Bene, secondo
Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao Assomed, la ministra della Salute Beatrice Lorenzin quando davanti alla Commissione Affari Sociali, in audizione per concludere la relazione sul Patto per la Salute, ha parlato di “budget certo, almeno fino al 2017, ed in crescita sia pure in misura tale da non recuperare il differenziale di spesa nei confronti degli altri paesi europei”, e altrettanto bene quando ha manifestato la “volontà di riportare a livello centrale il controllo sulla erogazione dei lea sottraendolo, almeno in parte, al ministero dell’economia per restituirlo al ministero della salute”.
Meno bene invece secondo Troise quando Lorenzin ha rimosso “la questione lavoro in sanità”, e dei suoi agenti, le famose risorse umane, delle loro condizioni di lavoro specie nei punti del sistema maggiormente sottoposti a stress quali i pronto soccorso, sempre più gravose e rischiose. L’unico accenno è una critica ingenerosa al ruolo ed alle funzioni dei direttori sanitari, dimenticando che nella gerarchia della cosiddetta direzione strategica essi sono l’anello debole, spesso non messo in condizione di svolgere il lavoro per cui è assunto”.
Il punto, fa sapere uil segretario nazionale, “è che le regioni assegnano ai direttori generali obiettivi che non sono quasi mai obiettivi di salute, ma si limitano alla riduzione dei costi, a prescindere dalle conseguenze su quantità e qualità dei servizi erogati, per cui il paradosso è che i direttori generali sono gli unici a vedere crescere le loro retribuzioni grazie agli incentivi ricevuti per compiti che esulano dalla missione delle loro aziende”.
“Vedremo – aggiunge Troise – i fatti che seguiranno queste parole, ma non dimentichi il ministro la promessa di coinvolgere le organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria nella definizione del patto”.
In caso contrario – conclude l’Anaao “l’esercizio laboratoristico che regioni e governo si preparano a concludere, non supererà la prova dei fatti, cioè della proiezione nelle realtà in cui oggi si è costretti a curare e a rivendicare l’esigibilità del diritto alla salute”.