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QS Edizioni - sabato 21 dicembre 2024

Lavoro e Professioni

Infermieri: fieri di esserlo. Ma a fine turno il 72% è insoddisfatto. L’indagine Nursing Up

immagine 5 febbraio - Carichi di lavoro eccessivi, mancato sostegno da parte dei superiori e dell’azienda, scarso riconoscimento sociale. Sono questi alcuni dei motivi che fanno sentire il 68,5% degli infermieri italiani molto spossato e sfinito. Nonostante ciò, oltre il 70% non cambierebbe lavoro. Anche perché il 72,6% si sente utile. I risultati di una indagine condotta dal Nursing Up su un campione di 2.113 infermieri italiani. L’INDAGINE.
Stressati e stanchissimi, scarsamente supportati dai superiori e dall’azienda e senza un giusto riconoscimento per il lavoro svolto. Eppure, tra gli infermieri italiani, resta forte il senso di appartenenza e di motivazione: il 72,6% dei professionisti che si sente utile e il 70% non cambierebbe lavoro. A rilevarlo sono i risultati dell’indagine condotta dall’Osservatorio Nazionale sullo Stress lavoro correlato, il Burn out ed il Mobbing su 2113 infermieri (1.690 donne e 423 uomini).

Scopo dell’indagine è stato investigare il livello di stress esperito dagli infermieri italiani allo scopo di “produrre consapevolezza” e “dare un contributo alla comunità rispetto a questo fenomeno ancora non molto conosciuto e studiato”. Il quadro che è emerso è quello di una situazione di rischio critica: lo scarso supporto dei superiori e le possibili ambiguità/conflitti di ruolo possono creare situazioni di malessere e di disagio per gli infermieri. Il ruolo dell’infermiere è percepito come “faticoso” e il welfare delle aziende basso.

Entrando nel vivo dello studio, composto da 20 affermazioni che gli infermieri potevano commentare scegliendo tra “molto, poco e per niente d’accordo”, è emerso che il 72,55% degli infermieri è “molto soddisfatto di aver preso questa professione” (1.533 “molto” contro 486 “poco” e 94 “per niente”). L’85,52% degli infermieri ha risposto però di avere troppe responsabilità sul lavoro. Questo risultato, secondo l’Osservatorio, potrebbe derivare da elementi oggettivi: “a causa della crisi economica non viene sostituito il personale che va in pensione e contemporaneamente si ricorre sempre più spesso a contratti precari . Questo potrebbe indurre i dirigenti, ad aggravare le responsabilità sui singoli lavoratori e ad il carico di lavoro. Lo stesso dato potrebbe essere anche letto in modo soggettivo infatti il senso di responsabilità potrebbe essere collegato alla fatica che negli anni il personale infermieristico ha accumulato”.

Inoltre, gli infermieri si sentono poco (42,45%) e molto poco (38,38%) riconosciuti quando svolgono un buon lavoro, si sentono poco (44,58%) e per niente (34,64%) sostenuti dal Responsabile dell’Unità Operativa, e vivono una situazione di mala gestione e organizzazione, tanto che gli obiettivi sono poco chiari per il 53,48% e per niente chiari per il 30,29%. La struttura per la quale si lavora, secondo i partecipanti all’indagine, non riesce a trovare soluzioni adeguate ai problemi che l’infermiere si trova ad affrontare (ci riesce “poco” per il 57,97% del campione e “per niente” per il 32,94%). E alla fine il senso di appartenenza alla struttura in cui lavorano è per lo più poco (44,01%) e molto poco (33,98%).

Come se non bastasse, gli infermieri, inoltre, si sentono poco il 53.1% e per niente il 33.18% soddisfatti del ruolo sociale che l’infermiere ha ancor oggi. E così, il 68,5% si sente molto spossato e sfinito, e a fine turno il 58,4% è poco soddisfatto e il 14% per niente per niente soddisfatto. Per il 58,21% degli infermieri il carico di lavoro ha anche effetti negativi sulla propria vita.

Nonostante questo, il 72,55% degli infermieri intervistati ha dichiarato di essere molto soddisfatto di aver preso questa professione. Anche perché il 57,3% ritiene di riuscire ad aiutare “molto” i pazienti. Alla fine, nonostante le discrepanze tra quello che si pensa dovrebbe essere il ruolo dell’infermiere e le condizioni di lavoro effettive, il 40,42% degli infermieri non desidera cambiare lavoro, e il 31,28% è poco d’accordo con questa affermazione.
5 febbraio 2015
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