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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Lavoro e Professioni

Choosing wisely, slow medicine e i “cavilli di cavicchi”

di Ivan Cavicchi
immagine 12 aprile - La mia polemica sui lineaguidari, e quindi con slow medicine non riguarda le linee guida o le raccomandazioni o i precetti o le  evidenze ma quella particolare  mentalità proceduralista, quindi intrinsecamente autoritaria e dogmatica, che tende ad accentuare  il carattere prepensato delle decisioni cliniche ignorando le loro conseguenze morali (terza parte)
Negli articoli precedenti  abbiamo visto che  choosing wisely (d’ora in avanti CW), al di là  della propaganda  è una sorta di precettistica  (top five list)  i cui precetti, sotto forma di negazioni (“non fare”) sono la sintesi a priori di procedure, linee guida, raccomandazioni  “pre-scelte” dalla comunità medica (società scientifiche) sulla base di verificate evidenze scientifiche.
 
Abbiamo quindi a che fare con una  medicina basata sui precetti  del tutto identica come struttura valoriale  alla medicina basata sull’evidenza  e quindi a sua volta definita a partire dai soliti postulati del pensiero scientifico  positivista: verificazione, evidenza e procedura.
 
La prima traduce l’evidenza scientifica in prescrizioni cliniche con le linee guida la seconda fa la stessa cosa ma attraverso dei precetti negativi. Entrambi perseguono scopi di appropriatezza ed entrambi di fronte alla complessità del caso sono falsificabili cioè possono essere disconfermate dall’esperienza.
 
Sono entrambe  forme di fondamentalismo scientifico, nel senso che basano la scelta clinica su alcuni fondamenti (“based”) quali appunto sono le “evidenze” trascurando scientemente  altri gradi di complessità e quindi riducendo il campo della scelta a poche variabili biomediche.
 
I paradossi dell’appropriatezza inadeguata e della diseguaglianza per evidenza scientifica
Tutte le forme di fondamentalismo gnoseologico  in medicina per quanto tecnicamente  necessarie sono per loro natura falsificabili dall’esperienza il che pone il problema morale della cura che, per essere scientifica, rigorosa, come propongono i lineaguidari , può essere rispetto al caso, appropriata nel modo ma inadeguata nei risultati. Quindi inefficace .Definisco questo paradosso “appropriatezza inadeguata”.
 
Il problema morale che pone questo paradosso e che riguarda anche CW  nasce da come scientificamente si concepisce  la cura e riguarda il rischio di curare le persone negando il principio di eguaglianza cioè l’art. 32 della Costituzione, cioè di curare in modo tanto appropriato che adeguato solo le persone che hanno la fortuna di rientrare in uno standard.
 
Questa particolare violazione dell’art. 32 la definisco “diseguaglianza clinica per evidenza scientifica” e pone la questione di come curare persone diverse garantendo loro almeno una accettabile  equiprobabilità di risultato.
 
La medicina amministrata è immorale perché non cura tutti gli individui come tali ma solo i malati riducibili a standard
. I rischi di diseguaglianza clinica  per evidenza  scientifica  sono tutt’altro che teorici per quattro ragioni:
· ogni malato è un individuo  singolare specifico individuale 
· la clinica per definizione è una collezione di casi individuali
· i casi sono praticamente illimitati
· tutti i casi è come se accadessero nelle loro situazioni e contingenza .
 
E’ significativo che tutte queste caratteristiche siano  le principali nemiche dell’evidenza . In clinica l’assunto su cui si basano tutte le forme di medicina amministrata e quindi anche CW ,“tutti i corvi sono neri” non vale per principio. Cioè in clinica lo standard, quindi le linee guida, i precetti sono in quanto tali falsificabili.
 
Il paradosso dell’appropriatezza inadeguata  e quindi il rischio di diseguaglianza clinica per evidenza scientifica vale anche per la CW ma la propaganda tende a nasconderlo o a non preoccuparsene  enfatizzando la questione della “scelta” e della “relazione”.
 
Siccome c’è la scelta e la scelta è in una relazione...nessun problema. Ma è così? Magari fosse così semplice, ma sfortunatamente per slow medicine ma ancor più per il malato, non lo è.
 
