La legge che “cura” il dolore, la 38/2010, approvata all’unanimità dal Parlamento italiano e considerata un modello di eccellenza dalla Commissione Europea, è ancora misconosciuta a troppi operatori sanitari. A denunciarlo è Guido Fanelli, ordinario di Anestesia e rianimazione dell’Ospedale di Parma nonché l’estensore tecnico della legge e autore del libro, in via di pubblicazione, “La legge del dolore. Una storia di riscatto tutto italiano”.
Nel libro Fanelli afferma che, da varie ricerche, risulta cha a fine 2015 all’incirca il sessanta per cento dei medici italiani ignora l’esistenza della legge 38. “In Italia, ogni anno, si perdono quaranta milioni di giornate lavorative per dolore cronico benigno, (non dolore da cancro) e in Europa sono oltre cinquecento milioni le giornate di lavoro perse. Negli Stati Uniti si stima che il costo sociale del dolore sia superiore alla somma di quello dei tumori, delle malattie cardiovascolari e del diabete. La legge 38 in questi anni ha avuto percorsi attuativi e uno di questi è stato quello dell’individuazione dei requisiti minimi per diventare centro Hub. Per questi ultimi ne devono essere previsti uno ogni due milioni e mezzo di abitanti. Oggi, in Italia, abbiamo sedici centri Hub con delibera regionale attiva. La Lombardia, il Veneto, l’ Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio e la Campania sono a norma ma ci sono Regioni che non hanno ancora deliberato o dove la delibera è scaduta”, spiega Fanelli.
Ma di cosa soffrono di più gli italiani? “Il mal di schiena rappresenta più del trentacinque per cento del dolore cronico benigno - spiega l'esperto -. L’Italia è leader mondiale nel consumo degli antiinfiammatori e questo è un triste primato tutto italiano. L’Aifa ha, infatti, dato limitazioni sull’uso degli antiinfiammatori. Non sono solo gli anestesisti a prescrivere gli antinfiammatori, ma anche ortopedici e medici di famiglia”.