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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Lavoro e Professioni

Cassazione. La responsabilità professionale dipende dalle mansioni e attività svolte. E non solo da ruolo e qualifica dell’operatore coinvolto

di Luca Benci
immagine 3 maggio - Questo il principio che ha ispirato due sentenze che hanno ritenuto comunque responsabili un autista di ambulanza che non ha aiutato l’infermiera a movimentare un paziente in lettiga e un medico “frequentatore volontario” per aver mancato di richiedere specifici accertamenti diagnostici a una paziente ricoverata
La Corte di cassazione estende la “posizione di garanzia” anche oltre i confini tradizionali. 
Prima di inoltrarci nella definizione della posizione di garanzia vediamo succintamente due recentissime sentenze del giudice di legittimità.
Nel primo caso a un autista soccorritore” – figura non riconosciuta a livello nazionale - veniva contestato di non avere prestato collaborazione a un infermiera nella movimentazione di un paziente su una lettiga causandone la morte in relazione al “malaccorto imbragamento e alla circostanza che la barella, in violazione, delle prescrizioni del costruttore, era stata movimentata da una sola persona - l’infermiera giustappunto - invece che almeno da due operatori. 
 
La difesa dell’autista si è concentrata sul non riconoscimento della figura di “autista soccorritore” in quanto la contrattazione collettiva prevede solo l’autista con mere funzioni di guida del veicolo. La Corte (sezione IV, sentenza 2 aprile 2015, n. 14007) ne ha riconosciuto comunque la responsabilità a prescindere dal “formale inquadramento” in quanto è emerso “dall'istruttoria svolgere il compito di autista soccorritore, avendo al fine superato con profitto un apposito corso e percependo un incremento retributivo proprio in ragione delle mansioni effettivamente ricoperte, peraltro, secondo il dire dello stesso medico che nell'occorso dirigeva l'unità di pronto intervento, con piena capacità”. E’ quindi “l'effettivo svolgimento delle mansioni” a contare senza che “assuma rilievo l’attribuzione allo Stato del potere di legiferare sui profili professionali”. All’autista soccorritore viene dunque riconosciuta la “posizione di garanzia” e, nel caso di specie, l’obbligo di movimentare insieme all’infermiere la barella.
 
Nel secondo caso viene affrontato il caso di un “medico frequentatore volontario” il quale di “servizio” in un ospedale, a fronte di una donna sottoposta “ad intervento chirurgico di isterectomia radicale”, “non aveva predisposto accertamenti diagnostici idonei a verificare se la paziente fosse affetta da trombosi venosa profonda, secondaria ad operazione chirurgica, benché fossero presenti sintomi e fattori di rischio indicativi di tale possibilità”. Per la Cassazione (IV sezione, sentenza 8 aprile 2015, n. 14142) “tale condotta omissiva, aveva impedito, una tempestiva diagnosi e l'adozione di idonea terapia la quale avrebbe, con altra probabilità, consentito di evitare l'evento letale”. 

 
Anche in questo caso è stata riconosciuta la “posizione di garanzia” basandosi sulle reali mansioni del medico che “sebbene frequentatore volontario della struttura sanitaria, aveva posto in essere condotte proprie di un medico strutturato” e, non poteva definirsi, quindi, come, un “mero accompagnatore della paziente da un reparto all'altro per fare un clistere (un clistere..?), mero trascrittore della cartella clinica degli esiti della visita effettuata da altri.” Era stato infatti dimostrato che aveva “rimosso i punti di sutura alla paziente e per togliere i punti l'ha necessariamente sottoposta a visita raccogliendo i temi di sofferenza (dolore alla gamba sinistra gonfiata e disagio) che la paziente gli ha certamente manifestato”. Nonostante questo non ha disposto gli esami necessari con “conseguente adozione di idonea terapia”.
 
Quindi riconoscimento della “posizione di garanzia” indipendentemente dal riconoscimento formale del ruolo in entrambi i casi (autista soccorritore e medico frequentatore volontario).
 
Come è noto la posizione di garanzia deriva dal comportamento omissivo previsto dal secondo comma dell’articolo 40 del codice penale: “Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Ai fini della individuazione degli obblighi giuridici di impedire un evento sono state elaborate, nel tempo, tre concezioni:
a)    la concezione formalistica;
b)    la concezione sostanzialistica;
c)     la concezione mista formale-sostanziale.
 
 
Secondo la concezione formalistica il riconoscimento della responsabilità omissiva esige l’espressa previsione dell’obbligo di agire da parte di “fonti giuridiche formali” che sono individuate dalla legge, dal contratto e dalla consuetudine. Solo quindi ciò che è scritto in tali fonti determina l’obbligo giuridico di agire.
 
