Stupore e preoccupazione vengono espressi dalla
Società Italiana di Telemedicina e sanità elettronica (Sit) per la proposta, avanzata da una regione e due province autonome (Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano), “di sovvertire il principio cardine su cui si basa l'attuale legge sulla privacy: quello di acquisire un consenso informato e consapevole valido al trattamento dei propri dati personali, sensibili e sanitari, sostituito da un silenzio-assenso che, di fatto, farebbe decadere l'intero impianto giuridico del D.Lgs. 196/2003, il Codice in materia di protezione dei dati personali”.
“Siamo una Società medico-scientifica – dichiara
Giancarmine Russo, Segretario generale della Sit – e sappiamo benissimo che il rapporto fiduciario che lega il paziente al proprio medico curante si basa, essenzialmente, sulla confidenzialità delle informazioni che ci vengono rilasciate. Se il paziente percepisce che i suoi dati più intimi possano essere messi a conoscenza di altre persone, tende a non rivelarli, minando alla radice tale rapporto. Ricordo che l'Italia, paese del diritto, ha da poco assunto, con Giovanni Buttarelli ed Antonello Soro, la presidenza e la vicepresidenza dell'Autorità Garante Europea: sarebbe paradossale che proprio ora si facesse promotrice di iniziative legislative che di fatto equivarrebbero a rendere inutile la normativa vigente”.
Per Russo, soprattutto in considerazione delle minacce globali che giungono quotidianamente alla riservatezza dei nostri dati, “tali misure andrebbero invece rafforzate, come recentemente discusso in un convegno da noi svolto presso la sala conferenze adiacente gli uffici dell'Autorità Garante in piazza di Montecitorio: occorre contemperare, concludemmo nell'ottobre scorso, le giuste esigenze di circolazione e condivisione dei dati sanitari, con quelle tese a tutelare la dignità e le libertà fondamentali dell'individuo, così come sancito dalla Carta dei Diritti universali dell'Uomo del 10 dicembre 1948”.
Il ragionamento della Sit si fonda su un principio essenziale: la tutela della salute, così come quella della riservatezza, ed altri diritti fondamentali, hanno pari ed uguale dignità, non vi è una scala di valori. “A parte il fatto che non vi è ancora nessuna chiara evidenza, scientificamente validata – prosegue Russo - che dimostri come un uso pervasivo dell'e-Health abbia un impatto significativo sugli end points clinico-sanitari “hard” (mortalità e sopravvivenza) della popolazione, se non un migliore utilizzo delle informazioni, le esperienze francesi con il dossier sanitario, e quelli inglesi con gli EHR, ed i loro fallimenti, specie in termini di costi sui risultati attesi, oltre che di pericoli in tema di sicurezza e privacy dei dati trattati, hanno dimostrato esattamente il contrario!”.
E’ per questo che viene richiesta molta prudenza e cautela nell'introdurre le nuove tecnologie in campo clinico, medico e chirurgico: “Servono sperimentazioni su piccoli campioni di popolazione selezionata, molto ben condotte, prima di proporre, come si sta invece facendo, un FSE che dovrebbe contenere tutta la storia clinica di tutta la popolazione italiana, quando ancora mancano, tanto per dirne una, i decreti attuativi e le regole tecniche per la conservazione digitale sostitutiva”.
Russo sostiene che, invece, bisognerebbe procedere “come per le sperimentazioni cliniche controllate che si fanno quando vengono messi in commercio dei nuovi medicinali, non bisogna innamorarsi delle proprie idee, senza metterle in discussione ed aprirsi alla critica e al confronto. Con un apposito gruppo di studio SIT-CNR abbiamo proposto, circa un anno fa un FSE di 2^ generazione, indicando anche la metodologia da seguire per la sua implementazione”. Quella, secondo la Sit, “è la strada da percorrere e la sfida del terzo millennio sarà proprio quella di riuscire ad equilibrare opposti interessi in una società dell'informazione e della comunicazione globale, piuttosto che proporre facili scorciatoie come quella del silenzio-assenso, tra l'altro del tutto inutili, in quanto è sufficiente applicare quanto già previsto dal Codice”.
“La necessità per diversi reparti ospedalieri, per diverse strutture ospedaliere e territoriali di trattare i dati del paziente senza dover ripetutamente chiedere il suo consenso – ha precisato
Chiara Rabbito, coordinatrice nazionale del Gruppo di studio “Sicurezza e Privacy” della Sit, - è già prevista dal Codice privacy ed è disciplinata dettagliatamente dagli articoli del Capo “Modalità semplificate per informativa e consenso”.
In particolare, l’art. 79 prevede che possa essere rilasciata un’unica informativa e raccolto un unico consenso da parte di più reparti di un ospedale, ma anche di più strutture ospedaliere e territoriali, qualora ciò sia necessario per la cura del paziente. “Redatta pertanto un’informativa adeguata – prosegue Rabbito - il paziente dovrà rilasciare un solo consenso, valevole per tutti i reparti o per tutte le strutture ospedaliere menzionate nell’informativa. Non è necessario quindi ricorrere al principio del silenzio-assenso, non previsto dal nostro Codice e contrario ai presupposti fondanti anche il nuovo Regolamento europeo sulla privacy, che ribadisce l’essenzialità del consenso dell’interessato e che dovrà essere adottato da tutti gli Stati membri dell’Unione europea”.
Peraltro, osserva ancora Rabbito, le norme del nostro Codice sulle modalità semplificate di informativa e consenso sono state pensate dal legislatore in previsione della informatizzazione e telematizzazione dei sistemi informativi ospedalieri, tant’è che vi si precisa che: “l'organismo o le strutture annotano l'avvenuta informativa e il consenso con modalità uniformi e tali da permettere una verifica al riguardo da parte di altri reparti ed unità che, anche in tempi diversi, trattano dati relativi al medesimo interessato”. E’ opportuno cioè che nei programmi informatici dei diversi reparti o strutture, sia adottato un sistema uniforme di conferma dell’avvenuto consenso, in modo che sia molto rapidamente verificabile se il consenso sia stato rilasciato o meno e si possa procedere con le altre attività sanitarie senza perdere altro tempo”.
“Ringrazio l'avvocato Rabbito per la precisazione – ha concluso Russo - Questa vicenda dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che la cultura della privacy, nel nostro paese, stenti ancora a decollare. Non vi è alcun bisogno di investire la Conferenza Stato Regioni di questa problematica, né, tanto meno, di rivolgersi alla Procura della Repubblica. Occorre invece informare e formare cittadini ed operatori sanitari, renderli consapevoli degli indubbi vantaggi, ma anche dei rischi insiti in tali tecnologie, insomma è un'operazione essenzialmente culturale senza dubbio affascinante, ma anche molto impegnativa. Ne riparleremo ampiamente, siamo pronti al confronto e al dibattito, in occasione del nostro prossimo 5° Congresso nazionale di Telemedicina e sanità elettronica – international telemedicine exhibition – programmato a Roma presso il Centro Congressi “Roma Eventi – Piazza di Spagna” per il 14-15-16 aprile p.v., dove vi saranno intere sessioni dedicate a questi temi”.