Dopo i numerosi interventi pubblicati su Quotidiano Sanità a commento delle osservazioni rappresentate dal medico fisiatra Donatella Bonaiuti, delegata dell’Associazione Nazionale Fisiatri (ANF), sul ruolo del fisioterapista di comunità e sulla sentenza del Consiglio di Stato che si è pronunciato favorevole al ricorso del Simmfir sull'annullamento della delibera dell’Ausl Toscana Centro,
Mauro Piria, vice segretario ANF, si rivolge al nostro giornale per dare il proprio contributo e maggiore chiarezza alla disciplina sollevata.
“L’attuale dibattito – spiega il vice segretario ANF - rappresenta una preziosa occasione per chiarire i ruoli dei diversi professionisti nella Sanità, in un momento di grande confusione. E ben vengano gli articoli di chiarimento e i riferimenti a note leggi e decreti (innanzitutto il DM 741/1994, L 251/2000 e L 43/2006) che danno la base normativa della nostra discussione. Noi fisiatri lavoriamo quotidianamente con fisioterapisti molto qualificati, facciamo studi con ricercatori fisioterapisti dotati di grande rigore e notevole esperienza. Con loro, così come coi logopedisti, coi neuropsicologi, coi terapisti occupazionali, e con gli altri professionisti della riabilitazione, cerchiamo di lavorare in team sempre meglio, in crescita nella nostra professione, per il bene dei nostri pazienti”.
“Per ottenere il meglio da questo dibattito – prosegue il medico fisiatra - che vorrei fosse anche esterno alle nostre ‘corporazioni’, mi preme sottolineare che la visione della riabilitazione deve poter essere più ampia. Non ci si può limitare all’analisi della delibera n°1057/19 dell’Ausl Toscana Centro (poi respinta dal Consiglio di Stato), senza tenere in considerazione le norme che definiscono sin dove può arrivare l’autonomia di ciascun profilo professionale sanitario, quando si prende il titolo di studio. A quel punto ci si potrebbe chiedere, perché consentire ‘un fisioterapista di comunità’ e non, un laureato in scienze motorie di comunità, o educatore di comunità, o un terapista occupazionale? Sullo psicologo già si parla di ‘psicologo di base’ da inserire nei distretti territoriali per integrare l’azione dei medici di medicina di base e pediatri”.
“Lo psicologo di base – prosegue Mauro Piria - riveste sempre il ruolo di psicologo, non di medico psichiatra, che può prescrivere farmaci. Pensando peraltro ai terapisti occupazionali, così come i fisioterapisti, anch’essi
hanno rivendicato da tempo il diritto a promuovere la figura del ‘terapista di comunità’. E perché non potrebbero mi chiedo allora, vista la loro formazione molto specifica e la necessità essenziale di aiutare la persona con disabilità a mantenersi autonoma nella vita quotidiana, nel proprio domicilio e luogo di lavoro? E allora perché non inserire anche il logopedista, il neuropsicologo, l’ortottista? Sono tutte figure essenziali per la gestione delle condizioni di disabilità che si devono affrontare nel territorio ove prevalgono, si ricorda, noi conosciamo a fondo questa realtà, non le condizioni muscoloscheletriche minori, ma ben altre condizioni complesse di plurimorbidità. Tutte le figure citate fanno parte, in modo variabile e con ruoli diversamente prevalenti a seconda della situazione da gestire, del team riabilitativo e ognuna di esse è altamente qualificata, come lo è il fisioterapista, a svolgere la propria attività ed il programma ad essi attinente all’interno di un globale intervento riabilitativo che noi chiamiamo ‘Progetto Riabilitativo Individuale’”.
“Ognuna di queste figure svolge la sua funzione in autonomia – sottolinea Piria - per quanto riguarda il proprio programma specifico, che da noi non è mai stato messo in discussione, come da norme che appunto definiscono il profilo professionale; ma all’origine il piano di intervento, il cosiddetto ‘progetto riabilitativo individuale’, parte da una ‘diagnosi’ che è solo di pertinenza medica, alla quale fa seguito la prognosi riservata al paziente su cui, ecco arrivare al punto, si basano tutti gli altri piani di interventi specifici che meglio si adattano al caso clinico. Riguardo il fisioterapista, lo stesso DM 741 stabilisce che svolge la sua attività nell’ambito delle sue competenze ‘in riferimento alla diagnosi e alla prescrizione del medico’. Pertanto, quello che vogliamo intendere è questo, è necessario evitare l’errore di semplificare inappropriatamente il complesso della gestione delle persone in condizioni croniche di disabilità e del loro percorso riabilitativo/abilitativo durante tutta la vita”.
“La chiarezza delle argomentazioni nella decisione del Consiglio di Stato per la cancellazione della deliberazione "Sperimentazione di un nuovo modello assistenziale "Fisioterapista di Comunità " - continua il vice segretario ANF - permettono di evitare questo grande errore di superficialità. Ed è forse utile ricordare che queste argomentazioni utilizzate dal Consiglio di Stato sono strettamente collegate alla motivazione scientifico-culturale che a suo tempo ha mosso il ricorso contro quella delibera, frutto di una evidente carenza sul piano scientifico-culturale di quando si affronta la problematica sulle attività assistenziali e riabilitative di comunità, e nella comunità, verso soggetti verosimilmente con problematiche di disabilità croniche e polipatologie; una carenza molto importante anche sul piano della informazione e consapevolezza delle indicazioni internazionali WHO (dall'ICF al recente Rehabilitation 2030 ed alla Raccomandazione del 2023 da parte della Assemblea Mondiale per la Salute ai Governi per lo sviluppo della Riabilitazione) che da tempo sottolineano la rilevanza delle attività da sviluppare nella comunità per il completamento ottimale dei percorsi riabilitativi”.
“Queste attività di comunità devono poter essere quindi sviluppate e diffuse, ma fanno anche parte integrante, in modo essenziale, del progetto riabilitativo globale e individuale da garantire alle persone prese in cura. Attività dunque di riabilitazione, ossia dalla valutazione dell'ambiente e del contesto, al counseling, agli ausili ed alle eventuali modifiche, ed ancora alle indicazioni ed ai trattamenti specifici, alla informazione e formazione dei caregiver, all'accompagnamento del percorso di recupero verso l'abilitazione, che necessitano di un impegno sinergico e coordinato di molteplici professionisti. Nel team il fisiatra ha il proprio ruolo da ‘medico della riabilitazione’, deputato alla diagnosi e prognosi del paziente”.
“I fisiatri non hanno mai pensato di mettere in discussione l’identità professionale dei fisioterapisti, come per ogni altro professionista della riabilitazione, ne lo hanno mai fatto. Anzi, hanno sempre sottolineato in ogni occasione e conteso l'esigenza primaria di un vero lavoro di squadra dove ogni professionista è chiamato a contribuire culturalmente ed operativamente in sinergia con tutti gli altri. La vera conoscenza e condivisione di questi principi essenziali di carattere scientifico, culturale, organizzativo ed anche di tutela etica dei diritti delle Persone con disabilità, non può che creare armonia tra tutti i diversi professionisti impegnati nella riabilitazione. E fortunatamente vanno crescendo gli esempi di questa condivisione di principi sia in ambiente ospedaliero e sia nel territorio, principi che, ripeto, sono la base fondante ed il motore delle eccellenze riabilitative (grandi e piccole) che possiamo oggi vantare nel nostro Paese a tutti i livelli” – conclude Piria.
Elisabetta Caredda