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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lavoro e Professioni

Aborto e obiezione di coscienza. Intervista a Silvana Agatone (Laiga). "Garantire metà dei posti a concorso ai non obiettori"

di Gennaro Barbieri
immagine 11 novembre - La presidente della Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della 194 lancia la proposta. "Sarebbe il modo migliore per garantire i diritti delle donne e per salvaguardare gli obiettori". E sottolinea. "In Italia troppo spesso si confondono interventi contraccettivi e abortivi. Esempio lampante è la pillola dei 5 giorni dopo: solo in Italia per somministrala è richiesto test gravidanza".
Le differenze tra aborto e contraccezione, i dati sull'applicazione della 194, le resistenze in cui si imbattono le donne lungo tutta la catena: dal medico al farmacista. Silvana Agatone, presidente della Laiga, chiede un'inversione di rotta e annuncia che "presto organizzeremo iniziative concreto lungo tutto il territorio nazionale". E ricorda. "Bisogna ripartire da una corretta educazione sessuale nelle scuole".
 
Il congresso della Laiga si è appena concluso. Può tracciare un bilancio dei lavori?
I lavori congressuali di Napoli hanno sancito la nascita di una rete tra associazioni che si occupano di salute della donna che, volta per volta, tratteranno un singolo argomento e lo svilupperanno tramite iniziative pratiche: l’obiettivo è farci ascoltare dal governo. Abbiamo avviato anche una rete di avvocati sparsi in tutta Italia che si occuperanno di difendere i diritti delle donne e dei ginecologi non obiettori. Si tratta di novità dall’enorme impatto, in quanto produrranno azioni ed effetti concreti.

Nel Lazio Zingaretti, con un decreto, ha limitato il diritto a non applicare la normativa sull’aborto. Come giudica questa scelta?
L’esempio del Lazio è assolutamente virtuoso e lo condividiamo pienamente, augurandoci che venga adottato anche nelle altre Regioni. Il punto cruciale risiede nel fatto che la pillola del giorno dopo viene considerata erroneamente uno strumento abortivo. Ciò ne limita enormemente l’accesso alle donne: i medici non la prescrivono e quando lo fanno i farmacisti non la distribuiscono. E’ in atto una limitazione alla contraccezione d’emergenza e, a causa di ciò, molte donne sono costrette a ricorrere all’aborto. Si tratta di una dinamica assolutamente irrazionale che cercheremo di arginare tramite azioni pratiche, perché è inaccettabile che in tutti gli anelli della catena si trovino resistenze a un diritto previsto dalla legge.

L’applicazione della legge è quindi sempre più a rischio?
L’articolo 9 della Legge 194 stabilisce che tutti gli enti ospedalieri debbano offrire alle donne la possibilità di usufruire dell’aborto entro i primi 90 giorni della gravidanza e anche nella fase successiva nel caso in cui si registrino malformazioni fetali o pericoli per la salute. I dati contenuti nella relazione che il ministro Lorenzin ha presentato in Parlamento lo scorso 16 ottobre mostrano invece un quadro opposto, che contraddice quanto previsto dalla normativa. In Italia infatti sono 3551 i medici obiettori, cifra pari al 69,6% del totale. E nel Lazio addirittura in 10 strutture pubbliche su 31 non vengono effettuate interruzioni di gravidanza.

Come tutelare anche i diritti dei medici obiettori?
Probabilmente nelle scuole di ginecologia non viene insegnato adeguatamente che esiste la 194 e cosa prevede. Quando si partecipa a un concorso pubblico, bisognerebbe infatti essere consapevoli che le leggi dello Stato vanno rispettate pienamente. E’ quindi necessario un cambiamento radicale in materia di formazione, ma servirebbe anche una maggior grado di responsabilizzazione da parte dei primari che devono far applicare le norme degli ospedali pubblici in cui vivono, impegnandosi ad avere medici non obiettori nelle strutture in cui sono carenti. Allo stesso tempo ritengo che gli obiettori vadano salvaguardati e, in questo senso, la scelta più saggia sarebbe quella di istituire dei concorsi ad hoc che prevedano il 50% dei posti per gli obiettori e l’altra metà per i non obiettori.

In Italia la pillola dei 5 giorni dopo fatica ad attecchire. Come giudica queste difficoltà?
L’Italia è l’unica realtà europea che richiede il test di gravidanza per la cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo. Agiremo con iniziative concrete su questo aspetto, perché impedire a una donna di poter agire su un rapporto a rischio significa automaticamente indurla verso un aborto. Il problema è alla radice, in quanto vengono veicolati messaggi sbagliati, che provocano una confusione tra interventi contraccettivi e abortivi. Il tema cruciale è investire per promuovere una corretta educazione sessuale nelle scuole.
 
Gennaro Barbieri
 
11 novembre 2014
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