“Siamo assolutamente d’accordo a perseguire una spesa pubblica razionale e oculata, ma questo obiettivo non può passare per una deresponsabilizzazione degli amministratori e un tracollo del tessuto delle pmi italiane. Con l’attuazione del payback centinaia di aziende saranno costrette a chiudere, con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Le imprese non saranno più in grado di fornire dispositivi medici, a gennaio ci troveremo davanti a una crisi senza precedenti da un punto di vista economico e sanitario”. A dirlo è
Massimo Riem, presidente della Fifo, la Federazione Italiana Fornitori Ospedalieri aderente a Confcommercio, che chiede la cancellazione del payback.
La norma è stata introdotta con la Manovra finanziaria del 2015, ma è rimasta inapplicata fino alla pubblicazione, lo scorso 15 settembre in Gazzetta Ufficiale, del decreto attuativo che certifica le somme che le aziende devono ripianare entro metà gennaio 2023. Si parla di 2,1 miliardi di euro per gli anni tra il 2015 e il 2018, a cui, secondo le stime del centro studi della Fifo, per il 2019-2020 si aggiungerebbero altri 1,5 miliardi di euro, per un totale di 3,6 miliardi tra il 2015 e il 2020. “Senza considerare le spese Covid per gli anni fino al 2022”, sottolinea Riem. Si tratta di cifre “insostenibili”, spiega la Fifo.
“Le aziende - chiarisce Riem - dovrebbero restituire in media somme pari alla metà del proprio fatturato annuo o anche oltre”. Questo provocherebbe “scompensi inaccettabili” e porterebbe “al fallimento centinaia di aziende, con la perdita di migliaia di posti di lavoro e la sospensione delle forniture che oggi consentono agli ospedali di erogare attività chirurgiche, prestazioni mediche e diagnostiche. Parliamo di dispositivi che sono anche salvavita”. Sterilizzatori, valvole cardiache, protesi ortopediche e ferri chirurgici, questi alcuni dei dispostivi che da gennaio potrebbero iniziare a mancare negli ospedali italiani .
Le aziende si stanno muovendo con dei ricorsi contro la norma, sarebbero già circa 500-600, secondo quanto riferito dalla Fifo, quelli presentati al Tar Lazio. Ma la Fifo si appella anche al Governo: “Chiediamo la cancellazione di questa norma, che è inapplicabile”, o comunque “la sospensione del provvedimento del 15 settembre per poter aprire un tavolo con il Governo per l'eventuale superamento della norma”. Per il presidente Fifo “non ci sono alternative” se non quella di “distruggere un settore strategico per il Servizio sanitario”.
Contro il payback si è espressa anche Grazia Guida, presidente di Aforp, l'Associazione dei fornitori ospedalieri della Regione Puglia. “Contestiamo fortemente il payback che è ingiusto e vessatorio verso le imprese che rischiano di morire”, dichiara in una nota. "Siamo in una fase molto delicata, perché le imprese italiane si stanno difendendo con centinaia di ricorsi al TAR Lazio con l'obiettivo che, in sede giudiziaria, venga riconosciuta l'incostituzionalità del payback, che genera disuguaglianze e non rispetta la libertà d'impresa. Ci stiamo preparando ad azioni in difesa della categoria anche a livello giurisdizionale europeo”.
“Le piccole e medie imprese - prosegue Guida - che rappresentano il 90% del tessuto sociale e imprenditoriale, sono linfa vitale dell'economia italiana e con l'invio dei pagamenti del payback, non si hanno alternative alla chiusura. Perché ad oggi manca l'ascolto da parte del Governo. Durante la pandemia il comparto della sanità é stato trainante, dove gli eroi senza volto, hanno contribuito a tenere in asset il sistema sanitario. La nostra azione - conclude la presidente Aforp - resta in prima linea e non faremo un passo indietro, fino a quando il Governo Meloni non sospenderà e cancellerà la pessima norma sul payback”.