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QS Edizioni - giovedì 28 novembre 2024

Lavoro e Professioni

C’era una volta il medico di famiglia…

immagine 27 settembre - Una professione in crisi di vocazione e gratificazioni. E così, tra il 2015 e il 2025 andranno in pensione quasi 25mila medici di medicina generale che non verranno sostituiti perché mancano i laureati. Non è una provocazione l’indagine uscita oggi sul quotidiano la Repubblica, ma una realtà che mette a rischio l’assistenza di base per 11 milioni di cittadini, in particolare quelli che vivono nei piccoli centri isolati in montagna e in campagna. Sull'argomento, Quotidiano Sanità ha raccolto l'opinione di Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg-Continuità assistenziale.
Tra il 2015 e il 2025 andranno in pensione circa 25.000 medici di medicina generale, che non verranno sostituiti perché mancano i laureati. A rischiare di veder eroso il diritto all’assistenza saranno 11 milioni di cittadini. A soffrire di più saranno gli abitanti residenti in montagna e nelle campagne.  
L’indagine pubblicata sul quotidiano Repubblica mette in evidenza come esercitare la professione sul territorio imponga sacrifici, sia economici che di vita. Lo stipendio base (40,05 euro per ogni assistito con il nuovo Acn) è uguale per tutti, ma in città è molto più facile arrivare alla soglia ‘minima’ di 850 assistiti, per raggiungere lo stesso risultato in zone di montagna, un medico dovrà coprire un territorio molto più esteso, con un conseguente aumento delle spese a carico (mezzi di trasporto e apertura di più di un ambulatorio). A rincarare la dose poi, secondo il focus di Repubblica, ci si è messa la crisi economica con le sue ricadute sulle casse delle Regioni.
Intanto gli ambulatori chiudono, ma i medici disposti a sacrificarsi non sembrano annidarsi tra i giovani.  
 
Sull'argomento Quotidiano Sanità ha raccolto l'opinione di Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg-Continuità assistenziale.

"La carenza dei medici è un problema reale, che si sentirà prima nelle aree più isolate e nei piccoli centri, ma che arriverà presto anche nelle grandi città. I dati del 2007 parlano chiaro: in Italia il rapporto medici-pazienti è di oltre 1.100 abitanti per ogni medico contro un ottimale di 1.000, come stabilito anche dal nostro contratto. In pratica, manca un medico ogni dieci.
Il progetto della rifondazione della medicina territoriale proposto dalla Fimmg nasce proprio per rispondere a questa e ad altre criticità che diventano ogni giorno più evidenti e gravi, sia per le condizioni di lavoro dei medici che per le necessità assistenziali dei cittadini. Occorre infatti considerare i nuovi bisogni di salute che richiedono il potenziamento della medicina territoriale, a partire dall'invecchiamento della popolazione. In questo contesto, anche per porre rimedio ai disavanzi registrati da molti bilanci sanitari, le scelte della politica vanno verso la chiusura dei piccoli ospedali. Un progetto che tuttavia può essere realizzato solo se sul territorio c’è un assistenza primaria ben presente e ben organizzata, altrimenti la carenza di medici di medicina generale si rivelerà ancora più drammatica di quando non lo sia ora.
E' necessario e urgente ripensare il sistema della cure territoriali portando a compimento le Unità complesse delle cure primarie, affinché diventino dei nuclei di assistenza integrati con altre professionalità e organizzati con più medici di famiglia. Un'organizzazione ottimizzata permetterà di produrre un’assistenza migliore anche a fronte della carenza di figure professionali.
La soluzione del problema sta però anche nella programmazione universitaria. Sia a livello di posti disponibili nelle Facoltà che a livello di cultura. Le Facoltà di Medicina sono ancora improntante su un modello ospedalocentrico, e il soggetto in formazione è inevitabilmente influenzato dall’ambiente circostante che è, appunto, l’ospedale. Questo allontana molti ragazzi dalla medicina generale. Difficilmente uno studente in medicina conosce veramente il profilo del medico di medicina generale. Non lo conosce come medico in formazione e lo conosce poco anche come paziente, essendo in una fascia di età in cui i bisogni di salute – e quindi il ricorso al medico di famiglia - sono bassi.
Questo è un dato di fatto che emerge con chiarezza nel costatare come sul territorio stia aumentando costantemente il numero dei pediatri proprio come conseguenza della chiusura di molti reparti di pediatria, che hanno portato questi specialisti a spostarsi dall’ospedale al territorio. Lo stesso aumento non si è verificato con i medici di medicina generale. Per questo profilo occorre intervenire direttamente sulla formazione universitaria, incentivando la specializzazione in medicina generale, altrimenti la carenza di medici tra 10 anni sarà ben più drammatica di quella prospettata da Repubblica.
Sono dati che ho potuto verificare personalmente attraverso l’analisi delle posizioni Enpam. La pediatria di base è l’unica categoria sul territorio cresciuta negli ultimi 5 anni.
Ribadisco, però, che questo è un problema che non riguarda solo i piccoli centri e le aree più isolate. Basti pensare che il rapporto ottimale per la guardia medica è di 1 medico per 5.000 abitanti e su Milano registriamo già oggi un rapporto di 1 a 20.000. Un carico di lavoro insostenibile sia per il medico che per i cittadini che cercano risposte assistenziali.
Non dimentichiamo, poi, che la medicina diventa ogni anno sempre più “donna”. Non si tratta di fare discorsi discriminatori, ma occorre tener conto che la vita di una donna è fatta di aspettative per la maternità e di un’organizzazione quotidiana in cui la famiglia ricopre tutt’oggi un posto essenziale. Nessuno vuol negare il diritto alla maternità delle donne né confinarle tra le mura domestiche, ma non si può far finta che questo non comporterà un problema dal punto di vista organizzativo se la professione sarà sempre più composta da medici donne.
La soluzione, come più volte ribadito dalla Fimmg, deve avvenire secondo due linee: l'evoluzione culturale nelle università attraverso il potenziamento della formazione in medicina generale, e la rifondazione della medicina territoriale attraverso lo sviluppo delle Unità complesse delle cure primarie.
Altrimenti rischiamo, come già accade negli altri Paesi europei, di essere costretti ad importare medici. Cosa che per l’area della guardia medica sta già accadendo, soprattutto nel Nord-Est di Italia. E ricordiamo che la guardia medica è un po’ la sfera di cristallo sul futuro della medicina generale, perché è il primo punto di accesso per l’inserimento professionale".
 



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