Su molti medici (ma anche farmacisti, biologi e quant’altro) che rivestono un ruolo di dirigente nelle Asl o negli ospedali potrebbe abbattersi la mannaia dell’incompatibilità tra professione e carriera politica. Dal sindaco di Nuoro Alessandro Bianchi a quello de L’Aquila Massimo Cialente. Per non parlare della consistente pattuglia di consiglieri regionali, provinciali e comunali appartenenti alle professioni sanitarie e provenienti dalle file dell’amministrazione pubblica.
E la decisione non è facile. Perché continuare a fare politica, onorando il mandato degli elettori, potrebbe costare a questi professionisti lo stipendio di dirigente del Ssn a fronte di compensi per consigliere comunale o provinciale che spesso non arrivano a mille euro al mese.
La legge che potrebbe metterli dinanzi al bivio è la legge 6 novembre 2012, n. 190, più nota come legge “anticorruzione” e soprattutto il
decreto legislativo 39 del 2013, applicativo della legge 190, che ha fissato una serie di incompatibilità tra nomine politiche e incarichi di dirigenti nella PA.
Per cercare di capire come stanno effettivamente le cose abbiamo interpellato
Tiziana Frittelli, giurista, con diverse esperienze di amministratrice nella PA.
“L’articolo 12 – ci ha spiegato Frittelli - tratta l’incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni e esterni e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali. Il terzo e il quarto comma stabiliscono che gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale sono incompatibili con una articolata fattispecie:
a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della regione ;
b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione, ovvero , ricompresi nella stessa regione dell'amministrazione locale che ha conferito l'incarico;
c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione.
d) con la carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione, nonché di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della stessa regione”.
“Come noto, ai sensi dell’articolo 15 del dlgs 502 del 1992 e smi, - prosegue Frittelli - la dirigenza sanitaria è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali. Pertanto, un medico, un farmacista, un biologo hanno accesso al Ssn esclusivamente come dirigenti, già dal primo ingresso, con il solo requisito del possesso della specializzazione richiesta dalla disciplina messa a concorso, fattispecie unica in tutto il panorama della pubblica amministrazione, dove l’accesso alla dirigenza avviene con un procedimento di ulteriore livello rispetto all’ingresso iniziale”.
“Conseguentemente – sottolinea la giurista - l'attività dei dirigenti sanitari è caratterizzata, nello svolgimento delle proprie mansioni e funzioni, dall'autonomia tecnico- professionale, ben diversa da quella amministrativa. Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura (complessa e dipartimentale) sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi nell'ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza”.
“A mio avviso, anche per i responsabili di struttura – aggiunge - non si realizza ‘l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione’ . Il responsabile di struttura gestisce personale che non seleziona e non sceglie, essendo selezionato dagli uffici del personale e scelto dalla direzione sanitaria e dal responsabile delle professioni sanitarie. Le regole di gestione (orario di lavoro, pause, ferie) sono disposte dalla direzione previa concertazione sindacale svolta dai vertici aziendali. Il responsabile di struttura usa materiali che non acquista, essendo acquistati con gara pubblica. La gestione del budget è solo interna, nel senso che il responsabile di struttura ha vincoli legati agli obiettivi annuali di performance affidati dalla direzione aziendale, mentre non ha, come potrebbe credersi da parte dei non addetti ai lavori, una parte del portafoglio aziendale da gestire”.
“Quanto alle politiche sanitarie – spiega ancora Frittelli - le stesse sono stabilite dall’atto aziendale, dai regolamenti, dalla direzione aziendale e di dipartimento. Come si sostanzierebbe quindi il requisito richiesto dalla norma di incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione?”
“D’altronde conclude - la ratio del decreto legislativo 39 è quello di evitare le ben note commistioni tra politica ed incarichi di vertice che potrebbero ricorrere ai suggerimenti politici per appalti, concorsi, ecc ecc., e non certo quello di escludere dalla vita politica forze produttive che non hanno in sé tali pericoli di commistione. Probabilmente è proprio in considerazione della specificità di questo tipo di dirigenza che il decreto legislativo 39 ha dettato norme specifiche per la sanità, limitando l’inconferibilità e l’incompatibilità agli incarichi di direttore generale, sanitario e amministrativo”.
Insomma una partita tutta da giocare anche se per alcuni dirigenti del Ssn l’incubo della scelta è già scattato, come nella Asl di Viterbo dove il commissario straordinario Luigi Macchitelli ha scritto a tre sanitari del Consiglio comunale e a due del Consiglio provinciale, facendo presente che il loro ruolo nella Asl è in bilico proprio per le incompatibilità previste dal Decreto legislativo 39. Al momento niente di definitivo, ma la tensione sale in attesa del parere, richiesto dallo stesso Macchitella, alla Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazione pubbliche (Civit), organismo preposto dallo stesso decreto a vigilare sulla corretta applicazione della norma.