La complessità epistemologica  della scelta
La struttura razionale della scelta per CW non è diversa da quella classica del positivismo medico-scientifico:
· I precetti abbiamo detto sono pre-scelti  dalle società scientifiche, per cui  rispetto ad essi la scelta clinica del medico è una “seconda scelta” di tipo  subordinato pre definita e per giunta organizzata secondo il ben noto “principio di non contraddizione” quindi come una dicotomiavero/falso vale a dire  come una opposizione “A/non A
· se la scelta è tra “A” e “non A” e se il precetto prescrive in modo performante “non A” perché ritenuto non contraddittorio con le evidenze scientifiche, la scelta del medico “saggio” probabilmente sarà “non A”. In questo modo essa coinciderà con quella pre-scelta ante oculum rispetto al caso clinico.
 
Cioè la saggezza di cui tanto si parla si riduce al conformismo dei precetti cioè a mera razionalità come dire che ex ante ed ex post coincidono per evidenza quindi comunque indipendentemente  dalla complessità  del caso. Anche questa saggezza non saggia ma solo razionale  è falsificabile.
 
La mentalità proceduralista
Per il pensiero positivista nel quale si inscrive a pieno titolo la CW (ma quale sistemica!), la razionalità scientifica è fatta soprattutto da ragionamenti pre-pensati ma ancor di più da decisioni pre-scelte. Il pre-pensato  è il tratto distintivo di qualsiasi procedura. Per questo ho apprezzato gli “ermetisti” di Rovigo compreso  il loro recente “sussurro all’orecchio” perché per loro il pre pensato è al servizio del pensabile cioè non è prescrittivo ma proscrittivo (QS 8 aprile 2016)
 
La mia polemica sui lineaguidari, e quindi con slow medicine, che sono decisamente prescrittivi, come ho detto tante volte, non riguarda le linee guida,o le raccomandazioni, o i precetti o le  evidenze, che per me restano strumenti di conoscenza come tanti altri, ma quella particolare  mentalità proceduralista, quindi intrinsecamente autoritaria e dogmatica, che tende ad accentuare  il carattere prepensato delle decisioni cliniche ignorando le loro conseguenze morali.
 
Si tratta di una mentalità che:
· parte a priori con un atto di sfiducia  nei confronti del medico considerato per principio inaffidabile anche se nelle sue prassi normali è solo il prodotto della sua formazione
· antepone alla complessità della clinica il semplicismo delle procedure economicamente appropriate riempendosi la bocca con il governo clinico
· punta ad amministrare le condotte professionali ridimensionandone l’autonomia
 
Il vero danno all’autonomia clinica e quindi al diritto di cura del malato non è ad una generica libertà professionale del medico ma al dovere del medico quale primaria garanzia costituzionale  per il malato di scegliere la cosa migliore per lui sulla base delle sue reali necessità. Ripeto una medicina che delega la scelta alla procedura o ai precetti (non c’è differenza) rischia in certi casi di essere irragionevole ed iniqua cioè falsificabile.
 
Aggiungo che trovo altrettanto irragionevole da parte dei medici rivendicare autonomia per agire solo sulla base di soluzioni pre pensate. Essere liberi di essere delle trivial machine non mi sembra il massimo. Altra cosa sarebbe se la loro giusta pretesa fosse funzionale ad essere autori delle loro scelte quindi eventualmente liberi di disattendere responsabilmente qualsiasi precetto convenzionale se  falsificato dall’esperienza cioè  non adeguato al caso. Non dimentichiamo che quando i medici per evitare i due  paradossi dell’appropriatezza inadeguata  e della diseguaglianza clinica per evidenza scientifica, violano le procedure e gli standard è perché hanno il dovere non solo deontologico ma costituzionale di farlo.
 
Si apre il capitolo inesplorato dei rapporti tra deontologia e epistemologia del quale mi sono occupato al tempo della discussione  sul codice deontologico dei medici (“Ciò che si deve fare dipende da ciò che si può fare” QS 31 maggio 2014)
 
Contraddizioni o verità?
Dicevo prima che i precetti per la CW sono delle negazioni (non A) e in un precedente articolo (QS 6 aprile 2016) che le negazioni sono un particolare tipo di argomenti esposto al rischio di antinomie e paradossi. Ma questo vale per tutta la razionalità medico- positivista dal momento che su di essa regna sovrano come dicevo prima  a proposito di CW , il “principio di non contraddizione”. Per CW la scelta è oA o non A cioè in nessun modo è possibile  A quindi non A. Perché  sarebbe una contraddizione. Ma come abbiamo ormai detto molte volte, la realtà clinica del malato è molto più complessa di quello che pensa CW e slow medicine. Essa per me non è tanto piena di contraddizioni  ma è semplicemente piena  di tante diverse verità  più o meno consignificanti.
 
