Rivisitazione del concetto di responsabilità professionale dei medici e fissazione di criteri oggettivi e omogenei per la quantificazione dei risarcimenti. Sono queste per
Roberto Manzato, Direttore vita e danni non auto di Ania (l'Associazione nazionale imprese assicuratrici) alcune delle soluzioni che consentirebbero di mettere un freno al fenomeno della mal practice e di arrivare, grazie alla ridefinizione del rischio professionale, a un abbassamento del costo delle polizze.
Coperture assicurative, che come ha sottolineato il direttore in questa intervista, "non presentano ancora costi proibitivi". Di certo la Rc sanitaria diventa per le imprese assicuratrici sempre meno appetibile, come documenta anche
il Rapporto Ania 2011-2012, tanto che Manzato definisce i risultati degli ultimi quindici anni “insostenibili economicamente”.
Dottor Manzato, il fenomeno dei casi di malpractice, presunti o meno, si sta consolidando sempre di più tant’è che, secondo i dati dell’ultimo rapporto Ania, il volume premi delle polizze per la copertura della responsabilità civile nel 2010 hanno sfiorato i 500 milioni di euro. Il settore sanità è ancora un “buon investimento” per le imprese assicuratrici?
I dati degli ultimi quindici anni indicano per le imprese di assicurazione perdite rilevanti, sia nel settore dedicato ai medici sia in quello delle strutture sanitarie. Ogni cento euro incassati dalle compagnie per le coperture ai professionisti hanno comportato un esborso di ben 152 euro, e solo per quanto riguarda l’onere dei sinistri. Per le strutture sanitarie per ogni cento euro incassati se ne pagano 179 in sinistri. Se consideriamo che a questi costi bisogna sommare quelli amministrativi, più altri costi distributivi per remunerare gli intermediari, si comprende perfettamente che tutto questo non sta più in piedi dal punto di vista economico. Un’attività economica non può riscuotere cento e spendere in media il 70%-90% in più; questo è un contributo improprio che le compagnie hanno fornito ad un sistema ma che non possono continuare a fornire.
In poche parole non vale più la pena di assicurare il settore sanitario?
Non esattamente, sto semplicemente dicendo che i risultati degli ultimi quindici anni sono insostenibili economicamente. Ribadisco, un settore che incassa 100 e spende in media più di 160 solo per i risarcimenti non può continuare a farlo. Vanno necessariamente trovate delle soluzioni.
Ad esempio aumentando il costo delle polizze?
Non necessariamente, o meglio non solo. Ci sono anche altre leve da utilizzare. Si possono innalzare le franchigie, agire sugli scoperti. Ma soprattutto ci sono altri strumenti importantissimi che dovrebbero essere introdotti direttamente dal legislatore: la rivisitazione del concetto di responsabilità professionale dei medici e la fissazione di criteri oggettivi e omogenei per la quantificazione dei risarcimenti. Si potrebbe arrivare ad una ridefinizione del rischio con un conseguente abbassamento del costo delle polizze. Questo, insieme ad altre soluzioni di policy, consentirebbe anche di influire positivamente sul fenomeno della medicina difensiva, il cui costo è stimato intorno ai 13 miliardi di euro all’anno. Stiamo parlando di circa il 10% della spesa sanitaria nel suo complesso. Non dimentichiamo, infine, che i costi del contenzioso vanno in larga parte ad appannaggio dei “professionisti del risarcimento” e non ai danneggiati e quindi bisogna cercare di ridurlo nel rispetto della giusta tutela delle vittime di errori sanitari.
Stando così le cose, e nell’attesa che il legislatore intervenga, i medici cosa devono aspettarsi? Un inevitabile innalzamento dei prezzi?
Le coperture assicurative, in generale, non presentano ancora costi proibitivi. Le faccio qualche esempio. Le coperture per un massimale di 2 milioni e mezzo di euro, costano ai medici dipendenti - che quindi in generale rispondono solo in caso di rivalsa della propria struttura per colpa grave - dai 300 ai 900 euro l’anno. Un responsabile di un’unità di ginecologia oppure di ortopedia, tra le specialità più rischiose, può spendere 1.500 euro annui per un massimale di 5 milioni di euro. Naturalmente i prezzi salgono per i liberi professionisti o per chi esercita anche l’attività in extramoenia, quelli più alti possono raggiungere anche i 15mila euro per un chirurgo estetico che, come intuibile, presenta un elevatissimo rischio professionale. Tirando le somme e premettendo che è ovvio che si voglia spendere il meno possibile, non mi sembra che siano prezzi così inarrivabili anche tenendo conto che in altri paesi i costi sono molto più elevati.
Insomma siete dei benefattori?
Considerando i soldi che abbiamo immesso nel sistema sicuramente sì, alla prova dei fatti siamo stati dei benefattori. Non volendo, sia ben chiaro, ma lo siamo diventati nostro malgrado. Ex post, possiamo definirci “benefattori inconsapevoli”.
Parliamo di strutture sanitarie. Molte strutture sanitarie stanno iniziando a creare dei fondi assicurativi ad hoc. La regione Toscana ha deciso di auto assicurarsi. La Liguria ha centralizzato la gestione degli eventuali danni di alcune strutture sanitarie trasferendo al mercato assicurativo solo quelli di una certa entità. Ed anche altre Regioni ci stanno pensando. Vi preoccupa l’idea di perdere clienti?
Assolutamente no. Creare un fondo che copre i costi “fissi” per i sinistri assicurandosi solo per gli eventi inaspettati credo sia una scelta efficiente. Anche l’auto-assicurazione mi sembra una scelta legittima, a patto che lo facciano “cum grano salis”, contabilizzando i costi dei sinistri non per cassa, ma per competenza. Le compagnie di assicurazione sono vigilate e le riserve vengono valutate dai collegi sindacali, dall’Istituto di vigilanza, dai revisori, dal management, mi auguro quindi che anche chi ha deciso di intraprendere questa strada si muova sulla stessa linea.
Torniamo al fenomeno della malpractice. Per mitigarlo, quali sono le altre soluzioni di policy a cui ha fatto riferimento?
Oltre alla rivisitazione del concetto di responsabilità, standardizzazione dei danni non patrimoniali e alla mitigazione del rischio, si può pensare all’istituzione di fondi dedicati per i rischi che non dovessero trovare copertura sul libero mercato assicurativo. Penso a forme alternative di risoluzione del contenzioso, peraltro già implementate nel nostro Paese anche se non specificatamente per il settore medico. Di certo, negli ultimi anni, si è un po’ perso il controllo della situazione. Sarebbe quindi opportuno riflettere complessivamente sul sistema.
Ester Maragò