Le dichiarazioni critiche della Fimmg contro l’atto di indirizzo sull’assistenza territoriale delle Regioni, (
QS 6 dicembre) pur veementi non mi hanno sorpreso. L’intemperanza delle parole spesso tradisce semplicemente l’importanza della posta in gioco e la posta in gioco questa volta per i medici di famiglia sembra alta. E poi me l’aspettavo. (“Ho la sensazione”, scrivevo tempo fa a proposito della convenzione per la medicina generale, “che la sua storica intoccabilità prima o poi per tante ragioni intuibili sia destinata a finire”).
Le Regioni si sono fatte avanti con una proposta diversa dal solito (
QS 4 dicembre). Per cui parlare come ha fatto la Fimmg di “medioevo contrattuale” e di voler “distruggere le basi della nostra sanità nazionale” mi è sembrata una reazione ermeneuticamente interessante. Al suo ultimo congresso, la Fimmg si è dichiarata “imbarazzata per l’incapacità delle Regioni a riformare l’assistenza primaria” (
QS 5 novembre). Oggi mi pare che la stessa cosa valga anche se in modo rovesciato per le Regioni nei confronti della Fimmg. Oggi la Fimmg attacca a testa bassa il titolo V della Costituzione e sogna una convenzione che definisca un “medico universale” con un “ruolo unico” e un “livello essenziale di assistenza unico e nazionale”.
Ma veniamo al punto politico: la vera novità è che è cambiato il vento, la fase, il contesto. Le Regioni oggi non devono cavarsela nei confronti del solito sotto finanziamento ma devono far fronte al definanziamento strutturale del sistema sapendo, a proposito di cure primarie e assistenza territoriale, che le politiche di ieri, sostenute in prima istanza dalla Fimmg, e legate alla ottimizzazione della convenzione, non bastano più. La novità quindi è che per le Regioni non si tratta più di rinnovare la convenzione a costo zero confermandone la struttura ma di ripensarla radicalmente al fine di liberare risorse e compensare il definanziamento soprattutto del sistema ospedaliero.
Ma in che modo ripensare la convenzione? Da una parte il rischio è che la Fimmg proponga come ha fatto in questi anni di cambiare tutto per non cambiare niente cioè concedendo qualche contentino, ma facendo bene attenzione a tenersi stretti tutti i vantaggi del rapporto convenzionato. Dall’altra le Regioni e il loro atto di indirizzo: “la situazione economica
impone una revisione radicale del modello assistenziale” per cui puntano in qualche modo a rimpicciolire l’ambito delle materie disciplinate dalla convenzione per alleggerirne i costi.
Il loro ragionamento sembra lineare: se il modello assistenziale dipende dalla convenzione come si fa a cambiarlo senza cambiare la convenzione e quindi senza ridisciplinare il rapporto di lavoro tra medici e Stato? Davanti a un quesito come questo, il riformismo della Fimmg molto ben circoscritto nei confini del decreto Balduzzi è come spiazzato. La novità che vedo nell’atto di indirizzo è che la natura ibrida del rapporto di lavoro convenzionato per la prima volta rischia di configurarsi come un ostacolo al cambiamento e quindi come il vero problema da risolvere.
Le Regioni hanno ribadito che il rapporto di lavoro dei medici di famiglia non è in discussione. Sta di fatto che i medici interpretano la multidisciplinarietà e l’integrazione con le strutture pubbliche del territorio, come una perdita di autonomia fino a temere di diventare dei “funzionari” . “Il sistema feudale delle regioni”, dichiara
Silvestro Scotti vicepresidente della Fimmg “individua nei medici di medicina generale i futuri servi della gleba….i meccanismi proposti rispetto alla ristrutturazione del compenso toglierebbero più del 30% delle risorse fornite ai medici, oggi investite sull'organizzazione dello studio…, per ricondurle… a quella di un funzionariato ”.
Che fare? Personalmente penso che la Fimmg si trovi oggettivamente in difficoltà a causa di una sua interna contraddizione strategica: da una parte essa sa bene che è arrivato il momento di cambiare, ma malvolentieri è disposta a rinunciare alle prerogative che ha costruito in questi 30 anni con la convenzione. Le Regioni dal canto loro pur volendo cambiare le cose oltre l’antinomia convenzione/dipendenza non riescono ad andare e pensano di poter fare di più solo se riusciranno a controllare direttamente di più ciò che sino ad ora è stato appaltato delegato direttamente al medico di famiglia.
Io ribadisco che tra dipendenza pubblica , lavoro convenzionato e libera professione, esiste la strada dell’autogoverno del lavoro cioè degli “autori” cioè di tutti coloro, infermieri compresi, che abbiano rapporti diretti con il malato. Si tratta di definire “autori” dentro un nuovo progetto di cooperazione intra professionale e non inseguire competenze per restare eternamente “dipendenti” delle loro definizioni burocratiche. Per me tanto i medici convenzionati che i medici dipendenti dovrebbero essere contrattualmente considerati “autori” quindi contrattare lo scambio tra autonomia e responsabilità misurando la loro retribuzione principalmente con i risultati.
Hanno ragione i medici di famiglia a temere il funzionariato ma la risposta non può essere quella di restare attaccati alla propria convenzione. Hanno ragione le Regioni a cercare altre soluzioni oltre la convenzione ma la strada non può essere quella del parastato.
E’ cambiato il vento…. è tempo per tutti di cercare altre direzioni .
Ivan Cavicchi