Un
documento di oltre 100 pagine varato dalla Conferenza Stato-Regioni descrivono le nuove linee di indirizzo per l’attività fisica: si prescrivono con ogni dettaglio le “dosi” di attività fisica per ogni fascia d’età, per genere, per patologia al fine di mantenere lo stato di salute e di benessere per rimettere in moto la popolazione nella fase post pandemica”.
Infatti, si raccomandano per gli adulti un minimo tra i 150 e i 300 minuti di attività fisica a settimana, per i bimbi l’optimum dovrebbero essere 3 ore al giorno. Tra gli 1 e i 4 anni massimo 1 ora davanti allo schermo. Ma l’attività è consigliata anche per le donne in gravidanza, anziani e persone affette da patologie come diabete e neoplasie, per gli anziani lo standard dovrebbe essere tra i 150 e i 300 minuti a settimana, per le donne in gravidanza si raccomanda uno stile di vita attivo attraverso la pratica (camminare, ginnastica dolce e in generale senza sforzi eccessivi) minima di 150 minuti a settimana, infine si forniscono ulteriori indicazioni anche per chi ha specifiche patologie come diabete, malattie cardio-cerebrovascolari, neoplasie, malattie respiratorie.
Con le limitazioni agli spostamenti e alle attività sociali si sono acuite quelle criticità già presenti prima della pandemia per quanto riguarda l’attività fisica e la sedentarietà acuendo l’implementazione di interventi di promozione dell’attività fisica negli ambienti di vita e di lavoro con un progressivo incremento della sedentarietà non solo tra gli anziani, ma in ogni fascia d’età: ne consegue che, giustamente, governo e regioni si siano posti il problema di come riavviare la mobilità fisica della popolazione nella fase post pandemica e per questo sono state varate le nuove Linee d’indirizzo sull’attività fisica dalla Conferenza Stato-Regioni.
Quindi l’attività fisica è riconosciuta quale produttrice di salute, necessaria per la tutela del benessere psicofisico, così come definisce il concetto di salute l’OMS; le suddette linee di indirizzo riconoscono quale professionista che concorre, in team con i medici delle varie specializzazioni e gli altri professionisti della salute ad iniziare dai fisioterapisti, al raggiungimento degli obiettivi posti il chinesiologo, che prima rientrava nella disciplina delle professioni non regolamentate ora è una professione riconosciuta dall’articolo 41 del Dlgs 28 febbraio 2021, n. 36 “Attuazione dell'articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché' di lavoro sportivo.
Stato e Regioni, quindi, hanno riconosciuto al chinesiologo un ruolo centrale e strategico nelle linee di produzione nel processo di tutela della salute individuale e collettiva ma per paradosso è l’unica delle professioni che a tale ciclo concorrono che non è riconosciuta nella catalogazione delle professioni della salute così come declinate dalla legge 3/18 cioè professioni sanitarie e sociosanitarie, legge che ha definito che una professione sia sanitaria o sociosanitaria non perché operi direttamente per la tutela della salute ma a prescindere dalla sua collocazione operativa o lavorativa: ne consegue che un fisico, un biologo, un chimico, un sociologo…si trovi a essere catalogato professionista sanitario o sociosanitario (la maggioranza di questi professionisti non opera in sanità) ma solo perché esercita questa professione anche se opera in campi differenti.
Il paradosso, pertanto, è dato dal fatto che il chinesiologo, che opera soltanto per promuovere il mantenimento dello stato di salute individuale e di conseguenza collettivo, pur essendo una professione riconosciuta non è definita dallo Stato che l’ha riconosciuta per tale funzione tra le professioni se non quelle sanitarie almeno tra quelle sociosanitarie anche se gli Atenei si siano da tempo adeguati inserendo sempre più il corso della laurea in scienze motorie nelle facoltà di medicina.
Questo nonostante il fatto che in più occasioni con specifici ordini del giorno, accolti dal Governo, si sia richiesto che il chinesiologo cioè il laureato in Scienze Motorie di essere riconosciuto quale professione sanitaria ma perché la sua funzione precipua è propria quella del mantenimento dello stato di salute come del resto indica anche la precedente campagna di comunicazione “Salute, sport e movimento” lanciata dal Ministero della Salute.
