Di
Mario Riccio si parlò molto nel dicembre del 2006 quando esaudì la volontà di
Piergiorgio Welby, malato da tempo, aiutandolo a morire. Fa i'anestesista e rianimatore all’Ospedale di Cremona e come ogni medico ha letto e si è fatto una sua idea sul
nuovo Codice deontologico approvato dalla Fnomceo. Non gli piace e non lo nasconde. Vediamo perchè in questa intervista.
Dottor Riccio, lei a proposito del nuovo codice ha già sottolineato che “”non si ravvedono sostanziali progressi nell'affrontare le nuove sfide bioetiche del terzo millennio”. Vuole chiarire meglio?
Nel nuovo codice si è voluta cristallizzare la situazione e con l’uso delle perifrasi non si è voluta prendere nessuna posizione. Se guardiamo l’articolo 15 c’è scritto: “Il medico non deve sottrarre la persona assistita a trattamenti di sicura efficacia”. In altri articoli c’è una certa ambiguità e incertezza. Per esempio per quanto riguarda la verità al paziente nell’informazione alla malattia alla fine si dice che il medico deve essere chiaro con il paziente ma anche in caso di prognosi infausta non deve mai negare aspetti di speranza. Si può capire da un punto di vista umano, ma da un punto di vista pratico come si fa?
Lei si aspettava di più dal nuovo codice?
No, non mi aspettavo niente. Anche perché qualche informazione l’avevo avuta e qualche bozza girava. Però di fatto questo codice deontologico non ha risolto assolutamente niente. Ad esempio il presidente dell’ordine di Brescia ha detto subito che in questo codice c’è scritto che i medici bresciani possono rifiutare di applicare il protocollo stamina. Se ci fosse stato un medico che un anno e mezzo fa avesse voluto esercitare l’obiezione di coscienza la vicenda non sarebbe nemmeno partita. Ma invece è partita perché c’è stata la connivenza dei medici che hanno iniettato il nulla. Se non ci fosse stata ambiguità Stamina si auto bloccava da sola. Adesso si è bloccata perché sono arrivati gli avvisi di garanzia.
Sulla bioetica cos’altro non la convince?
L’articolo 17 (
atti finalizzati a provocare la morte) è il trionfo dell’ambiguità. Hanno tolto la parola eutanasia, il medico, si dice, non deve procurare atti finalizzati a procurare la morte. Tradotto vuol dire che il dottor Riccio, che sapeva bene che interrompere a Piergiorgio Welby il trattamento della ventilazione voleva dire provocarne la morte, poteva essere condannato deontologicamente. Credo che con la dicitura
atti finalizzati a provocare la morte si sia fatta una concessione alla parte confessionale degli ordini dei medici perché ora qualsiasi cosa non si può interrompere. A me fa ridere che il nuovo codice mi condanna mentre quello precedente mi “salvò”. Non voglio personalizzare la cosa, però in terapia intensiva le terapie salvavita si sospendono con quotidianità. In questi reparti più del 50% delle morti sono dovute a questo motivo, cioè ad atti che non iniziano, che si interrompono o che si riducono. Quindi sotto questo aspetto questo codice è un disastro.
Come valuta le critiche che altri presidenti di ordini hanno fatto?
Non vorrei che le critiche fossero di tipo ideologico, con qualcosa dietro di tipo politico, per la gestione della Federazione nazionale dei medici. Insomma la doppia figura del presidente
Amedeo Bianco che non è stata digerita da molti.
Usciamo dal Codice e torniamo ai tempi dei casi Welby ed Englaro quando la bioetica era al centro della politica, ora invece non se ne parla più. Come mai?
È vero, il caso di
Piergiorgio Welby fece da apripista, e alla vicenda di
Eluana Englaro il Parlamento rispose con il pessimo Ddl Calabrò che addirittura mise il Capo dello Stato nella condizione di non firmare il provvedimento. Cosa rarissima nella storia repubblicana.
Per rispondere alla sua domanda credo che la politica preferisca non prendere posizione, preferendo lasciare le cose così come stanno. Tra i partiti si pensa che la bioetica non debba essere motivo di confronto perché rischia di indebolire le parti in gioco, ovvero perdere voti. Dietro questi giochi o accordi di “palazzo” però ci sono le vite delle persone.
In lei non c’è la speranza che questa classe politica riesca a fare qualcosa di bioeticamente valido?
Assolutamente no, in particolare in questo momento. In verità non nutrivo molte speranze neanche ai tempi della vicenda Welby quando il governo era guidato da
Romano Prodi quindi in teoria “progressista”. Io fui attaccato con veemenza da
Paola Binetti che faceva parte dell’Ulivo, forza di sinistra. Lo stesso ministro della Salute di allora,
Livia Turco, non prese mai una posizione chiara sulla vicenda Welby, anzi si dichiarò contraria ma come ministro della Salute avrebbe dovuto riconoscere l’autodeterminazione del paziente e riconoscere che le terapie possono essere sospese.
Lei cosa si aspettava dalla ministra Turco?
Io non voglio personalizzare la cosa ma insomma la “mia ministra” non disse mai una parola chiara. Credo che avrebbe dovuto riconoscere che eravamo di fronte ad un paziente che chiedeva di interrompere una terapia e che c’era un medico consenziente. E che questo rientrava nel rapporto medico-paziente come fece il giudice che mi prosciolse, riconoscendo che io, il dott. Ricco, avevo l’obbligo di assecondare la volontà del paziente, rendendo il reato non punibile.
La bioetica, almeno per adesso, è destinata a restare nelle mani dei giudici e ad essere scritta dalle sentenze piuttosto che dalle leggi?
Nella sua interpretazione c’è un retro-pensiero che non mi piace, perché lei dice nelle mani dei giudici. Attenzione, l’idea che in Italia ci sia una specie di giurisprudenza creativa, come nel regime di Common Law, dove il giudice decide sulla base di una sua convinzione e di un precedente, io che sono un semplice medico di campagna mi assocerei a quanto dice
Stefano Rodotà per il quale non esiste un vuoto giuridico che il giudice riempie ma al contrario esiste un “pieno giuridico”. Il giudice che mi proscioglie per il caso Welby fa una chiaro riferimento ad un principio costituzionale, l’autodeterminazione, che non può essere non essere applicato.
Lo stesso discorso per la Legge 40 che è stata smantellata anche da pronunciamenti della Corte Costituzionale.
Stefano Simoni