Il contenzioso medico ha assunto ormai da tempo le caratteristiche e le dimensioni di una vera propria emergenza sanitaria. Che ancora non ha ricevuto una risposta adeguata, denunciano i medici, insoddisfatti sia del decreto legislativo che dal 2010 ha introdotto la mediazione obbligatoria, sia dal Decreto Balduzzi, che avrebbe dovuto portare grandi novità ma che nei fatti, e su questo concordano sia i medici che i magistrati, si è tradotta in una norma “inutile” se non “peggiorativa” dell’attuale situazione.
In occasione dello “sciopero delle sale parto” proclamato oggi dai ginecologi italiani, abbiamo voluto affrontare il problema del contenzioso medico con Stefano Dambruoso, magistrato, seppure autosospeso in considerazione della sua candidatura per la Lista Monti alla Camera in Lombardia, e responsabile giustizia del movimento ItaliaFutura.
Dottor Dambruoso, il contenzioso medico-paziente è riconosciuto ormai come una vera e propria emergenza che allarma i medici ma anche i manager e i cittadini, tra i quali cresce la sensazione di essere vittime di un sistema che invece dovrebbe tutelarli. Si è assistito, peraltro, a un aumento esponenziale delle pubblicità che invitano i pazienti a denunciare i medici in caso di presunto danno al punto che, più che il terreno dove far valere la giustizia in caso di danno subìto, la sanità secondo alcuni è diventato un terreno su cui speculare. È d’accordo con questa interpretazione?
È impossibile entrare nel merito della singola decisione di un cittadino di ricorrere alla giustizia per presunto danno derivato da una prestazione sanitaria, ma concordo sul fatto che sul settore ci sia sempre più pressione da parte dei gruppi legali. Si dice che gli avvocati si aggirino nelle corsie ospedaliere in cerca di clienti e questo è inaccettabile. Tale situazione, infatti, è lesiva nei confronti dei medici, che hanno bisogno di operare in un ambiente di lavoro sereno, ma anche del rispetto e della dignità dei pazienti.
Secondo lei l’aumento del ricorso ai tribunali sia imputabile agli avvocati o derivi dalla minore fiducia dei cittadini nei confronti dei medici e del sistema sanitario?
Non credo che si possano imputare colpe a nessuno. La giurisprudenza si è fatta strada nel settore, come in molti altri, di conseguenza si sono ampliati gli spazi di inchiesta a livello civilistico, in cui i difensori hanno svolto il proprio lavoro.
Per certi versi credo che fosse inevitabile e che, pur in assenza di colpevoli, sia gli avvocati che i cittadini abbiano contribuito all’innalzamento del fenomeno. Tra i cittadini, in particolare, è cresciuta la conoscenza dei propri diritti, ma è cresciuta anche la consapevolezza che la maggior parte dei medici è assicurata e questo ha probabilmente ha contribuito ad aprire la strada al fenomeno del contenzioso.
Domani i ginecologi proclameranno il primo sciopero delle sale parto. Secondo lei si tratta di un’iniziativa legittima o il rischio è che si riveli controproducente, facendo sentire ancora una volta leso il diritto del cittadino ad essere assistiti nel migliore dei modi?
Il ricorso allo sciopero è sempre una soluzione estrema, che certamente non piace ai cittadini ma che deve fare riflettere. Bisogna comprendere cosa ci sia dietro la scelta dei ginecologi di ricorrere a forme di protesta così estreme. Evidentemente avvertono una pressione non più tollerabile. Lo sciopero è l’espressione di un disagio che va tenuto fortemente in considerazione, anche da parte dei cittadini.
La sanità è un diritto universale e assoluto. Ma secondo alcuni l’offerta sanitaria del Ssn è strutturata sempre più come un “mercato” e il paziente è diventato di fatto un “consumatore”. E’ d’accordo?
L’Italia è uno dei Paesi che garantisce in termini quantitativi più assistenza sanitaria pubblica, per cui la visione di sanità quale mercato mi sembra eccessiva in questo momento. Tuttavia è indubbio che si sta andando in questa direzione, a causa dei problemi di bilancio statali e regionali che impongono un ricorso maggiore alla selezioni e alla privatizzazione. Questo credo sia una necessità inevitabile per il futuro della sanità italiana, ma è chiaro che per garantire il diritto costituzionale alla salute la privatizzazione deve essere ragionata e non improvvisata. E il sistema pubblico deve comunque continuare a garantire assistenza agli indigenti, agli anziani e ad alcune malattie, anche se queste ultime per forza di cose dovranno essere selezionate. In modo intelligente, però.
L’aumento del ruolo del privato può comportare un’ulteriore innalzamento del contenzioso?
Sicuramente sì. È un fenomeno che fa parte delle dinamiche privatistiche. Il punto è evitare che ci siano motivi per far credere al paziente di essere stato leso ed evitare di strumentalizzare la responsabilità medica come è stato fatto con la Rca automobilistica.
