"Sessantamila infermieri in meno rispetto al fabbisogno". A tanto ammonta la carenza di personale infermieristico, pari al momento a 270 mila unità in sanità pubblica, nel nostro paese e “vera ragione” per la quale l'Italia rischia una nuova procedura di infrazione da parte dell'Unione Europea sul giusto orario di lavoro. A denunciarlo è la Fp Cgil Nazionale lanciando così l'allarme, e la possibile soluzione, sui rischi che il nostro paese correrà tra meno di dieci giorni.
Il 25 novembre, infatti, entrerà in vigore, a distanza di un anno dalla concessione della proroga, l'applicazione della normativa Ue sul giusto orario di lavoro in Sanità pubblica. È di questi giorni l'avvio di un tavolo di trattativa per 'gestire' la vicenda tra sindacati e governo presso l'Aran ma, spiega la categoria dei servizi pubblici della Cgil, “siamo in gravissimo ritardo. Abbiamo trascorso invano un anno senza che il nostro paese si mettesse in regola, con il rischio, a questo punto certo, di subire pesanti sanzioni da parte dell'Unione Europea”.
Nel dettaglio la direttiva europea prevede il rispetto delle 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore e di non poter superare le 48 ore lavorative settimanali. “Uno standard attualmente impossibile da garantire per l'esiguo personale disponibile", precisa la Fp Cgil, spiegando che ”tutte le professioni sanitarie 'turniste' sono soggette a massacrati turni e continui straordinari, che fanno ricadere solo sulle loro spalle la tenuta del Servizio sanitario nazionale”.
“L'impossibilità di poter garantire il giusto orario di lavoro” deriva, secondo la Fp Cgil, dal totale degli infermieri impiegati in Sanità pubblica. Dal 2010, anno del blocco del turnover, “si è progressivamente ampliata una carenza sul totale degli infermieri occupati”, i quali attualmente sono oltre 270 mila su tutto il territorio nazionale. Un tale dato risulta di molto al di sotto del 'giusto' rapporto, come individuato dall'Ocse, tra il numero degli infermieri e quello della popolazione totale, che dovrebbe essere pari a sette infermieri su mille abitanti.
Facendo una proporzione con l'intera popolazione del nostro paese e con il progressivo invecchiamento, spiega la categoria della Cgil, “si evince facilmente quanto siano necessari lo sblocco del turnover e l'assunzione di almeno 60 mila unità infermieristiche nella sanità pubblica solo per raggiungere il livello minimo essenziale di assistenza sanitaria nei confronti dei cittadini, a fronte, inoltre, di un totale di 40 mila laureati disoccupati e, dunque, immediatamente disponibili”.
Ragioni per le quali, durante l'incontro all'Aran dello scorso 10 novembre, “ci siamo mostrati fortemente contrari all'eventualità di una possibile ulteriore deroga sull'applicazione della normativa sul giusto orario”, fa sapere
Cecilia Taranto, segretaria nazionale del comparto sanità della Fp Cgil, secondo la quale: “La vicenda va risolta non solo prevedendo lo sblocco del turnover e le nuove assunzioni di tutte le professioni sanitarie ma è necessario ripensare l'impianto dell'organizzazione del lavoro e questo dovrà essere affrontato inderogabilmente in sede di rinnovo del contratto nazionale, per questo stiamo portando avanti la mobilitazione che il 28 novembre ci porterà in piazza”.
Il rischio per l'Italia, che inevitabilmente si rifletterà sul sistema sanitario, è una doppia esposizione a sanzioni: “Da parte dell'Unione Europea - spiega la Fp Cgil - verso il nostro paese, a causa della deroga stessa, e da parte dello Stato italiano verso i dirigenti delle strutture sanitarie, per una cifra che va dai 25 ai 780 euro per ogni singola infrazione commessa in merito al rispetto del riposo giornaliero e del limite massimo di monte ore settimanale”.
Per Taranto “il dato più lampante, dunque, è che si sta andando incontro ad un aggravio delle condizioni di efficienza del Sistema sanitario nazionale, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista delle prestazioni assistenziali e sanitarie. Di fronte ad un sistema che non è più in grado di assicurare la sua tenuta, l'incremento degli infermieri, e più in generale di tutte le professioni sanitarie, è la prima via da percorrere per garantire la sostenibilità della sanità pubblica verso i cittadini”, conclude.