 
Secondo la concezione sostanzialistica invece la responsabilità per omesso impedimento è insita nell’esigenza solidaristica della tutela rafforzata di beni giuridici rilevanti per incapacità dei titolari di proteggere tali beni. Secondo questa concezione si realizzano “di fatto” degli speciali vincoli di tutela tra il soggetto e il suo garante. Tipico esempio viene determinato dalla presa in carico di un soggetto debole (es. un paziente).
 
 
La concezione mista, formale-sostanziale si pone come sintesi tra le due concezione sopra esposte ed è stata, fino a oggi, prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza italiana.
 
 
In sintesi l’obbligo di garanzia può essere definito come “l’obbligo giuridico che grava su specifiche categorie di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di impedire eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità die titolari di adeguatamente proteggerli”. In questi casi si equipara il non impedire al causare al fine di riequilibrare una situazione di svantaggio.
Tralasciamo, in questa sede, la suddivisione dell’inquadramento della posizione di garanzia nelle posizione di protezione e di controllo e ci concentriamo sul riconoscimento di fatto delle mansioni svolte.
 
 
L’autista soccorritore è una figura esistente di fatto e non di diritto e non su tutto il territorio nazionale. I tentativi regionali di regolamentarne la formazione e le attività si sono scontrati con la dichiarazione di illegittimità costituzionale (vedi la legge della regione Basilicata 37/2009 e la conseguente sentenza della Corte n. 300/2010) per i motivi legati al conflitto Stato-Regioni che sono diventati usuali dopo la riforma del titolo V della Costituzione.
 
 
La mansioni di fatto determinano la “presa in carico” (terminologia professionale) e la conseguente “posizione di garanzia” (terminologia giuridica).
Stesso orientamento nella sentenza sul “medico frequentatore volontario” figura non regolamentata e ammessa consuetudinariamente nei reparti previa autorizzazione e stipula di una polizza di responsabilità professionale. Anche in questo caso la presa in carico determina la posizione di garanzia e il riconoscimento di responsabilità indipendentemente da fonti giuridiche formali di riferimento. In questi casi, in genere, è chiaro che il medico “frequentatore volontario” non debba essere, sulla carta, un professionista incardinato nella struttura e nelle sue decisioni. Alcune importanti realtà organizzative hanno regolamentato l’accesso e le funzioni di questa figura.
 
L’azienda ospedaliera di Padova, ad esempio, specifica:
“I frequentatori volontari sono osservatori, a fini di studio, formazione o ricerca, delle attività svolte nelle strutture aziendali di riferimento. I frequentatori non possono in alcun modo svolgere attività in sostituzione
del personale dipendente. Non possono esercitare direttamente in autonomia mansioni o funzioni che rientrino nelle competenze tecnico professionali del personale dipendente o convenzionato, né essere impiegato in attività che comportino autonomia decisionale”, altri specificano che il medico frequentatore non “rilascia certificazione alcuna” (Università di Milano), altri ancora (Azienda per i servizi sanitari di Trento) equiparano ai frequentatori alcuni doveri che sono però del dipendente: obbligo di firma, di orario, di certificazione medica per assenza per malattia, altri infine (Università di Bari)  pongono una serie di divieti: non possono eseguire atti operatori, atti invasivi, non possono firmare indagini diagnostiche, non possono firmare cartelle cliniche, non possono svolgere turni di guardia.
 
Nonostante questo corollario di regolamenti quasi del tutto univoci la Corte di cassazione guarda alle mansioni di fatto svolte: su queste si basa la posizione di garanzia.
 
Questo orientamento porta al superamento di molte disquisizioni sul carattere letterale di alcune norme e definizioni. In un recente articolo su Qs Daniele Rodriguez opera una sottile e approfondita analisi sulla comparsa del termine “cura” nel “comma 566” della legge di Stabilità 2015 enfatizzandone il significato in quanto contenuto in una fonte formale. Lo stesso Rodriguez aveva però avuto modo di ricordare che la cura è “una competenza intrinsecamente connaturata alla professione medica, nonché a qualunque professione sanitaria”.
 
E’ proprio su quest’ultimo punto che si incentra la più recente giurisprudenza sulla posizione di garanzia che la Corte di cassazione riconosce sempre più frequentemente, proprio in virtù della “concezione sostanzialistica” che abbiamo sopra riportato, che, prescindendo da specifiche norme di riferimento, punta alla sostanza delle attività, come dimostra la vicenda del medico “frequentatore volontario” e, ancora di più, dell’autista soccorritore, figura che, abbiamo avuto modo di ricordare, non è prevista dall’ordinamento giuridico e comunque verrebbe inquadrata nel ruolo tecnico e non sanitario del personale del servizio sanitario nazionale.
 
Luca Benci
Giurista
3 maggio 2015
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