17 giugno -
Sono trascorsi 4 anni dalle ultime tesi congressuali sull’argomento e 10 anni dalle proposte dell’Anaao Assomed sulla possibile integrazione Ssn/Università, ma le problematiche già ampiamente evidenziate restano immutate nell’indifferenza generale, segno anche questo della fragilità e della disgregazione del tessuto sociale del nostro Paese.
La storia dei rapporti tra quelle che un tempo erano le facoltà di medicina, che oggi dopo la legge Gelmini sono divenute dipartimenti dell’Università, e il Ssn è storia di frizioni, conflittualità latente o manifesta, contenziosi infiniti tra due istituzioni che restano ancora oggi fortemente caratterizzate nei loro fini istituzionali: l’assistenza per il Ssn, la didattica e la ricerca per l’Università. L’inscindibile rapporto tra didattica, ricerca e assistenza, formula magica che ha aperto tutte le porte e i cordoni della borsa dei diversi servizi sanitari regionali, coniata in un tempo ormai troppo lontano, ha generato un intrico di norme spesso contraddittorie e incoerenti che hanno finito per mettere in aperta concorrenza i due sistemi. Il lungo excursus legislativo che ha cercato di definire la questione, si è rivelato inadeguato, di difficile applicazione e fonte di interpretazioni capziose lasciando il concetto dell’integrazione rappresentato da poche parole mentre la difesa dell’autonomia universitaria diveniva, di fatto, la certificazione della sua prevalenza nel sistema delle Aziende Miste, modello oggi maggioritario rispetto a quello dei Policlinici Universitari a gestione diretta che si dibattono in enormi problemi gestionali ed economici.
Tuttora i due sistemi sono, di fatto, estranei l’uno all’altro, scarsamente permeabili, con personale separato da prerogative e compiti differenti, in una condizione di concorrenzialità che rende sempre teso il rapporto fra i professionisti e difficile la collaborazione.
Le convenzioni regionali e quelle attuative locali nelle intenzioni del legislatore avrebbero dovuto garantire la convivenza tra Ssn e Università, ma nella reale applicazione hanno mostrato limiti nel determinare un’effettiva mediazione tra le parti, e sono state contrassegnata da ricorsi, latenza nei rinnovi, inapplicabilità nella gestione corrente offrendo nella migliore delle ipotesi un modello di equilibrio ottenuto a prezzo di estenuanti compromessi e spesso diseconomiche duplicazioni delle funzioni, con risultati costosi e scarsamente produttivi in termini assistenziali e formativi. La conflittualità generata dall’avere affiancato – spesso negli stessi spazi fisici – strutture sovrapponibili per funzione, e quindi concorrenziali, ma divise da differenti stati giuridici del personale, diverse impostazioni del lavoro e diversa “mission” operativa, è logica derivazione di un contrasto, mantenuto e paradossalmente rafforzato dal meccanismo convenzionale che per il suo stesso essere ribadisce la differenza delle parti.
Negli anni la situazione di conflitto si è acuita a causa della radicale trasformazione che ha interessato il Ssn teso a recuperare, attraverso il processo di aziendalizzazione, efficacia, efficienza ed economicità, oggi più che mai, in un quadro di risorse predeterminate e finite. Nelle Aziende Miste e nei Policlinici questo fenomeno si è inserito in realtà aziendali nelle quali, nel corso degli anni, per la crescita dell’offerta formativa, non solo nella professione medica, ma anche in quelle sanitarie e infermieristiche, si sono moltiplicati i corsi e delle sedi d’insegnamento. L’aver prima assegnato come compito istituzionale la formazione medica specialistica all’Università, ignorando le capacità e le potenzialità del Ssn, e poi la successiva applicazione delle regole europee delle scuole di specializzazione, hanno ulteriormente accresciuto l’obbligo didattico di un corpo docente che negli anni, sia per i forti vincoli di bilancio che per una politica degli accessi disorganica si è ridotto di numero. Nel contesto attuale caratterizzato dagli effetti della riforma dell’Università voluta dalla Gelmini e dalla forte riduzione dei finanziamenti statali all’università appare difficile che il corpo docente universitario possa garantire in modo autonomo uno dei suoi due fini istituzionali, quello della didattica. Ciononostante l’apporto del personale laureato del Ssn (previsto sin dal D.lgs n. 502 del 1992) - a distanza di oltre 20 anni e tranne rare eccezioni - appare ancora di scarsa rilevanza quali-quantitativa risentendo sia della “parsimoniosa” applicazione della legge da parte universitaria (e regionale), sia dell’assenza di elementi incentivanti, in termini economici e di carriera, per il personale ospedaliero che intenda fornire una funzione oltre che assistenziale anche didattica.
