toggle menu
QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lavoro e Professioni

L'assurdità del contratto "a costo zero"

di Ivan Cavicchi
immagine 13 gennaio - Esaurite tutte le politiche di contenimento finanziario messe in campo dalle Regioni in questi anni, la vera novità della fase, è che definanziamento e decapitalizzazione del lavoro ormai coincidono. Ma svalutare il lavoro con il “costo zero” per definanziare strutturalmente il sistema, significa anche destrutturare il sistema pubblico
Sono molto d’accordo con Riccardo  Cassi quando, a proposito del rinnovo contrattuale “a costo zero”, sostiene  che  forse è meglio non fare questo finto rinnovo  e impegnarsi per definire una proposta riformatrice (QS 10 gennaio 2014). Per  spiegare le mie ragioni, devo svolgere un ragionamento articolato (della cui lunghezza quasi obbligata mi scuso) dividendo l’analisi in tre parti: la prima per inquadrare i problemi “spesa pubblica/sanità”, la seconda   per inquadrare più specificatamente quelli “spesa pubblica/lavoro”, la terza per trarre delle conclusioni dalle prime due.
 
Spesa pubblica/sanità
· Oggi sulla sanità comandano i problemi della spesa pubblica…cioè essi sono ineludibili… quindi bisogna farci i conti;
·  a causa di questi problemi la sanità è definanziata…e questo è un dato incontrovertibile;
· per contro finanziare  il definanziamento dovremmo fare dei cambiamenti  profondi…perché è il costo dello  status quo la controparte vera del de finanziamento;
· l’obiettivo strategico di una eventuale riforma contro rifinanziatrice   è rimuovere i costi delle contraddizioni  tra  spesa pubblica e sanità;
· chi governa la sanità propone il “costo zero” come se i rapporti tra spesa pubblica e sanità fossero lineari e a senso unico…dalla spesa pubblica alla sanità. La prima comanda la seconda…e la seconda deve adeguarsi ai suoi imperativi;
· in realtà tale presupposto  è sbagliato e inaccettabile, i rapporti  nella realtà  sono circolari: la sanità non è condizionata solo dalla spesa pubblica, ma la spesa pubblica  a sua volta  è condizionata  dalla sanità al punto da  risultare  a sua volta “determinata in sovrappiù” grazie ad una quantità smisurata di costi collaterali abusivi e parassitari, che sino ad ora le Regioni non sono riuscite o non hanno voluto  cancellare;
· il “costo zero” è  un gioco a “somma zero” cioè i risparmi di spesa hanno come corrispettivo i tagli del definanziamento, esso può essere ripensato come un gioco a “somma diversamente da zero ” in cui il principio è quello del "Transferable Utility" (TU) cioè  trasferendo utilità in relazione al ruolo svolto tanto dalla sanità che dalla spesa pubblica, secondo accordi;
· secondo il principio del TU i limiti che la spesa pubblica   impone ai costi della sanità  possono essere compensati in sanità rimuovendo gli  equivalenti costi incongrui;
· il gioco “somma diversamente da zero”  può soddisfare ma in positivo l’esigenza della spesa pubblica di mantenere i saldi invariati;
· se ciò è vero si tratta di usare la circolarità “sanità versus spesa pubblica”  per scambiare utilità(TU) cioè  neutralizzare i limiti   rimuovendo i costi  delle contraddizioni;
· le  tre  principali contraddizioni tra spesa pubblica e sanità sono: la regressività del sistema sanitario cioè i costi dovuti alla sua arretratezza culturale( medicina difensiva, ,status giuridici obsoleti, professioni inadeguate, formazione inappropriata,  vecchi modi culturali di essere e di agire dei servizi, conflitti di competenze  ecc);le  diseconomie cioè lo spreco ingiustificato di risorse pubbliche,(corruzioni, abusi, privilegi, malfunzionamenti, disorganizzazioni ,favoritismi ecc) e le antieconomie cioè le asimmetrie  tra ciò che spendiamo e i benefici che ricaviamo in particolare a causa di modelli di tutela, di professioni e di servizi ampiamente superati rispetto alle sfide di contesto.
 
In sintesi  la contraddizione politica da rimuovere  usando la circolarità, è tra  una  spesa pubblica  limitante   e una sanità abusivamente costosa, tra il  definanziamento e il  rifinanziamento. Oggi non è possibile rispondere al “costo zero” se non rifinanziando il sistema con una cambiamento del sistema. Definisco “compossibilità” l’operazione che rimuove le contraddizioni  tra spesa pubblica e sanità.  Per fare compossibilità ci vuole un cambiamento profondo, una riforma.
 
Spesa pubblica/lavoro
Cosa vuol dire nel quadro appena delineato un contratto a “costo zero”? Tutti pensano che voglia dire non avere aumenti di retribuzione purtroppo non è solo questo. Per capire il significato di “costo zero” bisogna prima rammentare le principali caratteristiche del lavoro in sanità:
· Il lavoro in sanità è il  capitale della sanità sul quale e grazie al  quale lo Stato investe per fare salute;
· il prezzo del lavoro cioè la retribuzione  in sanità non è determinato  da nessuna concorrenza tra domanda di salute e offerta di servizi, ma dalle disponibilità della spesa pubblica;
· chi lavora in sanità non vende al malato il proprio lavoro perché Il suo lavoro  è intermediato dal “terzo pagante”(regioni e aziende)il cui vero obiettivo è regolare soprattutto i rapporti  tra sanità e spesa pubblica;
· in sanità il lavoro non è una “merce” che si vende al malato che comunque  compra le prestazioni del  lavoro con le tasse  ma una conoscenza che si offre incondizionatamente al malato per soddisfare un suo bisogno di salute in cambio di un compenso convenzionale, cioè un contratto;
· in sanità il lavoro non è pagato  in ragione della salute prodotta  ma  in ragione delle compatibilità di spesa;
· oggi “costo zero” vuol dire che il  costo del lavoro  è diventato praticamente incompatibile con la spesa pubblica;
· il “costo zero” non vuol dire che il lavoro non costa ma solo che deve essere definanziato cioè tendenzialmente azzerato.
 
