Parlare di See&Treat è diventata ormai solo fonte di polemiche sterili tra professioni. Polemiche senza una ragione di essere visti i presupposti su cui si basa il metodo nelle aziende che l’hanno previsto (di Toscana, Emilia Romagna e ora del Lazio), ma che per i toni con cui si lanciano messaggi di pericolo rispetto ai risultati delle prestazioni erogate, si sta configurando più che come monito come un vero “procurato allarme”.
Le guerre di posizione tra professioni, le minacce giuridiche e gli attacchi mediatici non servono a nessuno, né ai professionisti né tantomeno ai pazienti e alla migliore organizzazione dei servizi e meglio sarebbe sedersi a un tavolo e concordare le soluzioni migliori per i percorsi dai documenti che hanno dato il via alla metodologia, salvaguardando e, anzi valorizzando, le peculiarità di entrambi le professioni.
Le “ipotesi di reato” che in questi giorni l’Ordine dei medici di Roma paventa nell’attacco al See&Treat dell’Asl Roma C sono, secondo i medici, prima di tutto di commettere il reato di falso ideologico in atto pubblico, se dovessero validare e certificare ex post e a distanza le decisioni prese dall’infermiere, senza aver prima e personalmente visitato il paziente.
Se la preoccupazione è che nella fase sperimentale, e sottolineo sperimentale, del See&Treat dell’Asl Roma C la sottoscrizione da parte del medico dell’attività verificata dell’infermiere possa non essere consona rispetto alle sue responsabilità, siccome la fase sperimentale serve proprio a verificare la fattibilità, a rimodulare tempi e modi di raggiungimento dell’obiettivo definito, (come insegnano a tutti i dirigenti e i medici dirigenti lo sono) il modus operandi tra professioni che hanno come obiettivo la tutela e salvaguardia dell’assistito loro affidato, oltre ad una responsabilità etico/organizzativa di dimostrare concretamente, e non solo a parole, che ci impegnano per garantire la sostenibilità del Ssn proprio perché siamo capaci di innovarci e “stare” dentro un sistema in profonda evoluzione e cambiamento, pena la sua sopravvivenza, può e deve essere la capacità e la volontà di affrontare le questioni di “perimetro” professionale dentro un contesto di relazioni interprofessionali, lasciando sullo sfondo il ricorso a strumenti giuridici e senza annunciare minacce o allarmi ingiustificati. E in questo senso ribadiamo la disponibilità a sederci a un tavolo per tutte le verifiche e i miglioramenti possibili, pronti ad assumerci le responsabilità che derivano da un esercizio autonomo (αυτός νόμος), cioè regolato da un proprio metodo, che è la competenza a darsi proprie regole ed esprimerle in équipe, nel See&Treat e in ogni altra situazione analoga così come previsto e certificato dove è già realtà e come accade a livello internazionale.
La seconda “preoccupazione”, questa volta per gli infermieri, è ancora una volta quella di abuso di professione, con conseguenze di responsabilità in campo penale e civile. Una tesi questa già vagliata a suo tempo anche a livello di procura della Repubblica quando alcuni ordini dei medici delle Regioni che per prime hanno previsto il See&Treat si sono rivolti all’autorità giudiziaria per denunciare il presunto pericolo a cui si sottoponevano e pazienti, con un nulla di fatto proprio perché la metodologia di gestione delle urgenze rientra nelle regole, nelle leggi, nelle competenze dell’infermiere e perfino nel panorama internazionale.
Inoltre, secondo la legge 251/2000 quella infermieristica è una professione autonoma le cui funzioni sono definite dal profilo professionale e per la quale ulteriori funzioni possono essere stabilite dallo Stato e dalle Regioni. E in base alla legislazione vigente, il rapporto tra le competenze del medico e quelle dell’infermiere esclude che le prime costituiscano un limite negativo alla definizione delle seconde e che nelle “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva”, proprie della professione infermieristica, gli iscritti ai Collegi possano essere chiamati a svolgere prestazioni, con riferimento alle quali alla luce delle norme sui profili professionali, degli ordinamenti universitari e formativi post-base e del codice deontologico, abbiano acquisito un percorso formativo adeguato a garantire la collettività.
