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QS Edizioni - giovedì 21 novembre 2024

Lavoro e Professioni

L’emergenza urgenza: una sfida da combattere insieme

di Tiziana Frittelli e Pierino Di Silverio
immagine 24 novembre - Occorre una stretta collaborazione tra datore di lavoro pubblico e dirigente sanitario semplicemente perché si deve lavorare insieme per conseguire un obiettivo comune: soddisfare la richiesta di salute. Naturalmente l’obiettivo passa inevitabilmente attraverso percorsi di gratificazione anziché frustrazione, percorsi di comunicazione efficaci anziché muri di gomma, percorsi di applicazione di norme anziché silenzi normativi, percorsi e intenti comuni per obiettivi comuni

Il pronto soccorso rappresenta oggi una criticità crescente del nostro sistema di cure. Considerato per troppo tempo causa invece che effetto, problema invece che conseguenza, il risultato è che migliaia di pazienti continuano ad affollare i Pronto Soccorso italiani con accessi impropri (in media il 24% con punte dell’80%), a sostare per troppo tempo in attesa di cure (la permanenza di 24h in PS aumenta il rischio del 3%), a manifestare la loro insoddisfazione con fenomeni di violenze, in molti casi non denunciate, quasi mai punite.

Nel frattempo serpeggia tra medici, infermieri operatori sanitari una indolenza frammista a stanca delusione che allontana gli operatori che oggi sono ingabbiati nei PS e non fa avvicinare gli operatori che potrebbero entrare nel sistema.

Le cause le abbiamo sviscerate in più contesti: condizioni di lavoro, retribuzioni al palo, scarse possibilità di carriera, violenze, denunce e aggressioni che contribuiscono a rendere questa professione nella professione sempre meno appetibile.

Ma perché i PS non funzionano come il cittadino si aspetta? A chi va attribuita la responsabilità, quali sono le soluzioni per risolvere un problema che appare ormai endemico?

Immaginiamo che il PS sia il punto di arrivo di un labirinto.

Il paziente che ha bisogno di cure ha enormi difficoltà a rivolgersi a una medicina territoriale dove scarseggiano medici di medicina generale e che spesso non è dotata di percorsi diagnostici terapeutici e di presa in carico, nonché di strumenti diagnostici, infrastrutturali, terapeutici atti ad evitare che quel paziente si rivolga alla fine ai PS.

D’altro canto, una volta in PS, i tempi di uscita sono condizionati dalla disponibilità di posti letto, sempre più spesso occupati da pazienti in situazione di fragilità sociale, dovuta all’età, alla solitudine, alla non autosufficienza, a causa della carenza sul territorio di strutture intermedie. Finisce così che tutte le contraddizioni del sistema, si scarichino proprio su chi è chiamato a subirle, ovvero gli operatori e le aziende.

In queste condizioni aumentare i medici e gli infermieri non risolverebbe il problema dell’overboarding o dell’overcroawding, ma sicuramente risolverebbe il problema delle condizioni di lavoro e forse, se associato a un modello lavorativo più allettante e meno limitante, potrebbe aumentare l’appeal ormai quasi nullo della medicina di urgenza.

Per risolvere però i problemi degli accessi e della conseguente gestione di PS occorre uno sforzo organizzativo ben più impegnativo in termini di capacità.

Una riforma della medicina di prossimità è possibile soprattutto con i fondi del PNRR, sempre che si riescano a reperire le risorse per il personale necessario a popolare le strutture.

Le case di comunità e gli ospedali di comunità rappresentano una sfida da vincere, ma non basta. Occorre contemporaneamente rivedere il DM70, in correlazione con il DM77.

Infine occorre una corretta analisi di flussi e gestione degli stessi, cui però conseguano interventi correttivi costanti, immediati.

Per un progetto di siffatte dimensioni l’elemento cardine è la squadra.

Fino ad oggi si è consumata negli anni una guerra silente e a tratti evidente tra professionisti e direzioni aziendali, che sono in termini di contratto di lavoro parte e contro parte.

I tempi però richiedono, come avviene nei momenti di crisi peggiori, che le parti e le controparti facciano uno scatto in avanti, un salto di categoria.

Questo è uno di quei momenti.

Un momento in cui la collaborazione, anche alla luce del nuovo contratto di lavoro, possa sostituire la contrapposizione.

Occorre una grande maturità però di professionisti sanitari e professionisti delle direzioni aziendali, perché la sfida da vincere è comune, da combattere insieme alle cabine di regia regionali, impegnate nel disegno di una rete ospedaliera e territoriale che risponda alle esigenze epidemiologiche e organizzative di un territorio.

Abbiamo oggi come ieri un obiettivo comune, ma oggi esiste l’esigenza più di ieri di unire forze, competenze, azioni perché in gioco non c’è solo l’applicazione di un contratto, ma la sopravvivenza di un intero servizio sanitario pubblico.

E allora lanciamo una sfida personale e professionale che parta dai PS e continui poi per l’organizzazione del lavoro.

Solo i più coraggiosi raccoglieranno la sfida, ma sarà un punto di partenza.

Nel rispetto dei ruoli, occorre una stretta collaborazione tra datore di lavoro pubblico e dirigente sanitario semplicemente perché si deve lavorare insieme per conseguire un obiettivo comune: soddisfare la richiesta di salute. Naturalmente l’obiettivo passa inevitabilmente attraverso percorsi di gratificazione anziché frustrazione, percorsi di comunicazione efficaci anziché muri di gomma, percorsi di applicazione di norme anziché silenzi normativi, percorsi e intenti comuni per obiettivi comuni.

È impossibile solo ciò che non si vuol fare.

Tiziana Frittelli, Presidente di Federsanità
Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed

24 novembre 2023
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