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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lavoro e Professioni

L’infermiere non è un medico. Parola di New York Times

di Mauro Quattrone
immagine 15 gennaio - Un editoriale del prestigioso quotidiano americano di qualche tempo fa sollevava molti dubbi sul crescente ruolo dato negli Usa agli infermieri nelle cure primarie. Sia dal punto di vista clinico che economico. Costano meno dei medici ma, se responsabili in prima persona, prescrivono molte più analisi e visite specialistiche. Temi che mi hanno fatto venire in mente il dibattito in corso in Italia sul comma 566
Ho seguito con molto interesse la discussione intervenuta su questo Quotidiano relativa al comma 566 della legge di stabilità. Talvolta, nei differenti attori intervenuti nel dibattito, ho notato un eccessivo attaccamento corporativo per rendite di posizione acquisite o altrimenti una eccessiva voglia di rivalsa per i trattamenti o le negazioni professionali subite in passato. Non entro nel merito delle discussioni o nella platea dei favorevoli o contrari ma cerco di dare un mio contributo neutrale alla discussione mediante un articolo apparso il 29 Aprile 2014 sul prestigioso The New York Times con il provocatorio titolo “Nurses, are not Doctors” a firma dell’editorialista sanitario Sandeep Jauhar. Le questioni dibattute sono in parti collimanti con quelle dibattute attualmente in Italia, riguardano lo stesso contenuto della discussione sia sul piano organizzativo che funzionale e sono strettamente legate alle professionalità medica ed infermieristica.
 
Lo stato di New York ha approvato una legge che concede agli infermieri il diritto di fornire cure primarie senza la supervisione del medico. New York si aggiunge ad altri 16 Stati e al Distretto di Columbia nell'assegnazione di tale autonomia. La maggior parte degli Stati richiedono ancora agli infermieri di lavorare congiuntamente con i medici nell'ambito di accordi comuni lavorativi Gli autori del disegno di legge sostengono che la collaborazione obbligatoria con un medico "non serve più alle finalità cliniche" ed ha ridotto, pertanto, il loro accesso alle cure primarie. Il supporto organizzativo per queste misure è stato operato quattro anni fa, dall’Institute of Medicine che ha contribuito a far cadere le ultime norme che impedivano agli infermieri queste pratiche, anche se la categoria era in possesso di buone performance curative in relazione "al loro grado di istruzione e alla formazione professionale". L'anno scorso il presidente della American Association of Nurse Practitioners ha sostenuto che l'attuale diversità tra operatori sanitari ha reso "la struttura gerarchica medico-centrica inutile".

La classe medica americana, in tali proposte, ha individuato una sottovalutazione dell'importanza clinica delle competenze dei medici e una sovrastima del rapporto costo-efficacia di infermieri. L'impeto dietro la nuova legge, che entrerà in vigore nell’anno corrente, è la carenza terribile di medici di base. Un grande motivo di questa scarsità è la differente remunerazione. Secondo l’editorialista del N.Y.T. le cure primarie vengono remunerate al minimo se relazionate a tutte le specialità mediche, per cui la medicina di base e le cure primarie rappresentano un minimo storico se rapportate all’equazione medici/residenti, nonostante l'Affordable Care Act di Obama abbia aggiunto milioni di nuovi pazienti assicurati con necessità di medici per assistenza primaria. Gli infermieri sono stati individuati in termini di convenienza economica per soddisfare questa esigenza.

