A seguito dei tagli effettuati dalle varie manovre finanziarie e del blocco del turn over imposto nelle Regioni con piano di rientro ed autolimitato nelle altre si è assistito in questi anni ad una progressiva riduzione di strutture con conseguente diminuzione di direttori di struttura complessa.
Quest’anno sono intervenuti gli standard della Commissione LEA e la legge sulla spending review prevede espressamente che la riduzione dei posti letto avvenga attraverso la riduzione di strutture che hanno accelerato questo processo. Da ultimo il regolamento del Ministero ancora in fase di approvazione dalla Conferenza Stato Regioni, ma che è comunque tenuto come base di riferimento.
Ma anche precedentemente molte Regioni avevano avviato processi di riorganizzazione della rete ospedaliera e tutti portavano sempre ad una diminuzione dei posti apicali.
Il problema nasce su come questa riduzione viene effettuata. L’obiettivo della legge è quello di ridurre le duplicazioni di strutture, evitare cioè che convivano nello stesso presidio unità operative complesse della stessa specialità, perché, soprattutto se il modello dipartimentale non è stato attivato correttamente, inducono duplicazioni di costi; in realtà andrebbe prioritariamente identificato se queste equipe svolgono la stessa attività, oppure se, sotto la stessa denominazione Medicina Generale, questa è diversificata in branche specialistiche. Peraltro si tratta di una situazione tipica delle aziende universitarie che invece per motivi di potere e collusione politica non vengono toccate dai processi di riorganizzazione.
La situazione diventa più grave quando questa riduzione di strutture complesse avviene senza una parallela riorganizzazione delle rete ospedaliera; in queste situazioni infatti si crea il “presidio ospedaliero” di zona, di Asl, ecc. formato da più “stabilimenti ospedalieri“, distanti anche molte decine di km e si fondono le equipe della stessa specialità affidandole ad un unico direttore. Lo stesso regolamento sugli standard del Ministero rimane molto vago sulla definizione di “presidio” proprio per non scontrarsi con le Regioni (e la Corte Costituzionale), venendo meno al compito di garante di un’erogazione uniforme dei servizi su tutto il territorio nazionale che noi auspichiamo gli venga al più presto restituito da una riforma del titolo V.
Simile a questa soluzione, ma con ricadute ben più pesanti, è quanto sta avvenendo in regioni come la Toscana, nella quale si sta sempre più diffondendo la “struttura aziendale”. Siamo partiti dai servizi (laboratorio, radiologia, immunotrasfusionale, ecc.) che ormai da tempo hanno un unico responsabile di struttura per Asl ed in maniera strisciante (non coprendo i posti di chi va in pensione ed affidando la struttura ad un altro direttore) viene progressivamente estesa a tutte le specialità comprese quelle cliniche. Di fatto la struttura complessa diventa un minidipartimento monospecialistico, con il direttore sempre più impossibilitato a svolgere un’attività clinica e di riferimento professionale per i collaboratori, e di fatto marginalizzato in un’attività quasi esclusivamente burocratico-gestionale. E non stiamo parlando di piccoli presidi, ma di ospedali in ognuno dei quali, per esempio, nascono oltre 2.000 bambini l’anno, si eseguono migliaia d’interventi di medio-alta chirurgia, si eseguono migliaia di procedimenti diagnostico-curativi, arrivano al DEA ogni anno decine di migliaia di cittadini.
Si chiede pertanto al medico una eccessiva “sovraesposizione", ovvero l’assunzione di un livello di responsabilità troppo elevato legato agli assetti organizzativi decisi “a tavolino” da altri.
Tutto questo crea una serie di problemi, da quelli che possono sembrare secondari, ma con grossi riflessi di coinvolgimento giudiziario, quali la firma della cartella clinica di pazienti dei quali non si è seguito l’iter diagnostico terapeutico, fino ad aspetti concreti di impossibilità di dare indicazioni cliniche e/o poter intervenire a supporto in situazioni di emergenza che si verificassero negli altri presidi a decine di km di distanza. Senza contare il mancato contatto con un numero così grande di pazienti e l’allontanamento dai problemi che ogni giorno possono sorgere in un reparto. Il tutto aggravato dalla mancanza di una vera gerarchia professionale che identifichi chi possa prendere, in caso di divergenze cliniche, la decisione ultima in situazioni di emergenza.
L’unico risparmio effettivo è l’indennità di struttura complessa, ma con pesanti ricadute sulla funzionalità dei reparti ed una sempre maggiore demotivazione dei Medici che vi lavorano che si vedono annullata ogni aspettativa di progressione di carriera.
Siamo quindi arrivati all’esasperazione di quanto prevedeva la legge 229 del 1999, che comunque lasciava al Direttore competenze cliniche che non sarà in grado di svolgere. Oggi, infatti, le Regioni considerano i medici come dirigenti a rapporto fiduciario, valutati solo per l’aspetto gestionale e consentono ai Direttori Generali di nominarli in assenza dei requisiti professionali con revoche discrezionali attraverso l’affidamento di obiettivi avulsi dalla realtà e con scarse risorse affidate. Ne consegue che il timido tentativo del decreto Balduzzi di reintrodurre una valutazione delle competenze, nella nomina dei Direttori, è di fatto vanificato.
È palese il contrasto con l’evoluzione di un percorso di accreditamento d’eccellenza e di valutazione degli esiti che, viceversa, necessita di una leadership professionale e di una progressione meritocratica della carriera; anzi i continui tagli espongono le strutture sanitarie al mancato possesso dei requisiti minimi previsti dalle attuali norme per l’accreditamento. Il sistema disegnato dalla 229 del Dirigente unico con incarichi è fallito, gli incarichi professionali che dovevano essere il riconoscimento dell’acquisizione progressiva di maggiori competenze, per vari motivi che non è qui il caso di esaminare, non hanno raggiunto l’obiettivo, anzi hanno creato solo demotivazione e contrasti interni.
Io credo che occorra un ripensamento del percorso di carriera del Medico partendo dalla formazione specialistica che deve essere effettuata anche nelle strutture ospedaliere e prevedere una continuità con l’inserimento nel Ssn. L’evoluzione tecnologica, i nuovi modelli organizzativi, le modalità di accesso e di sviluppo di carriera dei dirigenti del Ssn, rendono imprescindibile una rivisitazione della figura professionale del medico troppo spinta, oggi, verso competenze gestionali e sempre meno verso competenze professionali.
Per garantire la funzionalità di un reparto o di un servizio sanitario è necessario, oggi, che il responsabile dell’equipe medica assuma una leadership professionale che per la sua natura deve poter essere esercitata nello stesso sede e non frammentata su più presidi lontani tra loro.
Dott. Riccardo Cassi
Presidente Nazionale CIMO - ASMD