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QS Edizioni - domenica 22 dicembre 2024

Lavoro e Professioni

Psichiatria. L'allarme della Sip: "Mille casi di violenza ogni anno contro gli operatori"

immagine 24 ottobre - Questa la denuncia della Società italiana di psichiatria che spiega: "Con tagli al Ssn troppi rischi, anche per i malati, e i servizi finiranno ‘sotto scacco'". I maggiori pericoli sono causati dalle nuove droghe, fino a 60 volte più potenti e facilmente acquistabili su internet insieme alle ‘istruzioni per l’uso’.
Otto operatori sanitari uccisi in circa 20 anni. Senza contare tutto ciò che morte non è, ma ferite, minacce, abusi, violenze protratte nel tempo. Numeri da brivido, e rischi proporzionati, quelli che coinvolgono medici e infermieri delle strutture psichiatriche italiane, che hanno in cura oltre 3,5 milioni di pazienti, ma raramente i veri responsabili di questi eventi. Il rischio di violenza infatti è in larga misura controllabile e prevenibile. Il problema reale sono le carenze di molti servizi, si di organico che di struttura. A questo si aggiunge la diffusione sempre maggiore e dilagante di persone che fanno uso di droghe, sintetiche e non, in grado di indurre agitazione psicomotoria tale da accrescere il pericolo di violenza. Persone, queste, che spesso non hanno uno specifico disturbo mentale, ma che accedono ai servizi di salute mentale, gli unici rimasti sul territorio a diposizione della popolazione. Richieste in netto aumento da almeno 10 anni, con picchi mai visti in questi ultimi tempi di crisi, che solo nel 2013 hanno superato i 1000 casi. Non tutti denunciati e non tutti con conseguenze ‘fisiche’, ma certamente in grado di mettere in pericolo il medico o l’infermiere. Un allarme che la Società italiana di psichiatria ha deciso di lanciare proprio in occasione della Prima Giornata Nazionale su salute e sicurezza degli operatori in psichiatria, che si svolge oggi a Bari, e dedicata a Paola Labriola (uccisa lo scorso anno) e Rocco Pollice (suicida nel gennaio di quest’anno). Due casi diversi, ma pur sempre due vittime di questo ‘sistema’ che ormai va assolutamente migliorato. Il primo passo sarà l’avvio di una indagine che coinvolgerà tutti i DSM italiani, grazie alla quale sarà prodotto un documento ufficiale per identificare e garantire gli standard minimi di sicurezza per operatori e pazienti”.
 
“I disturbi mentali più gravi – spiega Emilio Sacchetti, presidente nazionale sella Sip e direttore del DSM degli Spedali Civili, Università di Brescia – possono associarsi ad un maggior rischio di azioni aggressive. È però anche vero che i pazienti sono spesso loro stessi vittime di violenza da parte di altri. È evidente, quindi, che condurre il problema della sicurezza a una semplice equazione ‘paziente - violenza - aumento del rischio’ è un errore che rischierebbe di incrementare l’uso di terapie restrittive (aumento delle contenzioni o eccesso di sedazione) di cui il paziente non ha affatto bisogno. Non è però nemmeno più accettabile che medici e infermieri si trovino in prima linea in una guerra che non possono e non devono combattere. Anche queste sono ‘morti sul lavoro’, e come tali inammissibili. Inoltre i nostri reparti e servizi territoriali, in questo periodo di crisi economica e sociale, hanno progressivamente perso risorse umane, si sono impoveriti diventando un territorio poco presidiato e di nessuno. La violenza e il rischio di aggressioni sono fenomeni controllabili, ma non si può lavorare in servizi sottodimensionati. Perché questo comporta difficoltà di controllo e ritardi nella gestione delle cure, con rischio maggiore di errore medico, e non solo, e rischio di burn-out per gli operatori. Un altro aspetto possibile è quello di correggere e garantire standard logistici adeguati. Locali ed arredi devono essere progettati ad hoc e non assemblati con casualità. Molto spesso, invece, gli amministratori non tengono conto di nessuno di questi problemi e ritengono la psichiatria un’area sulla quale possono operare facilmente tagli di costi e spesa, perché non utilizza tecnologie avanzate. Questo è profondamente sbagliato. Proprio perché già a basso costo, ogni taglio ha un effetto ancora maggiore. In questo contesto la SIP guarda con grandissima preoccupazione all’eventualità dio nuovi tagli che sarebbero, oltre che ingiustificabili anche insostenibili. Da qui parte l’iniziativa di indagine sugli standar minimi di sicurezza che la SIP promuoverà nei prossimi mesi e che porterà ad un documento ufficiale”.
 
