“L’accordo approvato –– accoglie solo alcune delle nostre richieste ed impone inaccettabili limitazioni. La nostra battaglia è quella per la tutela degli studi esistenti che non possono essere adeguati a nuovi requisiti strutturali ora previsti, mettendo a rischio l’esercizio della professione per realtà da tempo operative”. È quanto afferma il Presidente ANDI
Gianfranco Prada in merito all’Accordo Stato-Regioni sui requisiti minimi per l’autorizzazione degli studi odontoiatrici.
“Sotto accusa – si legge in una nota - anche la stesura di alcune procedure necessarie che risulterebbero inapplicabili, così come la scelta di classificare le strutture sulla base del numero di riuniti e del personale operante e non sulle terapie odontoiatriche praticate o sulla personalità giuridica di chi richiede l’autorizzazione. Inoltre l’accordo dovrà essere applicato lasciando alle Regioni la decisione sui tempi e modalità, andando quindi ad aumentare quella disparità di normativa sul territorio nazionale che invece l’accordo avrebbe voluto azzerare”.
“Si tratta – sostiene l’Andi - insomma di un ulteriore passo che sembra inserito in un disegno complessivo volto a rendere sempre più difficile l’attività professionale agli studi degli odontoiatri liberi professionisti, mentre si spalancano le porte alle realtà commerciali che hanno interessi che ben poco si conciliano con la reale cura dei pazienti”
“Seppur i tempi di recepimento da parte delle Regioni saranno comunque lunghi ed in ogni caso interverranno i nostri Dirigenti locali a tutelare le realtà professionali – conclude la nota - l’Esecutivo Nazionale ANDI ha deciso di dare mandato ai propri legali per impugnare il provvedimento nelle opportune sedi giudiziarie”.
“Delle due l’una: o l'intesa raggiunta nei giorni scorsi in Conferenza Stato-Regioni per definire i requisiti minimi per l’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio delle strutture odontoiatriche non vale per gli studi odontoiatrici privati, o o probabilmente cadrà sotto la scure del sindacato giurisdizionale, con oneri economici e degni di ben altra causa”. Parole di
Stefano Colasanto segretario Associazione Italiana Odontoiatri di Roma, tra i principali artefici, insieme al Presidente
Giovanni Migliano, della normativa che “nel Lazio dopo anni di carte bollate e procedimenti giudiziari verso i dentisti disciplina la materia in modo da sollevare i professionisti da indebiti adempimenti. O meglio, sollevava, perché le intese nelle singole Regioni stanno per essere cancellate da nuova burocrazia unificata a livello nazionale”.
“Ideate –così pare - per rendere più uniformi le norme regionali, le nuove regole richiedono complessi requisiti strutturali generali, impiantistici ed organizzativi per lo studio odontoiatrico e non per quello medico, e questa è la prima singolarità. Requisiti che regione per regione la faticosa trattativa dei sindacati con gli assessori stava per eliminare, nel segno della semplificazione perseguita da questo governo”, spiega Colasanto.
“Dopo l'intesa siglata in Conferenza Stato-Regioni il 9 giugno scorso – denuncia l’Aio - accanto ai requisiti anzidetti, molto dettagliati, per ottenere dalla Regione la possibilità di continuare ad esercitare, l’odontoiatra - non si capisce se in qualunque caso o se in fase propedeutica all'accreditamento– dovrebbe di nuovo produrre un faldone di dodici documenti tra cui: dichiarazione del titolare dello studio, planimetria scala 1:100, documento attestante il possesso dell’immobile, certificato di agibilità rilasciato dal Comune, relazione conformità messa a terra, piano di sicurezza per tipologia di struttura ed anche il certificato antimafia per le società. Colasanto non è del tutto convinto che la normativa sia applicabile”.
“In realtà il lavoro delle regioni com’è chiaramente scritto nelle premesse dell’atto mirava a definire i requisiti minimi per l’esercizio dell’attività odontoiatrica, non per l'autorizzazione all'esercizio. Già, perché una cosa è l’idoneità di uno studio privato di un professionista odontoiatra a produrre prestazioni odontoiatriche e un’altra è l’autorizzazione degli studi. Quest’ultima per la quale si fa esplicito riferimento agli articoli 8 bis e 8 ter della legge 502 Bindi, attiene solo a strutture dove si fa chirurgia ambulatoriale o diagnostica invasiva, cioè attività “a rischio” per il paziente. Attività quale appunto non è quella dell’Odontoiatra, come ormai riconosciuto da varie sentenze TAR . Si continua purtroppo a dimenticare che l'autorizzazione è obbligatoria solo per ambulatori ed è un primo passo verso l'accreditamento con il Servizio sanitario pubblico”.
Evidenziati anche errori formali. “Almeno due, gravi. Il primo sta nella volontà di stravolgere con un atto a partenza regionale una legge nazionale, la Bindi, che esenta le strutture odontoiatriche private dagli obblighi autorizzativi, il che è oltre le competenze della Conferenza Stato-Regioni. Il secondo sta nella richiesta di una serie di documenti già in possesso della P.A., che quindi non possono essere richiesti di nuovo, oltretutto andando contro l'attuale criterio di cercare una maggiore semplificazione per aiutare le PMI. Infine suona ben strano che siano colpiti solo gli odontoiatri e mai i medici”.
“Dobbiamo purtroppo constatare che in nessuna fase la professione, nelle sue componenti associative, è stata interpellata sulla elaborazione del testo: per contro con strana urgenza è stato velocizzato negli ultime mesi l’iter di approvazione del documento, “passato” con un blitz. E siamo a un documento che sembra apre una serie infinita di aspetti interpretativi che si tradurranno in ulteriori diversi comportamenti nelle varie regioni e confusione per i professionisti e gli organismi di controllo, sempre che gli esiti del referendum di ottobre non spazzino via tutto”.
“In ogni caso – conclude Colasanto – AIO è pronta ad agire in tutte le sedi per rappresentare il diritto degli Odontoiatri italiani a non essere penalizzati rispetto ad altri professionisti sanitari e rispetto ai loro colleghi stranieri. Perché non vinca l’Italia dei mille intralci e delle carte inutili su quanto di buono aveva fatto la professione per avvicinare un po’ di più le cure ai pazienti”.