Al di là delle polemiche poi, sarebbe bene prima di tutto analizzare ciò che è scritto nell’ultima delibera dell’Asl Roma C, che richiama chiaramente le esperienze toscana ed emiliano romagnola già vagliate dalla magistratura e fa riferimento al modello anglosassone di gestione dei pazienti in pronto soccorso. Appare evidente così che le accuse non hanno fondamento, o quantomeno non dovrebbero averne se entrambi i professionisti si atterranno alle previsioni dell’azienda sanitaria.
L'avvio del progetto See&Treat nell’Asl Roma C con la realizzazione dell'area dedicata ai "codici minori” a gestione infermieristica ha come obiettivo, come è scritto nella delibera dell’azienda, di ridurre le attese in Pronto Soccorso (e siamo tutti reduci da momenti di criticità acuta nei nostri pronto soccorso, abilmente sfruttati dai media): una gestione diverse dei codici minori dovrebbe, di per se, diventare l’esempio concreto di quanto affermavo sopra, rispetto alle relazioni interprofessionali e alla capacità di innovare per migliorare appropriatezze ed efficacia di un già ottimo Ssn.
C’è poi tra gli allarmi quello del rischio per i pazienti. Non si può dubitare della preparazione degli infermieri a cui viene affidato il See&Treat perché oltre a dover essere esperti, come previsto dalla metodologia validata, la loro formazione ha avuto come obiettivo quello di implementare l'appropriatezza clinico assistenziale/organizzativa e creare un modello omogeneo per migliorare le prestazioni erogate nell'area emergenza/urgenza, attraverso lo sviluppo e la certificazione di competenze del personale infermieristico per la valutazione e il trattamento di casistica con problemi di salute minore e in parallelo percorsi formativi dedicati a medici di medicina generale, medici e infermieri coordinatori di pronto soccorso.
Un percorso chiaro e senza equivoci, quindi, che non può nei fatti – e anche con la responsabilità degli stessi medici che vi partecipano - generare rischi per i pazienti. Ma che al contrario abbatte interventi impropri, liste di attesa, code ai pronto soccorso (evitando l’afflusso di circa il 70% dei codici bianchi inappropriati) e quindi – per rispondere anche all’eventuale coinvolgimento dì controlli da parte della Corte dei conti sui costi di gestione.
Il See&Treat è un tassello del nuovo modello che dovrà caratterizzare il Servizio sanitario nazionale. Le competenze attribuite al personale infermieristico nel sistema di emergenza-urgenza, rientrano a pieno titolo nel “campo proprio di attività e di responsabilità” che l’ordinamento professionale attribuisce all’infermiere: si tratta di “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva”. E in attuazione del principio di professionalità specifica, la competenza a svolgerle è stata riservata al personale infermieristico che ha acquisito una adeguata formazione specifica e sono rese secondo i protocolli operativi definiti dal personale medico.
E non vale neppure la tesi di alcuni secondo cui la definizione delle competenze della professione infermieristica ha un limite negativo delle prerogative della professione medica. Non ci sono norme che la codificano (vedi legge n. 42/1992 e legge n. 251/2000) ed è un ipotesi incompatibile non solo con il principio di professionalità specifica (art. 33, comma 5 della Costituzione), ma con i principi dell’ordinamento comunitario che sanzionano la costituzione di monopoli professionali che non rispondano ad esigenze imperative di interesse pubblico.
La riserva di attività professionali ha come unica giustificazione l’esigenza di tutelare la collettività. Una tutela che si realizza con l’attribuzione delle funzioni a operatori che dimostrano di avere acquisito le necessarie competenze e capacità conseguite grazchiarenbdo ruoli ie a specifici e adeguati percorsi formativi.
E questo è ciò che è accaduto alla professione infermieristica: l’ordinamento attuale prevede un percorso educativo di livello universitario e una formazione post-base, ulteriormente integrata da una formazione idonea all’esercizio delle responsabilità previste nel sistema di emergenza-urgenza, riconducibili alle attività dirette alla prevenzione, cura e salvaguardia della salute, individuale e collettività. Che non sono prerogativa solo della professione medica, che nessuno mette in discussione, ma, sia pure in modo differente, anche della professione infermieristica.
Barbara Mangiacavalli
Presidente Federazione nazionale Collegi Ipasvi