Gli infermieri costano meno ma prescrivono di più. Medicare (assicurazione statale) attualmente rimborsa agli infermieri solo l'85 per cento della somma che rimborsa ai medici di assistenza primaria. Pagare meno per lo stesso lavoro sembra essere un modo conveniente per salvare, in parte, la disastrata riforma sanitaria. Ma sono gli infermieri in realtà i più convenienti per il Servizio sanitario federale? C'è una carenza di studi e nessuna ricerca empirica, ma alcuni studi hanno suggerito che la risposta è no. Secondo il N.Y.T, gli infermieri, anche se generalmente lodati per essere sensibili alle preoccupazioni psicologiche e personali del paziente, sembrano, più propensi a richiedere esami diagnostici, sicuramente in eccedenza, nei confronti della loro controparte medica. In base ad uno studio, pubblicato nel 1999 dalla rivista “Effettiva pratica clinica” i pazienti assistiti in cure primarie dagli infermieri erano sottoposti a più ecografie, TAC e risonanza magnetiche a scansioni, rispetto ai pazienti assegnati ai medici. Gli infermieri hanno richiesto il 25 per cento in più di visite specialistiche e il 41 per cento in più di ricoveri ospedalieri.

Tutto questo può portare o compensare il risparmio ottenuto? Talvolta la carenza di formazione è sopperita dalla richiesta spropositata di consulti e prestazioni specialistiche esterne. Gli infermieri, nelle scuole di formazione americana, ricevono circa 600 ore di insegnamento clinico durante il loro corso di istruzione formale e professionale, che è meno di quanto i medici ricevono nel solo primo anno di corso specialistico di tre anni. Secondo l’editoriale del N.Y.T. il pericolo maggiore paventato è quello di vedere un sistema sanitario ed ospedaliero a due livelli di cure primarie: il primo focalizzato sulla prevenzione delle malattie relativamente semplici e la promozione della salute, il secondo livello è quello di attenzione, quando insorgono complicanze che richiedono il giudizio necessario di un medico.

Cure primarie, anche se spesso di routine, possono nascondere qualcosa che sicuramente di routine non è. E’ la capacità di differenziare quelle sfumature pallide di grigio nella cura del paziente che conta. Per farlo in modo coerente necessita la competenza di un medico. Quindi, se vogliamo più provider di assistenza primaria, diamo maggiori e migliori competenze al ruolo medico e cerchiamo di incentivare questa professione con maggiori compensi retributivi. Vi è un luogo essenziale di incontro tra le differenti professionalità ospedaliere: è quello di far parte di un team, che in un rapporto di confronto e di reciproca collaborazione può essere utile ed essenziale per la cura del paziente.

Le similitudini Italia/Usa. Ritrovo in questo articolo del N.Y.T., anche se rivolto al sistema sanitario americano, dei punti di convergenza e di riscontro, con i pareri espressi qui in Italia su questo quotidiano da autorevoli esponenti e rappresentanti del mondo sanitario. Il primo punto riguarda la valutazione economica dei costi/benefici, questa scelta è determinante nella opzione medici o infermieri in base alle loro classi stipendiali; il secondo punto riguarda la possibilità di richieste massicce di indagini diagnostiche di laboratorio e d’immagine e di specialistica proposte dagli infermieri per una loro scarsa preparazione alla valutazione clinica del paziente, in rapporto alle maggiori capacità del medico. Questa situazione renderebbe nullo qualsiasi beneficio di risparmio economico. Terzo punto la possibilità che l’assistenza sanitaria, come qualcuno ha preconizzato, verrebbe “segata” in due comparti. Il primo di facile accesso e valutazione o di continuità terapeutica verrebbe assegnato agli infermieri, il secondo più complesso, di valutazione specialistica verrebbe assegnato ai medici.

Ultimo punto è quello che riguarda il nuovo modello organizzativo ospedaliero. In estremasintesi così dovrebbe essere composto e funzionare. Un team di professionisti organizzato intorno alla cura e allo studio di una patologia. Il Team segue il paziente dal check-in d’entrata ospedaliero, lo supporta nella degenza sino al follow-up post degenza. E’ un Team altamente specializzato composto da medici, infermieri, tecnici addestrato alla cura del paziente oltre al monitoraggio clinico post-degenza. 
 
Mauro Quattrone 
Consulente direzionale forecasts & planning managment
15 gennaio 2015
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