Da alcune settimane si è aperto un dibattito sulle pagine di questo giornale a proposito delle donne medico. Si è discusso sui possibili cambiamenti che il genere femminile, ormai negli ultimi anni numericamente prevalente, possa o debba portare alla Medicina, o meglio al nostro Sistema Sanitario.
Il dibattito in particolare è stato a tre voci, la prima quella di
Annarita Frullini, coordinatrice dell’Osservatorio Fnomceo sulla professione femminile che sottolineava la necessità dell’applicazione di norme per la maternità, gli avanzamenti di carriera, la trasparenza e la correttezza nelle nomine perché le donne non fossero ancora penalizzate nelle proprio carriere professionali.
La seconda quella critica, ma positiva e stimolante a mio avviso, di
Ivan Cavicchi che dapprima “bollava” le richieste delle donne medico come pure rivendicazioni sindacali, ma nello stesso tempo, partendo da un’esperienza personale di una vivace discussione ad un convegno sul carcinoma mammario, evocava una voce ed una visione della Medicina diversa da parte delle donne come possibile forza motrice di miglioramento della Sanità.
Dal Convegno era infatti scaturita una idea femminile di approccio alla malattia costituita da percorsi integrati e relazioni ideali che, partendo da una ottimale collaborazione interprofessionale, si potessero poi rivolgere alla paziente con maggiori risposte e soluzioni.
Un processo di cura che, come definisce appropriatamente
Rita Nonnis, sia nello stesso tempo relazione ed elaborazione fra soggetti attivi e cooperanti in una Sanità orizzontale, paritetica che possa sfruttare in senso positivo la grande presenza e potenzialità delle donne medico, naturali portatrici di un atteggiamento cooperativo ed inclusivo nella cura oltre che nei processi organizzativi.
Proprio da questo vorrei partire portando contributi e riflessioni personali per sposare in pieno l’atteggiamento e le proposte di Rita Nonnis.
Circa una decina di anni fa mi fu chiesto di parlare in un Convegno dedicato al rapporto medico-paziente ed in particolare, di come potesse cambiare questo rapporto se il medico fosse stato donna. Scoprii allora con stupore che esisteva una letteratura ricchissima su questo argomento e che numerosi studi avevano ampiamente ed inequivocabilmente dimostrato come le donne medico potessero essere più empatiche ed avessero una naturale propensione all’ascolto, a farsi carico delle problematiche dei propri pazienti contribuendo fattivamente a cercare di risolverle. Quello che fino a quel momento avevo considerato una dote personale, mi trovava accomunata ad un esercito di colleghe che interpretava e viveva una missione, quella della nostra professione, in maniera analoga in tutto il mondo.
Maggior capacità di creare un rapporto più positivo con i propri pazienti non è cosa da poco, sicuramente può migliorare il processo di cura e la Medicina, ma quale impatto può avere in un Sistema Sanitario che è fatto anche di organizzazione e di costi crescenti legati a tecnologie sempre più avanzate e dispendiose? Nel contesto della Sanità, quale ruolo e quali implicazioni possono avere la competenza nella relazione, le modalità comunicative ed i modelli di presa in carico femminili? Soprattutto, quale impatto e quale valore aggiunto possono proporre in funzione di una migliore efficacia organizzativa dell’intero Sistema e, non ultimo, per il paziente?
Sicuramente, a mio avviso, nel processo culturale ed evolutivo che la Sanità sta perseguendo a favore di una logica di
lavoro di equipe e di presa in carico globale del paziente la funzione delle donne che lavorano in Sanità può rappresentare una risorsa significativa ancora da valorizzare pienamente.
A tal proposito, ci vengono in aiuto dei dati riportati in una indagine commissionata dal Ministero della Salute e realizzata nel 2011 dalla Fondazione Labos su “Il fenomeno della femminilizzazione della Sanità in Italia: ricerca quali-quantitativa sulle caratteristiche e trend dell’ultimo decennio”. Questa indagine riporta soprattutto i risultati di un consistente numero di interviste a donne medico che rivestivano posizioni manageriali apicali e di coordinamento.