Quelle che per i positivisti sono contraddizioni per i pragmatisti non sono null’altro che forme diverse di verità diverse. Per CW  e slow medicine il consumo inappropriato è una “contraddizione” perché inappropriato deriva dal precetto per cui se il malato è fuori dal precetto  egli è inappropriato per definizione. Cioè a sua volta è una contraddizione. Ma se sostituiamo la logica positivista di CW  e di slow medicine, quindi il principio di non contraddizione, con una logica polivalente (sono logiche in cui sono presenti più valori di verità rispetto ai canonici vero/falso) la realtà del malato non sarebbe tanto piena di contraddizioni quanto di tanti gradi di verità diversi  tra i quali davvero il medico può scegliere in scienza e coscienza .
 
Tutti i clinici di una certa esperienza sanno che la prima cosa che un medico impara dalla sua esperienza sono i problemi che incontra nell’uso della logica ipotetico deduttiva quella che hanno studiato all’università e che è alla base del ragionamento clinico. Nella maggior parte dei casi il medico esperto si serve di logiche pratico deduttive, abduttive e, senza conoscerle, di fatto di logiche situazionali, sfumate come se fossero polivalenti.  
 
Ne consegue che nessun lineaguidaro  potrebbe vietare al  medico di attribuire ad un caso clinico un grado di verità compreso tra 0 e 1.Per cui “non A” non sarebbe una negazione ma solo una verità con un grado 0.5. Ma non mi risulta che gli autori delle CW e meno che mai slow medicine ci propongano al di la di un generico quanto paternalista “volemose bene” di risolvere il paradosso dell’appropriatezza inadeguata  e della  diseguaglianza clinica per evidenza scientificacon la logica polivalente quindi estendendo  alla clinica quella booleana.
 
E questo se penso a slow medicine  cioè ad archiatri straordinari come Bert e a raffinati clinici come Sensini, Bobbio.. mi sorprende, per cui mi chiedo: che fine ha fatto la ragione clinica con slow medicine? Dai documenti che leggo temo che la risposta potrebbe essere una non meglio precisata... clinica  slow... che dire ... davanti all’indicibile l’effabile... turbato... tace.
 
La complessità epistemica della relazione
Stesso discorso vale per l’altra questione, la relazione. Anche questa non è propriamente una faccenda semplice da affrontare nell’ambito delle problematiche della scelta, lo sarebbe in modo ovviamente improprio solo se si restasse nei confini concettuali della razionalità positivista. Leggendo i documenti, gli interventi sul web, le pubblicazioni, la mia impressione è che slow medicine, riduca in modo classicamente positivista la complessità della relazione a giustapposizione, come del resto ha sempre fatto come Siquas Vrq per la qualità e come fa più o meno tutta la medicina cosi detta scientifica.
 
La cosa che slow medicine sembrerebbe ignorare è che le relazioni hanno molte forme diverse (complementari, oppositive, adiacenti, contigue, inverse, ecc.) quella classica medico/malato  personalmente l’ho definita giustapposizione “ cioè un rapporto soprattutto paternalista nel quale a parte il “volemose bene” sussiste in ragione del principio dell’equa distanza quale obiettività, la famosa separazione tra osservatore e osservato. Ricordo che la clinica è un tipo di conoscenza obiettiva  su base (based) osservazionale.
 
Per cui nel caso delle CW  essa è in realtà una “non relazione”, perché in ragione dell’obiettività osservazionale costruisce la scelta sulla base di precise evidenze e di precisi precetti negativi. Mettere d’accordo i precetti di CW con la complessità della relazione implica un salto paradigmatico che non mi pare sia nelle corde di slow medicine. Nella clinica la  giustapposizione medico/malato  non è casuale ma è la condizione per avere il più alto grado di obiettività della conoscenza cioè la condizione più favorevole all’applicazione dell’evidenza.
 