La riduzione del fondo sanitario nazionale, l’affermarsi di nuovi modelli assistenziali che vedono ridurre in maniera anche drastica i posti letto negli ospedali, mettono oggi in luce quelle peculiarità del sistema universitario che, se prima poco si conciliavano con le novità introdotte nelle aziende alla fine degli anni 90, oggi assumono un carattere di contraddizione stridente. Oggi, come non mai, appare anacronistico riservare la quota dell’assistenza, espressa in dotazione strutturale e articolazione organizzativa, necessaria all’esplicazione della funzione didattica e di ricerca in rapporto al numero dei docenti e dei discenti. La riduzione dei posti letto in corso nel Ssn sembra dover ancora convivere con norme espresse in altri tempi sociali ed economici e questo può rendere oggi più di prima indefiniti i confini della presenza universitaria entro le strutture del Ssn, e tale vaghezza dei limiti, fissati, e spostati, di volta in volta in sede di convenzione regionale, ove le richieste del mondo accademico non restano mai inascoltate, costituisce una mina vagante all’interno dell’organizzazione delle Aziende Miste.
Il personale medico che si trova a operare nelle Aziende Miste e nei pochi Policlinici Universitari, svolge, in moltissimi casi, mansioni del tutto sovrapponibili a quelle dei colleghi universitari e non, come alcuni vogliono ancora credere, relegate ad attività solo di tipo assistenziale in ruoli di sudditanza.
La previsione normativa di dover rispondere, attraverso le famigerate convenzioni con le Regioni, alle esigenze della formazione post-laurea in strutture del Ssn è stata sostanzialmente disattesa forse anche perché i medici in formazione specialistica costituiscono un’importante, ancorché occulta, risorsa delle strutture universitarie, in grado di assicurare volumi produttivi e di sostenere l’attività scientifica che ne giustifichino l’esistenza.
Nonostante lo scenario della grave crisi economica che stiamo vivendo, l’Università continua a comportarsi come variabile indipendente del sistema. In tale contesto è stato indubbiamente più agevole l’utilizzo delle strutture e del personale del servizio sanitario nazionale con una logica non di integrazione ma spesso di tipo colonialistico. Infatti, è mancato (e manca tutt’ora) uno sforzo normativo che individuasse nuove tipologie per gli ospedali sedi di insegnamento tali da consentire la costituzione di un nuovo modello, anche attraverso l’armonizzazione degli stati giuridici del personale afferente.
Per risolvere questi problemi appare oggi necessaria una sostanziale revisione di tutto l’impianto normativo da parte del legislatore. Dato per scontato che nell’attuale contesto è impossibile che strutture a diretta gestione universitaria, ove il personale docente esplichi direttamente l’attività sanitaria, è necessario confrontare il nostro sistema con quello che avviene in molti paesi dell’unione europea che attribuiscono la formazione a quello che per noi è il Ssn. È quindi necessario che il modello dell’“Ospedale d’Insegnamento”, concetto oggi molto richiamato da tutti ma che non può trovare nelle attuali basi giuridiche il suo sviluppo, venga affermato come unico possibile modello integrato di insegnamento clinico, di ricerca medica e di assistenza, e questo quale presupposto alla riforma della politica della formazione e della ricerca nel nostro Paese. Un ospedale che in stretta correlazione con le strutture ospedaliere e territoriali della Regione costituisca il nodo centrale di una vera “rete formativa” e possa costituire anche il fulcro di un sistema di ricerca ampliato rispetto ai limiti oggi imposti. Una rete dove le risorse assegnate e impiegate per l’assistenza, la didattica e la ricerca siano ben definite e trasparenti e valutate nei loro outcome con criteri che abbiano come unici obbiettivi la salute dei cittadini, la qualità della formazione, lo sviluppo di nuove conoscenze e l’innovazione. Una rete nella quale appare molto difficile il persistere della coesistenza di due sistemi giuridici di appartenenza diversi per il personale che in essa opera.
Per far questo è quindi necessario confrontarsi con alcuni temi che ormai vedono la loro soluzione come ineludibile.
Il modello dell’organizzazione dipartimentale resta a nostro parere l’unico modello possibile anche nei nuovi sviluppi dell’organizzazione degli ospedali. Il Dai nell’Azienda Mista deve contemplare diverse esigenze, prima fra tutte la garanzia della partecipazione dei professionisti alla vita del dipartimento e al governo clinico. La scelta del direttore deve avvenire secondo criteri trasparenti di capacità professionale, curriculum, capacità organizzative e manageriali, non riconoscendo al personale universitario alcun diritto di prelazione sulla gestione di risorse che sono prevalentemente assistenziali.
Il Comitato di Dipartimento deve essere valorizzato quale ambito nel quale le attività assistenziali, didattiche e di ricerca trovino la loro reale integrazione nel governo clinico e fra i professionisti. Che svolga le sue funzioni secondo modalità trasparenti attraverso regolamenti che assicurino la reale partecipazione di tutti i professionisti ai momenti di discussione e definisca i percorsi decisionali interni, le autonomie del Direttore e garantisca le modalità della partecipazione della dirigenza medica al governo clinico.
Devono essere riviste le modalità di nomina e di revoca del Direttore Generale delle Aziende Miste che nel modello attuale, di fatto, ne limitano l’autonomia gestionale e privano il personale ospedaliero di un riferimento super partes politico-gestionale determinando un esistenziale conflitto di interessi.