Del resto, lo stesso ordinamento degli studi universitari è finalizzato all’obiettivo del mantenimento dello stato di salute, si ricorda inoltre che già Ministero e Regioni hanno stabilito che è compito del laureato in Scienze Motorie l’esercizio dell’AFA, attività fisica adattata, come stabilito anche dallo specifico tavolo tecnico istituto il 31-5-2012 dal Ministero della Salute; si ricorda inoltre che proprio il Ministero della Salute finanziò sperimentalmente in cinque Regioni l’avvio dell’AFA quale attività prescrivibile dallo stesso medico per il mantenimento della stato di salute per soggetti in presenza di individuate patologie.
Infatti è noto che la finalità del SSN, come definita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, cioè la tutela della salute come "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia" fa sì che debba essere attuata non solo in un sistema sanitario in senso stretto, bensì dando corso ad un’articolata e complessa attività con più professionisti ed operatori per individuare e conseguentemente modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute individuale e collettiva promuovendo al contempo quelli favorevoli.
Per questa finalità il legislatore ha voluto inserire nella legge madre delle professioni sanitarie, la legge 3/18, con l’articolo 5 una specifica area delle professioni sociosanitarie e in questa area andrà individuato, quindi, un inquadramento adeguato e coerente per tutti quei profili professionali che non sono riconosciuti appieno all’interno dell’attuale sistema delle professioni sanitarie, ma che nella visione nuova di tutela della salute, ricoprono funzioni utili ed efficaci per il “piano terapeutico” e per l’intera organizzazione del lavoro.
In questa ottica Stato e Regioni per essere realmente conseguenti alle scelte già adottate dovrebbero dar corso alle procedure previste dall’articolo 5 della legge Lorenzin per individuare nuovi profili sociosanitari ad iniziare proprio dal chinesiologo (laureato in Scienze Motorie) proprio per la sua missione di prevenzione e di mantenimento dello stato di salute.
L’istituzione della figura del chinesiologo operata recentemente, oltre ad apportare chiarezza sulla linea di confine tra trattamenti terapeutico-riabilitativi-rieducativi, comprensivi di riacutizzazioni e aggravamenti, propri delle professioni sanitarie e l'attività fisica adattata (AFA) e l’esercizio fisico strutturato (EFS), non sanitari, tipica della fase di stabilizzazione, segna una svolta per l’efficientamento della offerta dei servizi sanitari e socio-sanitari (territoriali), valorizzando ed ottimizzando, secondo le rispettive matrici di competenza, le funzioni dei professionisti sanitari, quali quelle afferenti al fisioterapista ed al medico di medicina generale, anche attraverso la migliore educazione e gestione dell’attività fisica adattata e, quindi, del possibile coinvolgimento a supporto del chinesiologo.
La scelta di inserire il chinesiologo tra le professioni sociosanitarie non avrà impatti sulla finanza pubblica bensì tale riconoscimento rappresenterebbe l’apporto distintivo e necessario per lo sviluppo di un sistema che possa integrare pienamente le attività motorie nell’ambito nell’intero ciclo di vita e dei processi di salute, supportando la migliore integrazione e relazione funzionale con gli altri professionisti sanitari e sociosanitari , da attuarsi nel pieno rispetto delle diverse matrici di competenza e responsabilità, anche nell’ambito della presa in carico territoriale.
Con una domanda crescente di servizi sanitari e sociosanitari, tale riconoscimento apporterebbe inoltre risorse umane competenti, idonee ad integrare la rete di continuità socio assistenziale; a mero titolo esemplificativo, si pensi alle numerose ipotesi in cui alle prescrizioni a svolgere attività motoria ai propri assistiti da parte di operatori sanitari, non vi sia possibilità di un “raccordo” con figure professionali che sappiano interpretare, indirizzare l’attività motoria corretta al caso specifico.
Giorgio Berloffa
Presidente dell’Unione Nazionale Chinesiologi