L’ideale dell’evidenza al quale si rifà tanto CW  che slow medicine  è quello di una razionalità non inquinata dall’invadenza dei soggetti, delle contingenze, delle singolarità. Ma questa particolare “giustapposizione senza relazione” tra evidenze precetti e malato sancisce al di là del “volemose bene” l’indipendenza di fatto della CW  dal malato come persona. Se la clinica si fonda su una conoscenza osservazionale allora essa in nessun modo può ammettere una conoscenza relazionale cioè un altro modo di conoscere la complessità di un malato. Nella relazione per forza devi ragionare con la logica polivalente e lo dico in particolare a slow medicine la relazione non è riducibile come leggo nei suoi documenti a “comunicazione” essa è ben altro.
 
Se l’atto scientifico di CW  è solo scegliere non ciò che è adeguato al malato ma appropriato alla evidenza circa la malattia, la relazione non ha alcuna utilità gnoseologica. Essa diventa il pretesto. la circostanza nella quale il medico tenta di persuadere il malato a non chiedere di fare certe cose. Ma questa non è null’altro che una estensione del consenso informato con tutte le magagne che questo inganno procedurale si porta dietro. Vedrete che prima o poi si arriverà al punto, per ragioni di responsabilità professionale, di far firmare al malato per gli esami che il medico gli suggerisce di  non fare. Il che sarebbe davvero il colmo del paradosso. Con la firma del malato l’operazione di CW sarebbe perfetta.
 
Relazione per conoscere: dalla prescrittività alla proscrittività
La relazione per il positivismo non è determinante per la scelta quale conoscenza  anzi è considerata un ingombro, un intralcio ad un’ideale di conoscenza “based” sull’impersonale, l’oggettivo, il materiale. Per cui se  slow medicine crede davvero nella  scelta e nella relazione si adoperi per ripensare l’attuale base razionale della clinica come tento di proporre da molti anni sapendo che:
· per conoscere una persona malata la conoscenza scientifica non basta per cui ci vogliono altre forme di conoscenza
· la conoscenza non va solo  comunicata al malato ma va costruita con il malato sulla base di una nuova alleanza tra episteme  e doxa.
 
Per slow medicine, se essa fosse sul serio rispetto alla relazione in buona fede, si tratterebbe di:
· accettare che la validità di un trattamento cioè il suo valore di adeguatezza non derivi solo dai precetti di CW
· ricusare l’idea di una scelta “causata” solo dai precetti e dalle evidenze scientifiche
· di accettare che il prepensato faccia i conti (come propongono gli ermetisti di Rovigo) con il pensabile superando la prescrittività con la proscrittività
· di sancire che chi decide è chi pensa il pensabile in modo adeguato al malato e non chi mutua il prepensato in modo appropriato alla malattia.
 
Insomma nel ricordare a slow medicine che qualsiasi relazione è ciò che intercorre tra due persone diverse vorrei sottolineare che essa è quanto di più post positivista si possa immaginare.
 
La relazione non può essere definita con il pensiero positivista
Confesso che divento diffidente quando sento i positivisti parlare di relazioni. Perché? Ve lo spiego subito. La relazione che intercorre è relativa ai suoi relati,(malato e medico) e stabilisce  delle interconnessioni tra dati, credenze, convinzioni, esperienze, conoscenze, emozioni. Cioè la relazione rende relative le conoscenze scientifiche, quindi le evidenze, nel senso che mette le evidenze in rapporto con l’esperienza, cioè con altre conoscenze, e questo è esattamente quello che non vuole né il positivismo, né slow medicine, né i lineaguidari. Altrimenti CW come congegno prescrittivo salterebbe per aria. Tutti costoro sono convinti che solo le evidenze garantiscano la verità scientifica e quindi temono e non senza ragione che la relatività delle conoscenze sia un problema, crei degli arbitri, provochi delle inappropriatezze fino ad indebolire le evidenze o a vanificarle.
 
CW parla di relazione ma essa sa bene che il suo obiettivo è indurre un medico ad obbedire a dei precetti e che per obbedire a dei precetti non si può essere influenzati più di tanto dalla  conoscenza  che viene  dalla relazione. Le evidenze, le linee guida, i precetti le raccomandazione, sono tutte indistintamente  conoscenze irrelate  perché per i positivisti sono le uniche verificabili. Invece quelle relate cioè relative alla relazione, per l’appunto, sono relative e per questo  non verificabili e non controllabili.
 
