Lavoro e Professioni
Carenza medici e infermieri: troppi amministrativi inquadrati come sanitari. Ecco perché i conti non tornano
di Federica BoscoIn Lombardia come nel resto d’Italia mancano medici e infermieri nel sistema sanitario pubblico. Una costante che sembra non trovare soluzione. “In realtà una riorganizzazione con un corretto ed effettivo calcolo del fabbisogno potrebbe migliorare la situazione - esordisce Danilo Mazzacane, oculista, revisore dell’Ordine dei Medici di Milano e segretario generale GOAL (Società scientifica oculisti ambulatoriali) -. La programmazione del ricambio generazionale è un errore che hanno fatto tanti paesi in Europa, non solo l’Italia. Ciò che però non hanno sbagliato gli altri è l’acquisizione dall’estero di medici pagati adeguatamente. Noi non abbiamo queste risorse per cui siamo costretti a prendere in emergenza i gettonisti, per far fronte ad una carenza strutturale che si manifesta soprattutto nel Pronto Soccorso, nei turni di notte e nei festivi”.
Attenzione all’età media dei medici. In particolare, Mazzacane reputa sbagliata la programmazione fatta tra Regioni e Stato dei posti nelle università nella facoltà di Medicina e nelle scuole di specializzazione. “Si tratta di numeri privi di contenuto - spiega – nel senso che non si è mai fatto il calcolo effettivo dei fabbisogni reali esistenti tenendo conto dell’età media dei medici. Questa è alta, quindi molti hanno una riduzione dei carichi di lavoro. Il che significa una esenzione dalle guardie notturne e dalle attività mediche propriamente dette”. Per il revisore OMCeOMI occorre dunque guardare ad un arco temporale di dieci anni per avere un servizio sanitario efficiente e nel frattempo mantenere nel SSN i medici presenti, offrendo condizioni di lavoro accettabili. “Purtroppo, ciò accade sempre meno perché molti scelgono il prepensionamento o le dimissioni dal Sistema Sanitario Nazionale per approdare nel privato – sottolinea -. Non tanto per una questione economica, ma per la ricerca di una crescita professionale, un adeguato ruolo sociale e una migliore qualità di vita dopo il Covid”.
Il modello francese. Per far fronte ad una emorragia di camici bianchi all’apparenza inarrestabile Mazzacane suggerisce di rivedere le modalità contrattuali con l’utilizzo del tempo pieno e parziale (come accade in Francia) per andare incontro alle esigenze dei medici. Molte delle quali sono donne. “Il modello francese permette ai medici di contrattare il tempo che si vuole dedicare alla professione nel sistema sanitario pubblico (100%, 70%, o 50%) – fa notare -. Poi occorre ridurre il delta tra gli stipendi italiani e stranieri. Questo non si può fare se non con una programmazione e con degli investimenti mirati e strutturali”.
Gli infermieri lamentano troppa burocratizzazione della professione. È in parte d’accordo anche Aurelio Filippini, Presidente OPI Varese: “Il numero di infermieri costretto in ufficio per problematiche di salute importanti è in aumento – dice -. Sono risorse che a volte diventano amministrativi, altre invece mantengono la funzione di infermieri come definizione contrattuale, ma non sono più impiegati a diretto contatto con i pazienti e non esercitano la pratica clinica”. C’è poi tutto il tema della burocratizzazione che per Filippini rappresenta comunque un problema da risolvere: “Rispetto alla rendicontazione delle attività svolte – prosegue – c’è una burocrazia oggi che porta via tempo alla clinica da rivedere. La rendicontazione è sempre più puntuale e complessa con moduli da compilare che tolgono tempo all’assistenza diretta, ma non sono numeri questi che incidono in maniera significativa nella carenza di personale”. Per arginare il fenomeno il presidente dell’ordine degli infermieri di Varese ritiene necessario un intervento delle aziende. “Dovrebbero fare un’analisi attenta e diretta del personale: dove è collocato, che caratteristiche ha e che funzioni svolge, per poi mettere mano con una riorganizzazione funzionale alle esigenze dei reparti”.
Necessaria una riorganizzazione del fabbisogno. Una riorganizzazione precisa che spetta alle aziende e che già è iniziata in alcune per cercare di redistribuire meglio le risorse, tenuto conto dei part time, dei carichi di lavoro e della malattia. “Non risolverà il problema in generale – ammette – perché mancano all’appello almeno 200 infermieri, ma una percentuale potrebbe essere recuperata”.
Infermieri indiani una soluzione che non convince “Attenzione alle sirene del nord Europa” Nel frattempo, si cerca di importare risorse dall’estero. Dopo il sud America, oggi l’attenzione è rivolta ad Oriente. Arriveranno infermieri dall’India perché, come ha assicurato il Ministro Schillaci la categoria è preparata. “Probabilmente arriveranno già con una padronanza della lingua italiana, ma la valutazione sulle competenze assistenziali e cliniche è ancora da fare – prosegue Filippini – . Comunque si tratta di un corso di laurea diverso dal nostro, più tarato sulla loro realtà. Ci vorrà del tempo per integrarli, soprattutto negli ospedali. Per le strutture residenziali la difficoltà è minore, ma non sarà questa una soluzione a breve termine e comunque impone una riflessione: arrivare in Italia per loro significa una condizione lavorativa migliore rispetto all’India, stipendi più alti, ma anche un costo della vita maggiore. Quanto ci vorrà perché questi infermieri che già conoscono bene l’inglese scelgano di trasferirsi nei paesi anglosassoni? Dunque, non credo sia un passaggio risolutivo”. Ci lascia con questo interrogativo il Presidente di OPI Varese nella speranza che gli infermieri indiani non si facciano attrarre dalle sirene del nord Europa.
Federica Bosco