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QS Edizioni - sabato 27 luglio 2024

Lavoro e Professioni

Giornata per la Vita. Ecco il documento dei ginecologi: “Più investimenti in ricerca su patologie fetali, no a diagnostica prenatale inappropriata”. Lorenzin: “Serve un’assistenza post parto diversa”

immagine 6 febbraio - Firmato oggi all’Università Campus Bio-Medico di Roma dagli specialisti degli atenei romani. Sullo sfondo il problema delle morti in utero, con 6 casi ogni giorno in Italia. Invocato l’avvio di una ‘biopolitica’ al servizio della verità scientifica e non delle esigenze economiche o della medicina difensiva. Lorenzin: “Cambiare modelli di assistenza post-partum e nuove linee guida nazionali sull’allattamento. Frontiera della natalità vero allarme del nostro Paese"
Ogni giorno, in Italia, 6 donne perdono il loro bambino, quasi sempre negli ultimi tre mesi di gravidanza: è uno dei numeri recentemente portati alla ribalta dalla rivista scientifica The Lancet in uno speciale intitolato Prevenire le morti in utero evitabili. Anche questo dato è stato tra gli argomenti al centro dell’incontro annuale delle Scuole di Ostetricia e Ginecologia degli atenei romani, dedicato al tema La medicina prenatale e la tutela della vita e tenutosi oggi all’Università Campus Bio-Medico di Roma.
 
L’evento si è svolto alla vigilia della 38ª Giornata Nazionale per la Vita. Chiara, a margine degli interventi, la denuncia del Prof. Roberto Angioli, Direttore della Scuola di specializzazione in Ostetricia e Ginecologia dell’Ateneo ospitante: “Se guardiamo a quanto si è investito negli ultimi anni per la ricerca sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita e a quanto, invece, per migliorare le condizioni di un bambino che ha dei problemi in utero o alla nascita, dobbiamo registrare una differenza abissale. Eppure la medicina ha l’obiettivo primario di curare un feto malato, non di incentivarne l’eliminazione”.
 
Il dibattito tra gli specialisti, cui hanno preso parte anche esperti di bioetica e di scienze sociali, è culminato in un Documento Finale, sottoscritto dai primari delle cattedre ginecologiche della Capitale. Nel testo viene sottolineata la “necessità assoluta di rapportare correttamente il livello di rischio di ogni singola gravidanza” evitando usi impropri della diagnostica prenatale. E, in caso di problematiche fetali, è forte il monito a “informare i genitori sul significato di questa patologia, sul trattamento del feto, ove possibile, e sull’assistenza del neonato affetto, nell’ambito di un corretto e responsabile approccio alla coppia in attesa di una nuova vita”.
 
I ginecologi ribadiscono, peraltro, l’urgenza di “investire nella ricerca e nella formazione del personale sanitario, medico e paramedico, e dei medici in formazione specialistica, nell’ambito della Medicina Fetale al fine di tutelare la Vita come bene unico ed intangibile e offrire opzioni terapeutiche sempre più valide”. Il testo finale riporta poi un richiamo per tutti gli specialisti a fornire “un attento counselling improntato all’umanità, che è tipica e inscindibile nel ruolo del sanitario, che, in questo frangente come non mai, va ad assumere un ruolo nel processo decisionale e nel supporto della coppia”.
Gli specialisti concludono invocando la nascita di “una vera forma di biopolitica dove la politica sia al servizio della verità scientifica, e non di esigenze economiche o di qualunque atteggiamento medico difensivo”.
 
Il Documento sarà ora consegnato da S.E. Mons. Lorenzo Leuzzi, Vescovo Ausiliare di Roma e responsabile della Pastorale Universitaria e Sanitaria, a Papa Francesco.
 
“Abbiamo voluto lanciare – spiega Angioli – un messaggio forte sul senso della medicina prenatale, che consentirebbe, se ben applicata, di ridurre il livello di mortalità infantile nel nostro Paese. Tasso che, peraltro, secondo l’ISTAT è oggi pari a 3,9 casi su mille nati vivi: una percentuale tra le più basse dei Paesi industrializzati. L’evoluzione medica e assistenziale odierna consente, infatti, a molti neonati con problemi di avere una vita pressoché normale. Purtroppo, però, sono ancora poche le coppie che conoscono le terapie e le tecniche con cui è possibile affrontare, in utero o alla nascita, le malformazioni fetali. È arrivato il momento di metterle in condizione di decidere in modo più consapevole”.
 
All’appuntamento è intervenuta anche il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: “Dobbiamo organizzare un’assistenza post-parto diversa, che non faccia sentire le donne sole nei primi due mesi dopo che hanno partorito. Non tutte, infatti, hanno la fortuna di avere genitori che possono fare i nonni a tempo pieno. Sull'allattamento è necessario avere delle nuove linee guida nazionali e poi bisogna mettere le donne nella condizione ottimale per allattare. Non ci dobbiamo stupire se una donna allatta alla fermata dell'autobus o al ristorante o sul posto di lavoro, non c'è nulla di male. Siamo arrivati ad avere il tabù dell'allattamento. Si vedono donne nude ovunque, però non si può allattare perché qualcuno rimane turbato”.
 
"La frontiera della natalità è il vero allarme del nostro Paese. Se non ricominciamo a far nascere figli – ha detto ancora Lorenzin - rischiamo un'implosione, oltre a un rattrappimento culturale, etico e morale. Diventare genitori deve essere 'cool', dobbiamo nuovamente rendere attraente e normale il fatto di affrontare la genitorialità e aiutare le famiglie con politiche attive, che la sostengano. Ma non è sufficiente. Dobbiamo essere in grado di adeguare i nostri modelli organizzativi, considerando il fatto che non nascono più bambini”.
 
Gli articoli dello speciale di The Lancet sul tema delle morti in utero evidenziano anche come il 90% di questi casi nel mondo potrebbero essere evitati. Per questo, al termine dell’indagine, la rivista scientifica chiede ai sistemi sanitari dei Paesi a elevato reddito di fare uno sforzo per azzerare il tasso di natimortalità prevenibile entro il 2030, migliorando la salute delle donne fin da prima del concepimento. 
 
Sebbene il tasso annuale (1,1%) di riduzione delle morti in utero in Italia sia ancora inferiore al dato che sarebbe necessario (5,5%, obiettivo di Sviluppo del Millennio n. 5 dell'UNICEF), dal 1990 a oggi nel nostro Paese la mortalità per ragioni connesse alla gravidanza o al parto è stata dimezzata. Dunque molto resta da fare, anche se parecchio si sta già facendo per migliorare questi numeri, tenendo conto che la maggior parte delle morti in utero sono evitabili attraverso la buona qualità delle cure erogate durante la gravidanza, il travaglio e il parto.
6 febbraio 2016
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