Per cui in ragione della “scelta”  slow medicine se proprio crede ad una funzione della relazione  che non sia il “volemose bene” dovrà ammettere una conoscenza relativa e quindi accettando coerentemente di proporre CW  non più come un sistema di precetti ma come scrivono gli “ermetisti” di Rovigo (QS 8 aprile 2016) come dei “sussurri all’orecchio” nel massimo rispetto per l’autonomia clinica.
Il relativismo della conoscenza è lo scoglio più difficile che i positivisti devono superare per riconoscere alla relazione la sua funzione gnoseologica.
 
E’ bene precisare che per relativismo intendo semplicemente l’impossibilità di conoscere una malattia in se indipendentemente da una relazione con il malato. La relazione per me ha lo scopo di produrre delle scelte perché attraverso di esse davvero si produce conoscenza. Sono i risultati che misurano le scelte non  le procedure che ci dicono del valore di una conoscenza. La CW al contrario prescrive le scelte più congegnali ai propri precetti avvalendosi del consenso informato. Se la conoscenza è creata dalla relazione allora la conoscenza è l’effetto delle scelte che si decidono nella relazione.
 
I cavilli di Cavicchi  cioè di un filosofo “per” la medicina e non “della” medicina
Qual è il senso  di tutto il mio discorso? Smettiamola di pompare la CW come se fosse una rivoluzione e smettiamola con i giochini subdoli  e sleali della svalutazione dei vostri  critici. Tanto con me non funziona. Discutiamo “argumentum pro subiecta materia.
 
La CW  è quella che è. Il suo scopo è ridurre il consumo irragionevole di medicina e proprio per questo essa  è esposta  ad una serie di paradossi: appropriatezza inadeguata, relazione senza relazione, saggezza senza saggezza, diseguaglianza clinica per evidenza scientifica....e.. quindi..  inevitabilmente alla   falsificabilità.
Siccome personalmente  sono d’accordo per abbassare i consumi irragionevoli  chiedendo ai medici  di diventare  degli autori ragionevoli, il mio problema non  è rifiutare la CW nonostante le sue innegabili aporie, ma usarla per renderla epistemicamente affidabile. Se ciò, come io temo, non sarà fatto, perché contemplare  verbene  appaga lo spirito ma non aiuta di certo a riformare  i paradigmi, essa sarebbe né più e né meno che una forma meno odiosa di medicina amministrata e quindi una neanche tanto malcelata  forma di economia sanitaria.
 
Chiudo citando dal web  Sandra Vernero storica colonna di Siquas Vrq poi di slow medicine ed ora di CW, e domani chissà ...spero tanto  post positivista, che a seguito del mio articolo su slow medicine (QS 29 marzo 2016) ha così  commentato: “Ritengo che solo in Italia si perda così tanto tempo con cavilli del genere, negli altri Paesi stanno cercando di misurare le pratiche riconosciute come a rischio di inappropriatezza, ad esempio quante risonanze si fanno per il mal di schiena, e di trovare modalità pratiche per ridurne la frequenza.”
 
Sandra Vernero mette con grande concretezza i piedi nel piatto, il problema al di là delle moine resta quello di ridurre il consumo inappropriato di medicina e come  farlo alla fine se non è zuppa è pan bagnato. E io credo che abbia ragione. Lo ripeto: il consumo inappropriato è un problema che dobbiamo assolutamente risolvere.
 
Ma a proposito di “cavilli di Cavicchi” non posso fare a meno di osservare  che l’espressione ha una radice comune, cav  il cui significato etimologico  lo collocherei tra  il “dar consiglio” (cavere nel  senso di cautela da cui deriva cavillo) e il “chiodo” (clavus/caviclus) .I “cavilli di cavicchi” ricorrendo  ad un detto popolare vale come senso   “avere un cavicchio per ogni buco” cioè “avere in pronto una scusa per ogni accusa” o “ una soluzione per ogni problema” o come io preferisco, a fronte di proposte di dubbia credibilità, “avere il diritto di fare delle obiezioni” cioè dei cavilli da tirare fuori e dei chiodi ai quali appendere dei ragionamenti.
 