Le sembra una "evoluzione" positiva oppure negativa quella che vede aumentare le denunce verso la struttura piuttosto che contro il medico?
Credo che la responsabilità dell’una non debba escludere quella dell’altra. Chiaramente ogni fattispecie ha la sua storia, ma in linea generale sono dell’idea che la responsabilità principale debba essere attribuita al medico, mentre quella della struttura debba rimanere parallela e solidale nei confronti del professionista.
I medici però denunciano di lavorare in condizioni disagiate ed è da queste che spesso deriva l’errore. Secondo alcuni, inoltre, la giurisprudenza è in sfavore dei medici. Cosa ne pensa?
Dare una risposta generalizzata è impossibile. Ma non credo che la giurisprudenza sia sfavorevole per i medici, tanto che oltre 90% delle cause vede l’assoluzione del professionista o l’archiviazione del caso. Secondo il mio parere, si tratta di una percezione sbagliata da parte dei medici, che piuttosto sono vittime dell’eccessiva lunghezza dei processi che danneggia sia la vita privata dei medici che la loro vita professionale.
Per snellire i procedimenti civili era stata introdotta la legge sulla mediazione obbligatoria, che tuttavia ha sempre sollevato qualche perplessità e contro la quale si è pronunciata anche Corte Costituzionale, dichiarando illegittimo l’obbligo di mediazione. Qual è la sua opinione su quella legge?
La mediazione è in astratto uno strumento ragionevole, che purtroppo è stato mal disciplinato, tanto che anche la Corte Costituzionali ha individuato elementi di illegittimità in essa. Secondo me lo strumento può ancora ritenersi valido, anche in ambito sanitario, perché evitare di chiamare direttamente in giudizio il medico così come evitare il carico giudiziario è un vantaggio sia per i medici che per i cittadini. Tale strumento, però, va migliorato.
In che modo?
È fondamentale che siano individuati gli elementi per raggiungere la reale riuscita della mediazione, altrimenti ogni sforzo rischia di essere vanificato e gli obiettivi della legge mancati. La mediazione, purtroppo, in molti casi è diventata una fase semplicemente interlocutoria. Per questo si potrebbe pensare, ad esempio, di prevedere che se al termine del procedimento si riscontrasse un mancato accordo per cause infondate di cui solo una delle parti è responsabile, quest’ultimo debba ripagare la sua responsabilità alla fine del processo attraverso un risarcimento maggiorato.
Probabilmente, per quanto attiene precisamente la materia sanitaria, si può pensare di introdurre anche elementi più qualificanti, ad esempio la figura di un consulente medico, affinché sia assicurata una ricerca attenta della negligenza e venga tenuta in debita considerazione l’eventuale responsabilità della struttura.
I medici denunciano il fatto che la legislazione italiana in materia di colpa sanitaria risalga al Codice Rocco e che sia assente anche una chiara definizione di “atto medico” quale atto prestato a scopo benefico. Secondo lei un aggiornamento “alla radice” sarebbe opportuno?
Indubbiamente sì. È un settore che ha una natura tutto sommato recente ma su cui ora è tempo di intervenire seriamente, considerato anche quanto sia delicato.
In Italia sarebbe realizzabile, nonché auspicabile, un sistema come quello creato in Francia con l’istituzione di un “Fondo vittime per l’alea terapeutica” che serva a fornire tutela e indennizzi quando il danno non derivi né da condotte colpose del medico né da carenze organizzative?
È un punto importante, su cui si può ragionare, anche se l’idea di una “collettivizzazione economica” del risarcimento per responsabilità medica non mi convince. Bisogna inoltre considerare come questo fondo sarebbe alimentato e con quali costi per le parti contribuenti.
Il Decreto Balduzzi doveva intervenire per portare ordine in materia, ma in realtà i professionisti della sanità sono concordi nel ritenere l’art. 3 dedicato alla responsabilità professionale “inutile” se non “peggiorativo” dell’attuale situazione. Lei cosa ne pensa?
In origine quell’articolo, pur con alcuni difetti, aveva il giusto l’obiettivo di spostare alcuni casi dalla responsabilità penale alla responsabilità civile. Purtroppo, nel corso dell’iter parlamentare la norma è diventata sempre più di difficile applicazione, oltre che di difficile interpretazione. Individuare di volta in volta la responsabilità civile per il singolo medico chiamato in causa sempre un lavoro di tipo quasi oggettivo, ma in realtà è molto difficile e la ricostruzione del caso è un lavoro molto complesso. Anche perché, come dicevamo in precedenza, possono spesso intervenire concause di cui il medico non si sente portatore.
Senza entrare nel merito, condivido che il decreto Balduzzi abbia in definitiva fallito il suo obiettivo. La verità è che una materia così complessa sicuramente meriterebbe un progetto legislativo più preciso e meditato che non un decreto omnibus.