Ho una preoccupazione che non riesco a dissimulare e che riguarda gli infermieri cioè, quell’esercito di persone straordinarie mal pagate, che garantiscono in qualsiasi condizione un lavoro duro quanto fondamentale, il cui valore vero è spesso misconosciuto. La loro idealità che abitudinariamente non è mai ostentata non è solo quella che riempie i congressi ma è quella ostinazione etica capace di stare accanto ai malati e di mettersi in discussione vincendo anche battaglie difficili.
Nell’epoca del definanziamento, nel post welfarismo, del trionfo del pensiero lineare, nel declino dei grandi valori della medicina, dove tutte le deontologie sono immiserite, tanto da convincere gli ordini dei medici a scendere in piazza, non credo che gli infermieri possano “essere” continuando normalmente a regolarsi con strategie “normali”.
Oggi c’è qualcosa di anormale con cui anche loro devono fare i conti. Ho sempre sostenuto la coevoluzione delle professioni mediche e infermieristiche, cioè il valore della relazione interprofessionale, quasi un legame che vincola ad una reciprocità le autonomie delle due professioni. Se una delle due va a fondo non si può pensare che per l’altra non succede niente.
Oggi il pensiero lineare che governa la sanità contende a medici e a infermieri le “esercenze” delle loro autonomie professionali mettendone in crisi le deontologie. Oggi il conflitto tra professioni sulle autonomie e sulle responsabilità, perde di senso, perché le autonomie non sono più un valore, anzi per la linearità sono il problema da risolvere. Senza autonomie, pur in modi e forme diverse, tutti sono come “contro riformati” nei loro paradigmi professionali e nei loro progetti di cambiamento. Gli infermieri non possono pensare di non esserne coinvolti e del resto ben prima della spending review abbiamo già visto a proposito di “competenze”, come le Regioni spingano per impiegarli come tappa buchi e come manodopera più economica .
Per questa “anormalità” e per i rischi di decadimento e di snaturamento che corre il sistema, auspico da parte degli infermieri un gesto politico di adesione alla manifestazione del 27. Capisco l’imbarazzo che essi provano a dare seppur involontariamente l’ìmpressione di una certa subalternità, capisco anche le delicate questioni di autonomia sindacale e perfino l’accortezza da parte loro di mantenere una interlocuzione con le proprie controparti tecnico professionale, ma si tratta di remore comprensibili in tempi normali ma non in quelli che stiamo vivendo.
Oggi dare l’idea di una indifferenza politica, o peggio di una neutralità, è come disimpegnarsi nella difesa del sistema pubblico. Che senso ha proporsi come nuova professione in un sistema che regredisce? Quindi per gli infermieri non cogliere l’occasione di un comune impegno politico con i medici mi risulta francamente incomprensibile in parte perché conosco le loro strategie che non hanno nulla di diverso da quelle dichiarate dagli organizzatori della manifestazione, in parte perché la condivisione di battaglie comuni è un modo per superare i conflitti con le alleanze.
Oggi non si cambia niente se su un pensiero forte non si costruiscono adeguati rapporti di forza. Ma a parte i rapporti di forza, davanti a certe problemi restare a guardare non è bello perché non è bello dosare il proprio impegno politico solo attraverso i propri pur legittimi interessi.
Oggi la “visibilità” degli infermieri non può essere quella “concessa” del decreto Balduzzi perché per gli infermieri è come essere visibili in una farsa con un ruolo posticcio, comunque marginale, come quello di una comparsa. Basta il titolo di quel decreto per far cadere le braccia “ "disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute".
E la spending review? E i tagli lineari? E la privatizzazione? E il taglio di 25000 posti letto? E i mille blocchi? E la commissione bilancio che annulla ogni più piccolo cambiamento ? E l’abbandono sociale? La “visibilità” oggi deve essere politica e per quello che mi riguarda non tanto per contestare una prospettiva inaccettabile quanto per costruire tutti insieme, ripeto con rinnovati rapporti di forza, una controprospettiva, cioè qualcosa di diverso da quello che c’è e che risponda con ben altre logiche alla distruzione dei valori ai quali stiamo assistendo.
La manifestazione dei medici è importante non solo perché si oppone a qualcosa ma perché il loro dissenso li impegna e ci impegna in una alternativa. Se ci fosse imbarazzo da parte degli infermieri ad aderire alla manifestazione che almeno si pensi a qualcosa di parallelo perché oggi chi si propone suo malgrado come “indifferente” rischia di destituire di credibilità proprio le sue idee di cambiamento.
La manifestazione del 27 è una occasione, unica nel panorama politico e per questo ancora più significativa, che realisticamente consegna non tanto al quadro politico presente ma a quello che avremo tra pochi mesi, una contestazione importante ma anche una soglia valoriale di sanità e di medicina invalicabile che in nessuno modo vuole sottrarsi ai problemi della crisi. Non è la prima volta che sostengo che il lavoro può essere la strada per definire strategie di compossibilità tra i problemi della crisi e i valori che difendiamo, ma proprio per questo ci si aspetta che i lavoratori tutti si rendano in quanto tali disponibili alla compossibilità.
Gli infermieri sono coloro che sino ad ora hanno dimostrato più di chiunque altro di essere capaci di costruire altri modi di lavorare. Mi dispiacerebbe se il loro patrimonio non fosse al servizio di un più alto bene comune..perchè per quello che ne so,una simile decisione non apparterrebbe alla storica generosità di questa categoria.
Ivan Cavicchi