Nei confronti di CW  e di slow medicine avanzo come è mio costume null’altro che delle oneste obiezioni alle quali sarebbe bene che qualcuno se possibile in modo garbato mi rispondesse. Ma a parte il diritto di obiettare, vorrei dire a Sandra  che sono i cavilli  che a parità di risonanze fanno la differenza tra una medicina amministrata è una medicina ippocratica  gli stessi che  ci potrebbero aiutare (se fossimo davvero degli intellettuali onesti) a rimuovere  le contraddizioni di CW e di slow medicine e magari questa volta tirare fuori dal cappello, una altra  idea di medicina  scientifica .
 
Alla fine, cara  slow medicine, per stare davvero con i piedi per terra, siccome il destino della  sanità come  ha confermato il DEF, “sezione 2 analisi e tendenze della finanza pubblica” (QS 9 aprile 2016) è comunque quello,  rispetto al Pil, di un progressivo definanziamento, si potrebbe, per  fare prima, mettere mano ad  un altro decreto per l’appropriatezza, imporre ai medici una bella batteria di linea guida, o accrescere i precetti da osservare, rimettere le sanzioni ma che siano sanzioni, per cui sicuramente  le risonanze calerebbero di numero, e del paradosso dell’appropriatezza inadeguata e della  diseguaglianza clinica per evidenza scientifica ma chi se frega non sono null’altro che cavilli.
 
La medicina della scelta
 Rinnovo quindi  il quesito che ho posto sin dall’inizio (QS 14 marzo 2016):  in questo mondo in questa situazione  con la sanità che abbiamo e con la prospettiva  che ci ha indicato il Def..quale medicina?
Allineare sanità e salute” sul terreno delle politiche sanitarie  ha detto secondo me  in modo molto convincente la sua (QS 5 aprile 2016) altri ci propongono la prevenzione come una “rivoluzione culturale” (Polillo QS 9 aprile 2016), resta ancora aperto il quesito che ho posto “quale medicina”? Io l’errore storico della 833 di riformare il sistema sanitario  a culture e a prassi medico-sanitarie  invarianti non lo vorrei ripetere per cui da un bel po’ ho avanzato  la mia modesta  proposta  che come ho già detto più volte  si chiama “medicina della scelta”.
 
Si tratta di una medicina scientifica che:
· del pensiero positivista si tiene tutta  la razionalità che funziona
· post positivista nel senso che si confronta con la complessità del malato e della salute del cittadino con una pluralità di razionalità e di conoscenze,
· pragmatica quindi ragionevole, alla quale oltre alle evidenze interessano i risultati
 
Rispetto alla cura, “la medicina della scelta”, trae tutte le sue conseguenze riformatrici  da un passaggio etico-culturale  epocale ma  che “vox clamantis in deserto  fino ad ora  è rimasto senza  nessuna seria conseguenza epistemologica ,che è quello malattia/malato
 
A partire da questo passaggio la “medicina della scelta” riformula  il postulato referente dal quale qualsiasi ragionamento medico dovrebbe partire eche, dopo lunga meditazione, non ho voluto definire  genericamente “malato”ma “essere malato”.
 
La mia intenzione  riformatrice a partire dalla complessità dell’essere malato è  stata la seguente:
· ridefinire la conoscenza scientifica che c’è superando  le aporie della razionalità  positivista  riallineando in questo modo il concetto di “scientifico” agli sviluppi  che ha avuto il dibattito sulla scienza di questi anni
· riammettere a fianco della rinnovata  conoscenza  scientifica quale sua complice un altro genere di conoscenza  quella  filosofica circa la complessità  ontologica dell’essere e la complessità in genere
· ammettere un genere particolare  di meta-conoscenza  quella che si occupa  di super complessità  cioè l’essere malato  ma dentro le complessità del mondo ( situazioni di vita, contesti sociali, quadri economici, sistemi sanitari, ecc
· altre bagatelle
 
Per “la medicina della scelta”, per via di certi  “cavilli di cavicchi”, l’essere resta un imperativo morale soprattutto oggi dove gli imperativi morali davanti ai limiti economici sembrano non contare più niente. Ne riparleremo.
 
Ivan Cavicchi
 
Leggi la prima e la seconda parte
12 aprile 2016
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