle donne”.
L’indagine in sintesi
Camici “discriminati”. Le donne medico che ritengono di essere discriminate rappresentano addirittura i due terzi del totale. Il 27,1% ritiene di esserlo nell’ambiente di lavoro in generale e il 37,5% soltanto nel raggiungimento dei livelli apicali. La discriminazione è avvertita in maggior percentuale dalle giovani, da quelle a inizio carriera e da coloro che lavorano nelle strutture ospedaliere private. Le donne medico, in particolare quelle più giovani, ritengono di avere scarse opportunità di avanzamento professionale e non hanno un’elevata soddisfazione per il proprio ruolo e lavoro. E ancora, oltre la metà delle donne reputa di avere un sovraccarico di lavoro, lo denunciano in particolare le donne separate, divorziare o sole. In questi casi il lavoro diventa l’impegno prioritario mettendo il secondo piano impegni di altra natura personale e sociale. Così circa il 55% trascura le relazioni amicali e la cura di se stessa, il 18,6% i divertimenti, il 10% trascura il rapporto di coppia e il 5,5% quello con i figli.
I camici rosa e le stanze dei bottoni. Il disagio con i propri vertici direzionali è elevato. Circa la metà ha rapporti minimi o nulli con le gerarchie superiori. Sono percentualmente di più le donne medico di medicina generale o specialisti ambulatoriali a pensarla così, probabilmente perché operano nei propri studi senza avere, molto spesso, il conforto del confronto con altri medici.
Solo poco più della metà avverte la stima dei superiori e/o delle figure di riferimento, ma quattro donne su dieci parlano di formalismo. Denunciano addirittura ostilità le donne medico tra i 55 e i 64 anni, nubili e vedove che lavorano negli ospedali o nelle strutture convenzionate (il 6%)
Avere meno incarichi, e indennità accessorie, è fonte anche dei divari retributivi tra uomini e donne: la pensa così il 34,1%.
Il quadro viene confermato quando si va ad indagare in che misura le donne pensano di essere considerate sotto il profilo professionale. Il 39%, rappresentato da donne a metà carriera, nubili, medici di medicina generale, specialisti ambulatoriali, dipendenti di strutture convenzionate e chi opera in un ruolo clinico, afferma che i superiori non tengono conto dei loro suggerimenti. Se poi si indaga direttamente in che misura le donne sono coinvolte nella formazione e nell’attuazione dei programmi di lavoro, più dell’80% dichiara di essere poco o per nulla partecipe.
Invece con i colleghi pari grado le donne medico vivono un’esperienza lavorativa in via generale di collaborazione. Un dato che conferma il fatto che i contrasti appaiono quando si configurano aspetti competitivi che possono nascere in tema di incarichi, carriera, coinvolgimento decisionale, rapporti gerarchici.
Stalking e violenza. Quasi una dottoressa su quattro confessa di aver ricevuto offese od offerte sessuali inopportune (46,4%). Il 4% confessa di aver subito violenze fisiche. Un dato enorme considerato che, in assoluto, tra le donne italiane la percentuale è pari al 2,1%.
Tra le over 65 solo il 25% dichiara di non aver subito un qualche tipo di violenza. Per il 6,8% delle donne l’episodio di molestia è avvenuto negli ultimi 12 mesi, per il 24,7% negli ultimi tre anni e per il 68,5% oltre tre anni fa. Nel 57,5% dei casi si tratta di episodi sporadici, nel 30,6% di casi ripetuti, ma l’11,9% parla di episodi molto frequenti. Ad essere più spesso vittime sono soprattutto le donne dai 35 ai 54 anni, le nubili e le separate o divorziate. La gran parte delle molestie si verificano sul posto di lavoro. Non a caso nella maggior parte dei casi (41%) il molestatore è il datore di lavoro o un superiore. Seguono un estraneo (23,7%), un collega (25,4%), un amico (4,1%), compagni o fidanzati (3,2%).
I motivi? Per il 27,9% delle donne il molestatore voleva attrarre la sua attenzione, mentre per il 20,6% voleva metterla in cattiva luce. Naturalmente le molestie hanno ricadute sul comportamento delle vittime: il 34,9% delle professioniste ha cambiato il suo modo di fare sul luogo del lavoro, il 17.7% ha assunto atteggiamenti difensivi e il 14,3% ha dovuto cambiare le proprie abitudini di vita e di lavoro.
Tutti comportamenti cha hanno ricadute pesanti sulla psiche delle dottoresse. Quasi il 40% denuncia uno stato generale di stress, circa il 27% teme di vivere altre esperienze analoghe e sviluppa maggiore aggressività, il 17% circa vive in uno stato d’ansia e panico ed è preoccupata per la propria sicurezza personale. Un 17,4% vive a seguito delle molestie subite una vita più solitaria essendosi isolata dalla vita di relazione e il 10,2% dichiara di perdere giorni di lavoro. Circa un quarto delle donne medico che hanno subito violenze ne parla, chiedendo aiuto, soprattutto ai familiari, ai parenti e agli amici fidati. Ma la maggioranza non ne parla con nessuno (43,8%). Solo il 10,2% si rivolge ad un legale, alle forze dell’ordine (7,5%) o a uno psicologo (7,4%). Le donne vittime, in sostanza, tendono a non esternalizzare la molestia.
I desiderata dei camici rosa. Cosa auspicano le donne medico per conciliare al meglio il lavoro con la famiglia e la propria persona? Il 34,5% vorrebbe l’introduzione di tempi di lavoro più flessibili; il 29,2% chiede servizi per l’infanzia e gli anziani; il 27,2% una maggiore condivisione del lavoro familiare con gli uomini; il 6,6% indennità economiche ai nuclei familiari. Le giovani nubili, a inizio carriera, e quelle che lavorano nell’ospedalità privata, sono tra quelle che più chiedono tempi di lavoro flessibili, mentre i servizi sociali sono invocati dalle over 65.