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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

La formazione medica in Croazia. Intervista a Hrvoje Minigo

16 maggio - Hrvoje Minigo è presidente della Camera dei Medici della Croazia. Nel Paese, che ha circa 4 milioni e mezzo di abitanti, ci sono oggi poco più di 18 mila professionisti, tra medici e dentisti. La Croazia non è ancora Paese Membro dell’UE.
Dottor Minigo, chi determina il numero di nuovi iscritti alle vostre Facoltà di Medicina?
Il numero è stabilito dal nostro Ministero dell’Istruzione e Sport, come è definito in Croazia, sulla base della richiesta inviata dalle Facoltà di medicina. Il ministero vorrebbe avere un maggior numero di studenti, ma le Università non hanno le condizioni per accogliere un numero maggiore di studenti, non tanto per gli spazi ma per i docenti. L’anno scorso tuttavia il Ministero ha ottenuto che ci fossero 30 posti in più.
E i programmi di studio da chi sono definiti?
Dalle Facoltà, ma la Camera dei medici può dare indicazioni, in particolare segnalando materie ormai obsolete.
Perché avete deciso di abolire il periodo di tirocinio?
In realtà questa cosa non è ancora definita, perché le Facoltà stanno aggiornando i curricula. Ma vogliamo farlo per rispondere all’esigenza di avere un maggior numero di medici, rendendo meno lungo il percorso formativo.
Come funziona da voi la formazione continua in medicina?
Ogni 6 anni i medici devono dimostrare di aver ottenuto almeno 120 crediti formativi. Se non li hanno raccolti, la loro licenza non viene rinnovata e dunque non possono esercitare. Quest’anno ci sono stati 59 medici, per la gran parte medici di base, che hanno visto revocare la loro licenza.
In Croazia registrate un fenomeno di “fuga dei cervelli”?
Non esattamente, piuttosto i medici si allontanano dalla sanità pubblica, per andare verso le strutture private e l’industria farmaceutica. Certamente questa tendenza potrebbe diventare più forte quando entreremo nell’Unione Europea, come è già successo in Polonia o in Repubblica Ceca. Ma oggi in Polonia c’è un trend inverso e i medici stanno tornando a casa, perché nel Paese hanno migliorato le retribuzioni e le condizioni di lavoro.
Pensa che gli accordi di oggi possano contribuire al vostro ingresso in Europa?
Noi entreremo senz’altro nell’UE, prima o dopo, e abbiamo già accolto gli standard europei. Certo i protocolli di oggi sono importanti, perché attraverso questi documenti un grande paese come l’italia dà riconoscimento al nostro sistema di formazione universitaria.
E.A.
16 maggio 2011
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