Dura reazione del Sindacato dei Medici Italiani rispetto a "la multa del Garante della Privacy con 30.000 euro cadauno per non avere rispettato la normativa che prevede la conservazione in luogo sicuro delle credenziali che permettono l'accesso ai sistemi telematici". Il provvedimento riguarda la vicenda giudiziaria trae origine da una denuncia del comune di Roma, a cavallo tra il 31 dicembre 2014 ed il 1 gennaio 2015 , quando numerosi vigili urbani (polizia municipale) risultarono malati o assenti dal servizio a vario titolo e pertanto temporaneamente inabili al lavoro, come dalle varie fattispecie di certificazioni emesse e problemi rilevati. “Nello specifico della vicenda in oggetto - spiega
Cristina Patrizi, responsabile regionale SMI Lazio Medicina generale -, c’è stato un pronunciamento del Garante che ha comminato una sanzione amministrativa di 30 mila euro a 19 colleghi titolari di AP che avrebbero incautamente trattato le loro pw, consentendo la emissione di certificazione da parte di colleghi sostituti. Tali colleghi sono stati rinviati a giudizio con violazione art 169/dlg 196/2003 e violazione dlegs 82/2005 ( CAD codice amm. digitale). I sostituti, invece, sono stati rinviati a giudizio con l' addebito degli articoli 350 cpp ; art 494 cp e 615 ter cp. ( sostituzione di persona etc). Per i casi dei quali parliamo in questa memoria, non si tratta di casi di falso ideologico (certificati rilasciati in assenza del riscontro obiettivo del paziente), ma solo di utilizzo di credenziali di altri e certificazione altresì correttamente valutata sotto il profilo clinico deontologico, mentre i medici sostituti sono chiamati a rispondere penalmente di reati quali: sostituzione di persona; violazione sistema informatico”.
Per Patrizi, tuttavia, “i medici erano nelle condizioni di dovere accedere ai profili personali dei titolari, per potere adempiere compiutamente alle loro funzioni cliniche, cosa che non avrebbero potuto fare in assenza dei dati clinici dei pazienti medesimi, il che non configura la violazione del sistema informatico né tanto meno la 'Sostituzione di persona'. Queste le aberrazioni della burocrazia sulla privacy e le conseguenze delle vicende mediatiche romane sulla certificazione di malattia per i vigili urbani, che possono mettere a rischio la stessa continuità delle cura tra medico titolare e sostituto, negli studi dei medici di famiglia”.
“Cosa è realmente accaduto nel maggior parte dei casi dei quali parliamo - spiega Patrizi - e per i quali chiediamo un intervento chiarificatore e di riflessione a chi di competenza? Nessuno ha ceduto Utenza e Password di accesso al SISTEMA TS, che è la porta di accesso individuale alla certificazione di malattia, ai sensi delle vigenti normative italiane, bensì l'accesso ai propri gestionali di studio (che risulta essere inevitabile laddove il sostituto non sia stato preventivamente registrato e autorizzato dal titolare) ha comportato per DEFAULT e senza violazione delle utenze e PW di sistema TS, la emissione di certificazione di malattia la quale risulta, in tale maniera, emessa dal titolare assente”.
“Ricordando certamente – prosegue Patrizi -, quale imprescindibile e non derogabile dovere professionale, quello stabilito dall' Art. 24 del Codice Deontologico, sugli obblighi certificatori di riscontro obiettivo e di diligente osservazione del dato clinico anamnestico, vorremmo trovare un modus operandi formalmente corretto sia sotto il profilo giuridico che sotto il punto di vista della tutela del diritto alla privacy per chiedere la derubricazione o comunque la modifica di quegli aspetti del codice che hanno portato a tale situazione: ammende pesantissime superiori al 40-50% dell'importo annuo lordo delle competenze o addirittura addebiti penali. I professionisti sia titolari di convenzione per la Assistenza Primaria, che i giovani sostituti, magari ancora inesperti della complessa situazione sia certificatoria che di utilizzo dei diversi gestionali clinici di raccolta dei dati, ebbene, non si devono trovare a rispondere di pesanti ipotesi di reato come succitato, per aver inviato una certificazione altresì formalmente correttamente evinta, utilizzando un profilo ID ( utenza e password) attribuito al collega che si sostituiva. Medici, quindi, mai altrimenti incappati in alcuna vicenda giudiziaria, trattati e valutati senza alcuna attenzione specifica all' accaduto ma intrappolati in un sistema mediatico (‘certificazioni fasulle’ hanno scritto alcuni giornali, ‘per consentire ai vigili di rimanere a casa’ hanno scritto altri) di condanna a prescindere”.
"È utile - aggiunge la Responsabile regionale SMI Lazio Medicina generale - richiamare a tale proposito. la procedura vigente ex ante l' attuale normativa in tema di certificazione di inabilità lavorativa, ebbene: il medico di medicina generale, individualmente autorizzato al possesso dei vecchi modelli cartacei Inps di malattia, in caso di sua assenza, delegava il medico sostituto all' utilizzo di quello specifico formulario. Il sostituto, apponeva timbro e firma personali (ossia propri del sostituto), su quel modello cartaceo, del quale era titolare il medico che veniva sostituito”.
“Vorremmo - conclude Patrizi - quindi suscitare una riflessione specifica sulla vicenda, scevra da condizionamenti fallaci e pregiudiziali, che possano portare alla rivisitazione della norma richiedendo una semplificazione delle accesso alle pw tra titolare e sostituto e in regime di equipe o gruppo, UCP etc, e che consenta ai professionisti di lavorare serenamente senza incappare in sanzioni sproporzionate: si snelliscano i sistemi e la attuale complessità applicativa della Legge sulla privacy, si vada a una omogenea applicazione delle norme certificatorie sul territorio nazionale, oggi di fatto derogate nella quasi totalità al medico di medicina generale".
Da Patrizi "una ultima riflessione: lasciamo che i medici facciano i medici e non ingabbiamoli in lacci e lacciuoli che ne impediscono l' attività. La vicenda mediatica dei vigili urbani capitolini non può avere come unico caprio espiatorio dei professionisti che hanno, altresì, correttamente operato sotto il profilo professionale e deontologico, perché nessun sistema informatico è stato violato e nessuna password era mal custodita”.