Dall’esperienza e dalla percezione delle intervistate è emersa l’ipotesi principale che la donna possa contribuire in maniera significativa sul piano delle capacità di organizzazione e di gestione, con risvolti utili in termini di efficienza ed efficacia dei processi. Tale capacità organizzativa, collegata ad una storica abitudine del genere femminile ad occuparsi parallelamente di più funzioni, si esprime soprattutto dal punto di vista:
- della visione di insieme,
- della creazione di reti di rapporti,
- della sistematizzazione dell’intervento,
- della rapidità di reazione e della gestione dell’imprevisto,
- della capacità analitica che fa essere le donne metodiche e pragmatiche.
Inoltre le donne medico rivolgono una particolare attenzione ai gruppi di lavoro e possiedono una grande capacità di mediazione, che si esprime nella possibilità di armonizzare tra posizioni differenti senza esasperare gli scontri ma piuttosto con una gestione utile dei conflitti. Per gli aspetti comunicativi la maggior parte delle intervistate individuano grandi specificità di genere nel rapporto con pazienti e familiari essendo le donne medico dotate di una maggiore resistenza psicologica e capacità di accoglienza agli aspetti più emozionali e di condivisione della sofferenza, diminuendo la distanza fra medico-paziente e sostenendo una continuità di rapporto.
Considerato lo sviluppo della Sanità che evolve in prevalenza verso un sistema sanitario “paziente-centrico”, che necessita quindi di equipe di lavoro multidisciplinari capaci di avere una visione di insieme e di lavorare in rete, le aspettative delle intervistate rispetto ad una parallela crescita della presenza delle donne in sanità fanno loro auspicare un certo aumento del livello di efficienza: considerata un’ipotetica buona performance delle donne dal punto di vista della capacità organizzativa, delle attitudini a relazionarsi col paziente e della possibilità di mediare tra conflitti e posizioni differenti, si ritiene che le direzioni di sviluppo della sanità si possano connettere efficacemente con il fenomeno della femminilizzazione.
In conclusione, secondo l’indagine, le peculiari caratteristiche del modello femminile in Sanità che si fondano sulla competenza comunicativa, sulla capacità organizzativa e di sistematizzazione dell’intervento, sulla qualità relazionale del rapporto con il paziente, sull’efficienza del lavoro di gruppo, della gestione delle reti di relazioni e sulla capacità di mediazione fra posizioni differenti, sembrerebbero l’efficace chiave di volta per poter facilitare il processo di cambiamento già in atto nella Sanità tra il “curare” ed il “prendersi cura”, un passaggio che vada dall’occuparsi prevalentemente della malattia che aggredisce il paziente al prendersi cura del paziente inteso nella sua globalità.
Negli ultimi cinquanta-sessanta anni le donne medico hanno dimostrato capacità professionali in qualsiasi settore della Medicina, dalla chirurgia generale ad una qualsiasi branca specialistica e, qualora nominate, non hanno dimostrato doti e qualità inferiori come direttori generali o sanitari.
Dovrebbero essere più presenti, avere più riconoscimenti dirigenziali, contare di più la dove si decide come organizzare o “riorganizzare”.
Il Sistema Sanitario dovrebbe in sintesi imparare una lezione che ormai nel campo degli affari sta già diventando una regola: le aziende che hanno nei loro vertici maggiori rappresentatività femminile hanno risultati economici migliori. Già dal 2010 esistono infatti dimostrazioni che attestano come Aziende con almeno 3 o 4 donne ai vertici dirigenziali abbiano risultati e performance generali decisamente superiori [Stellings B. Why not invest in women? Available at: http://www.catalyst.org /blog/catalyzing/why-not-invest-women. Accessed July 23, 2013]. Tutto questo si realizza in funzione di un fenomeno che dimostra come in un sistema, aumentando le diversità, si aumenta l’intelligenza del gruppo.
La proposta allora potrebbe essere che ad una maggiore presenza delle donne in Sanità possa corrispondere un proporzionale aumento di donne nei ruoli apicali, un aumento finalizzato alla salvaguardia ed al maggiore utilizzo di diversità di approcci, di relazioni e di competenze dedicate ad una complementare e per questo forse migliore promozione della salute globale del paziente.
Teresita Mazzei, M.D.
Professore Ordinario di Farmacologia Sezione di Farmacologia Clinica e Oncologia, Università degli Studi di Firenze
Past-President of the International Society of Chemotherapy for Infection and Cancer