Ma insomma è mai possibile che non ci sia qualcuno da qualche parte in questa sanità impiagata in grado di prendere in mano questa assurda “guerra delle competenze” , soprattutto tra medici e infermieri? Possibile mai che le due più grandi categorie della sanità non riescano a trovare un accordo su un accordo che spacca la sanità, oltretutto sull’irrilevante? Ma dietro l’irrilevante che c’è?
Prima di tutto le categorie, cioè centinaia di migliaia di persone in grave difficoltà che chiedono soluzioni; quindi un vecchio conflitto mai governato, errori e poca progettualità, e ora da ultimo gli effetti della super rappresentanza parlamentare. Domanda: a che serve avere i santi in paradiso se non si ricevono miracoli? Risposta: se non si riesce a fare miracoli quindi ad essere santi tanto vale essere conquistatori e scatenare la guerra. Contro risposta: non di guerre si ha bisogno ma di una nuova progettualità riformatrice.
Sul merito dell’accordo ministeriale ho già scritto (
QS 17 aprile 2012). Cinque le critiche che vorrei avanzare ora:
· la prima è strategica, prima di parlare di competenze si dovrebbero definire i soggetti professionali quindi le loro abilità, le loro autonomie, le loro responsabilità e le loro relazioni con gli altri;
· la seconda è politica, pensare di forzare per ottenere qualcosa che riguarda gli altri rinunciando all’intesa è da irresponsabili, si decentrerà il conflitto nei luoghi di lavoro;
· la terza è metodologica, non penso che si possano definire delle competenze al difuori di una forma condivisa di cooperazione tra le professioni, quale espressione di una certa organizzazione del lavoro a sua volta dedotta da una domanda e da un contesto;
· la quarta riguarda l’inopportunità, intervenire sulle competenze professionali , in organizzazioni che non mutano vuol dire intervenire con criteri arbitrari, quindi in modo inopportuno, sui delicati equilibri delle divisioni del lavoro.
A queste critiche aggiungo la quinta: sono le Regioni che hanno avuto l’idea di mettere su al ministero una sorta di conferenza di Jalta per smembrare le competenze, affidando però questa delicata operazione alla burocrazia, cioè ritenendo la questione risolvibile per via amministrativa, quindi semplicemente un problema di aggiornamento delle declaratorie. Il conflitto che si è scatenato, e che ormai dura da anni, ci dice esattamente il contrario: non si tratta di un problema amministrativo.
Questa vicenda nasce e viene da lontano, in essa vedo il prolungarsi di un vecchio errore che oggi, se fossimo meno pugnaci, faremmo bene a recuperare. Fino a ieri sul principio di ausiliarietà si è basata una certa relazione tra medico e infermiere. La sua ridiscussione avrebbe dovuto implicare la riforma di tale relazione, che non c’è stata, quindi un'altra organizzazione del lavoro. L’errore non è stato tradurre ausiliarietà in autonomia e quindi in competenze (il l nuovo profilo resta fondamentale), ma non aver completato il processo di cambiamento, definendo nuove relazioni tra competenze e quindi altre forme di cooperazione interprofessionale.
Oggi al ministero della Salute l’errore non viene corretto facendo evolvere la normativa, ma ribadito: si insiste nell’allargare le competenze di qualcuno a scapito di qualcun altro, oltre tutto per discutibili motivi economicistici, a dispetto delle relazioni interprofessionali. Questo ci fa capire che per alcuni la legge 42 sia considerata come un big bang che al suo passaggio dovrebbe creare degli universi. Ma la legge 42 proprio perché non è un big bang oggi ha forti problemi di regressività. Per uscire da questa regressività non servono le guerre per le competenze ma delle intese riformatrici con i medici.
Sia il medico che l’infermiere, anche se in modi diversi, si trovano davvero nella stessa barca e con gli stessi problemi di fondo. I medici cercano di risolverli con “l’atto” e gli infermieri con le “competenze”. I primi cercano l’esclusività, cioè di difendere delle prerogative, i secondi cercano di fare qualcosa in più a scapito delle prerogative degli altri. Ma mentre i primi si unificano nell’intersindacale, i secondi si frammentano in tanti pezzi perdendo pezzi. Sto pensando tanto all’arcipelago dei punti di vista quanto alla tendenza diffusa di delegare la funzione effettiva di assistenza all’OSS, che ormai in molte realtà, soprattutto private, sta diventando l’infermiere del futuro. Insomma nel mentre si scatenano delle guerre non ci si preoccupa di rompere l’unità preziosa della categoria e di perdere quelle competenze sulle quali si fonda l’identità e la specificità di una professione ineguagliabile.
Credo di essere stato il primo a porre con preoccupazione, ormai molti anni fa, la questione del conflitto interprofessionale e mi si darà atto, spero, che sono uno di quelli che in questi anni si è adoperato per evitarlo, convinto da sempre che sono più le ragioni che uniscono che quelle che dividono, che c’è uno spazio importante di riforma del lavoro per far evolvere tutte le professioni.
Non è da ora quindi che penso che queste meravigliose professioni meritino un pensiero strategico più avanzato che consenta loro di coevolvere insieme e di espandersi in modi e forme nuove. Al di la della siepe esistono più possibilità di quello che si riesca ad immaginare. Provate solo a supporre un altro genere di tutela pubblica, un altro genere di lavoro e di operatore. Fare guerre perché si resti a cavarci gli occhi al di qua della siepe ci dice delle nostre difficoltà a scavalcarla. Nulla di più.
Ivan Cavicchi