La sanità pubblica è programmata, dalla legge di stabilità, per essere progressivamente definanziata per cui il “costo zero” a sua volta  è destinato a diventare sub decrescente  cioè “zero meno”. Oggi all’insegna del “costo zero meno”  stanno emergendo   misure molto pericolose:
· la prima  riguarda le “competenze”: il costo del lavoro in sanità varia da professione a professione, quello del medico ha un costo più alto di quello degli infermieri, se alcune competenze del medico sono svolte dagli infermieri, il costo di quelle competenze è “sub decrescente”;
· la seconda riguarda la riduzione degli organici ospedalieri: si ridefinisce il tempo di assistenza giornaliero al letto del malato per tipo di specialità al minimo e quindi si aggiornano le dotazioni organiche al minimo del personale sanitario. Anche questo è nella logica della  sub decrescenza
· la terza ripesca con regolare bando di concorso la figura “dell’assistente volontario” proponendoci lo scambio “posto di lavoro/ zero retribuzione” nel quale  la sub decrescenza è massima.
 
Queste  misure per ora sporadiche hanno tutte lo stesso significato:
oggi la spesa pubblica  considera paradossalmente il lavoro  un “anti capitale” al punto da volerne azzerare il costo…cioè al punto da imporre con il “costo zero” la sua  decapitalizzazione cioè il  deprezzamento progressivo del   suo valore retributivo: “costo zero” versus “costo zero meno”.
 
Accettare di rinnovare i contratti a “costo zero” è una follia perché significherebbe rassegnarsi alla decapitalizzazione e alla sub decrescenza del valore del lavoro.
 
Ricapitalizzare il lavoro per rifinanziare la spesa pubblica con un altro genere di spesa sanitaria
Esaurite tutte le politiche di contenimento finanziario messe in campo dalle Regioni in questi anni, la vera novità della fase, è che definanziamento e decapitalizzazione del lavoro ormai  coincidono. Ma svalutare il lavoro con il “costo zero” per definanziare strutturalmente il sistema, significa anche  destrutturare  il sistema pubblico. Sino ad ora, nonostante tutto, è stato il lavoro che ha garantito la sussistenza del sistema  pubblico. La questione “lavoro”, oggi non riguarda  solo chi lavora in sanità ma riguarda soprattutto i cittadini e la società. Cioè riguarda niente meno che la tenuta dell’art 32 della Costituzione.
 
Come uscirne?
· Si tratta di rispondere al definanziamento quale decapitalizzazione del  lavoro  usando in senso riformatore la circolarità dei rapporti tra spesa pubblica/sanità/lavoro per invertire le tendenze in atto;
· se le condizioni attuali della spesa pubblica escludono la possibilità di aumenti retributivi, cioè  se   a lavoro invariante corrisponde il “costo zero” non è detto che ripensando il lavoro, non si possa riaprire il negoziato sul suo rifinanziamento
· l’idea politica è: riformare il lavoro per ricapitalizzarlo proponendo  alla spesa pubblica   un accordo TU  in cui il lavoro si impegna a rendere gradualmente compossibili i rapporti tra spesa pubblica e  sanità quindi  a  rimuovere  le contraddizioni che oggi esistono tra lavoro spesa.
 
Come fare?
Una proposta dettagliata  di riforma del lavoro è contenuta nel mio libro “Il riformista che non c’è, le politiche sanitarie tra invarianza e cambiamento” (Dedalo 2013) che per ragioni di spazio non posso sunteggiare. Chiudo con tre titoli…per me riformare il lavoro significa:
· rompere  prima di tutto  la contrapposizione lavoro/spesa pubblica, producendo un'altra qualità/quantità  di spesa sanitaria   
· creare le condizioni per  retribuire almeno in parte  il lavoro con i risultati di salute  che esso produce, retribuendo   le convenienze prodotte per la spesa pubblica ad essi correlati(riduzione delle diseconomie, lotta alle anti economie ecc);
· ridiscutere l’intermediazione aziendale   tra lavoro e cittadini ..se il lavoro è un capitale si tratta di affermare un management diffuso.
 
In pratica che si fa?
Esiste il problema del “riformista che non c’è” per cui ob torto collo ci si deve organizzare con  una propria proposta. Chi propone il “costo zero” non è in grado di proporre altro. L’ideale sarebbe promuovere come sindacati e come professioni una “conferenza per la riforma del lavoro in sanità”, intendendo il lavoro come uno stampo, un paradigma da ripensare, nelle sue principali componenti costitutive, quindi postulati e presupposti, organizzazioni. Gli obiettivi politici sono quelli qui indicati. Pensare di fare una conferenza unitaria delle professioni è molto difficile, e con i conflitti aperti quasi impossibile, ma a parte i conflitti, l’eterogeneità degli interessi è oggettivamente un ostacolo. Si può tentare  di definire una piattaforma di base, per aprire una discussione tra le professioni interessate…addivenire ad una sorta di protocollo di intenti  e puntare successivamente alla conferenza. L’intersindacale medica che è già un soggetto composito di rappresentanze diverse potrebbe prendere l’iniziativa, intanto per l’area medica, poi si vedrà.
 
Ivan Cavicchi
13 gennaio 2014
© QS Edizioni - Riproduzione riservata