“In questi anni di crisi – aggiunge Claudio Mencacci, past-president Sip e direttore del DSM del Fatebenefratelli di Milano – si è verificato un aumento della pressione mediante una aggressività verbale (e non solo) , da parte della cittadinanza che si rivolge ai servizi Psichiatrici non per chiedere cure ma per ottenere cibo, soldi, casa. Esasperata dalla situazione economica, questa si ripercuote su personalità fragili e antisociali che avendo meno supporti, possono scaricare la loro rabbia solo sui servizi, tentando di psichiatrizzare la disperazione sociale. Sono le personalità fragili, ma prepotenti, spesso non consapevoli e più orientate alla antisocialità, che diventano più aggressive in un ambiente sempre più aggressivo. Quindi l'insulto, la minaccia, la prepotenza e la pressione sono sicuramente aumentati, il passaggio all'atto violento è diventato più frequente come tristemente riporta la cronaca. Lo psichiatra territoriale invece di essere percepito solo come medico e curante, viene anche considerato come ‘giudicante’ e alleato con la forza pubblica. A dimostrazione che non è mai stato risolto il dilemma della separazione tra funzione pubblica ‘curante’ e funzione ‘giudicante’. Fare entrambe le cose espone i medici alla aggressività della persona, paziente o antisociale che sia. Non subiamo il rischio solo sul posto di lavoro ma ce lo portiamo anche a casa, spesso con minacce personali. Gli operatori non sempre riescono a sopportare il peso delle decisioni che devono prendere e delle minacce, negano la paura ma cadono in burn–out”.
 
Questa ‘solitudine’ degli operatori può essere prevenuta attraverso formazione, sicurezza strutturale e organizzativa, che però non sono sufficientemente realizzate e diffuse in rapporto al problema. “Affrontare il tema dei comportamenti violenti – spiega Enrico Zanalda, segretario nazionale della Sip e direttore del DSM della Asl Torino 3 – non è quello di fomentare la paura, ma di pretendere consapevolezza dei rischi e sicurezza di mezzi per gli operatori, in modo che non si sentano soli nell’affrontare situazioni così complesse. Bisogna ricordare che l’abuso di droghe incrementa notevolmente il rischio di comportamenti violenti e che i pazienti con disturbi mentali, soprattutto giovani, hanno minori capacità di ‘resistere’ all’assunzione e all’abuso di queste sostanze. L’apprendimento all’acquisto e all’utilizzo delle sostanze più disparate, come quelle sintetiche e nuove, è facilissimo via internet. Basti pensare al THC sintetico (60 volte più potente di quello naturale), alle numerose sostanze anfetaminosimili o allucinogene che si trovano anche sotto forma di sali da bagno, i cui effetti sono devastanti sulla mente e sul fisico degli utilizzatori. Quando persone intossicate giungono in condizione di agitazione psicomotoria o di paranoia in pronto soccorso, spetta allo psichiatra doverli trattare clinicamente, sovente senza informazioni adeguate alla situazione; molte di queste sostanze non hanno nemmeno la possibilità di essere riconosciute dai test in dotazione”.
 
“Una copertura universale dei servizi di salute mentale, rivolta anche a patologie non storicamente prese in carico dai servizi – conclude Guido Di Sciascio, vicesegretario nazionale della Sip e dirigente della clinica psichiatrica del Policlinico di Bari – rappresenterebbe una pietra angolare nel ridurre l’impatto della crisi, come elemento per ridurre disuguaglianze nella salute. C’è poi un’ampia convergenza in letteratura nel ritenere che interventi di supporto al benessere di genitori e figli è protettivo sul rischio di sviluppare patologia mentale, con un guadagno di lungo periodo superiore ai costi di breve periodo. Inoltre anche la formazione per gli operatori, per consentire interventi in casi di comportamenti violenti di persone in preda ad altre patologie spesso confuse con quelle mentali. Ma per questo servono risorse, impegno, personale, sicurezza. Tutto ciò non si vede, e i rischi per il futuro non possono che aumentare. Per questo – conclude lo specialista – chiediamo maggiori risorse, insieme alla messa a punto di un Piano per la sicurezza, a partire da sistemi di ‘alert’ e monitoraggio nelle situazioni maggiormente sensibili”.
24 ottobre 2014
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