Lavoro e Professioni
Il nesso causale tra intervento ed infezione
E’ sempre possibile che, a seguito di un intervento chirurgico, la zona interessata da quest’ultimo venga affetta da una infezione nosocomiale, ovvero provocata dal basso grado di igiene presente in ospedale, durante e dopo l’operazione. Vi sono però alcuni aspetti – fra i quali il lasso di tempo intercorso tra la prestazione chirurgica e l’emergenza infettiva – che pongono in dubbio un reale nesso di causa tra i due eventi. E’ questo il tema sottostante ad una recente sentenza del Tribunale di Busto Arsizio. Vediamo di seguito in dettaglio quali sono i fatti alla base del giudizio della Corte.
Intervento chirurgico ed infezione nosocomiale
Praticando sport, una giovane signora, nel maggio 2015, ha un infortunio al ginocchio destro, dal quale emerge una parziale rottura del legamento crociato anteriore, nonché una lesione al menisco. Cinque mesi dopo la giovane si sottopone ad un intervento di legamentoplastica, senza che emergano, in prima battuta, complicazioni di sorta. Ben due anni dopo, nel novembre 2017, poiché i dolori alla parte lesa continuano, la donna si reca al Pronto Soccorso: la diagnosi effettuata dai medici conferma una gonalgia, apparentemente causata dall’intervento di ricostruzione del crociato anteriore. L’esame colturale riporta inoltre una infezione nosocomiale; nello specifico, la zona interessata dall’intervento risulta positiva alla Pseudomonas aeruginosa. Un mese dopo, a seguito di fuoriuscita di liquido dalla ferita, la paziente è costretta a recarsi nuovamente al Pronto Soccorso. In tale occasione, emerge anche l’espulsione di alcuni frammenti della vite utilizzata per l’intervento. A febbraio 2018 la giovane effettua infine una visita specialistica, la quale conferma le complicazioni conseguenti alla ricostruzione del crociato, tanto da dover riprogrammare un nuovo intervento di sistemazione.
Supponendo – sulla base delle indicazioni cliniche – una relazione causale tra l’intervento del 2015 e le complicazioni occorse in seguito, che hanno portato, tra l’altro, ad una mobilità sostanzialmente ridotta dell’arto destro, la paziente decide di ricorrere in giudizio contro la clinica e il medico chirurgo, al fine di ottenere un equo risarcimento.
La vicenda processuale
Al via dell’iter processuale, le parti chiamate in causa – clinica e medico chirurgo – propongono di considerare nulla la citazione in giudizio, “[…] non essendo stato chiarito quale fosse il profilo colposo oggetto dell’addebito, contestando nel merito ogni responsabilità al riguardo.” Il Tribunale riconosce la nullità dell’atto ex Art. 163 n.4 e Art.164 comma 4 del Codice di Procedura Civile, dato che “[…] è onere del paziente quantomeno allegare lo specifico inadempimento contestato alla struttura ed al medico. Dall’atto di citazione non si comprende se il medico sia chiamato a rispondere per non avere verificato preventivamente le condizioni della sala operatoria (come affermato nel corso della prima udienza) o per aver omesso, nel corso dell’intervento, di adottare accorgimenti per evitare l’infezione. Non si comprende, dunque, se sia contestata un’omissione o un errore di esecuzione.” Viene pertanto dato tempo alla parte lesa di integrare la domanda di risarcimento con le precisazioni richieste. La memoria successivamente presentata da quest’ultima precisa che l’elemento di responsabilità vada ravvisato nella mancata applicazione dei protocolli minimi di igiene previsti per sterilizzare la sala operatoria.
La Consulenza Tecnica d’Ufficio
E’ a questo punto che entra in gioco la Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) volta a verificare se, effettivamente, sia riscontrabile da parte delle parti chiamate in giudizio un mancato rispetto dei protocolli d’igiene. Al fine di accertare il fatto, la sentenza precisa che le valutazioni da parte dei consulenti tecnici debbono considerare alcuni criteri ben precisi:
In sintesi, ciò che emerge dalla CTU evidenzia che “[…] quanto riscontrato a parte attrice [nel 2017] non può essere rapportato, con criterio di alta probabilità, all’intervento chirurgico del [2015]. L’infezione può essere contratta anche al di fuori della struttura.” Pertanto non è ravvisabile alcuna responsabilità né da parte della clinica né, tantomeno, del chirurgo.
Ricordiamo infine che il rapporto contrattuale che la paziente ha stabilito vede, come controparte, la struttura ospedaliera e non il medico che ha materialmente eseguito l’intervento. Per quest’ultimo, al limite, potrebbe emergere una responsabilità aquilana – ovvero di tipo extracontrattuale – e, in quanto dipendente della clinica, soggetto a risarcire solamente, per via indiretta, in caso di colpa grave, così come indicato dalla Legge Gelli-Bianco all’Art.9 comma 1.
Oltre ad essere obbligatorie per legge, le polizze di responsabilità civile professionale sono uno strumento di tutela indispensabile per i professionisti della salute, ed è sempre opportuno verificarne – soprattutto nei massimali e negli scoperti/franchigie – l’effettiva adeguatezza. Per questo è sempre consigliabile fare il punto sulle proprie tutele con un professionista della consulenza assicurativa, ad esempio rivolgendosi allo staff di SanitAssicura.