Devono essere identificati e valorizzati il coinvolgimento e la corresponsabilità nella formazione specialistica e in quella delle professioni sanitarie dei Dirigenti Medici del Ssn sia in termini di curriculum che in termini economici.
La rete formativa deve rispondere alle reali necessità formative del Ssn e quindi il numero dei posti di specializzazione deve essere definito in base alle reali necessità del Paese, la durata dei corsi alla media europea e non in base alle esigenze interne delle Università, come spesso è avvenuto e potrebbe ancora avvenire.
Riconsiderare anche se la dizione di “assistente in formazione” della quale ancora oggi si trovano tracce nei Ccnl, dirigenti medici che nei primi cinque anni possono avere solo incarichi professionali non di alta specializzazione, non vada rivalutata anche al fine di evitare le attuali penalizzazioni che rendono la specializzazione requisito per l’accesso al Ssn e che fa si che gli specialisti di altri Paesi dell’Unione Europea sono in media di cinque anni più giovani degli italiani, con e penalizzazioni per quanto riguarda la carriera, le prospettive di vita, lo sviluppo professionale e le tutele previdenziali. Deve essere comunque chiarita definitivamente, anche ai fini medico legali della responsabilità professionale, la nebulosa norma della “progressiva autonomia” e quindi anche le responsabilità dei professionisti che ne sono i tutor.
Bisogna infine chiedersi come possa essere possibile infine il governo di un’azienda se il personale che in essa opera appartiene a due ordinamenti diversi, e quale sia il senso di avere alcuni direttori di struttura nominati per concorso, mentre per altri è sufficiente l’investitura del Senato Accademico e per i quali la formazione manageriale, elemento importante viste le risorse ad alto costo che sono impegnate nei processi assistenziali, viene considerata acquisita “ope legis”. Se questa formazione è importante, tutti coloro che ne sono interessati devono seguire specifici percorsi formativi, altrimenti tutti, in quanto dirigenti medici che operano nel Ssn, devono esserne esonerati.
Si fa un gran parlare, in questo periodo, non senza ragione, dell’invadenza politica nelle nomine dei direttori di Struttura Complessa ospedalieri. Eppure il dirigente ospedaliero deve partecipare a una selezione presentando un curriculum, un’anzianità di servizio, una casistica operatoria e ogni 5 anni il vincitore della selezione viene valutato sul suo livello di efficienza e capacità professionale, rischiando anche la perdita dell’incarico e - nei casi più gravi - il licenziamento. Il personale universitario fino ad oggi diviene direttore di una struttura complessa su designazione dell’Università, in quanto titolare di un ruolo sviluppato e valutato, sia esso docente di prima o seconda fascia, sulla base di criteri legati più alla ricerca e alla didattica che all’esperienza assistenziale. Quando nominato, la Direzione generale dell’azienda in cui diventa direttore di struttura complessa, non ha modo di valutarne le effettive capacità cliniche né al suo ingresso nel Ssn, né in periodi successivi, può non conoscere valutazioni di sorta ed è inamovibile fino al pensionamento, oggi anche ovviamente ritardato rispetto ai medici ospedalieri. Siamo nel campo assoluto dell’autoreferenzialità.
È necessario che sia chiara e trasparente la previsione del concorso dell’Università nelle gestione delle Aziende Miste attraverso sistemi di budget che rilevino, nelle diverse strutture aziendali, i fattori di assorbimento per l’assistenza, la didattica e la ricerca.
Conclusioni
L’Anaao Assomed ritiene necessario che lo Stato intervenga con modifiche normative e organizzative al fine di rendere i rapporti Università-Ssn più chiari, meno conflittuali, più rispettosi dei reciproci fini istituzionali, attraverso le quali sia possibile modernizzare il sistema assistenziale e formativo ai nuovi bisogni del nostro Paese, rendere compatibile il miglioramento di questi con l’attuale momento di ristrettezze economiche e permetta di affrontarle in modo strutturale e non congiunturale, perché è ormai chiaro che queste congiunturali non lo sono.
Occorre evitare, attraverso un confronto che coinvolga tutti gli attori interessati al futuro del sistema sanitario e di quello formativo e ripensamento delle attuali politiche, nazionali e regionali, che la provenienza istituzionale e l’autoreferenzialità orientino il processo di organizzazione e di gestione delle Aziende Integrate.
È ineludibile una riforma del D.lgs 517\99, reclutando le intelligenze professionali di tutti i livelli e di ambedue le appartenenze, ospedaliera ed universitaria ed un ripensamento serio sull’opportunità di mantenere distinti istituzionalmente i due ruoli.
L’Anaao Assomed rifiuta la teoria del “destino manifesto” per cui i medici ospedalieri sono condannati a cedere spazi e competenze al colonialismo universitario per rifugiarsi nella riserva di un Ssn povero e per i poveri lasciando ad altri le magnifiche e progressive sorti della formazione e della didattica e dell’assistenza nei settori ad alta specializzazione.
A cura del Gruppo di lavoro: Luciano Gabbani, Gerardo Anastasio, Domenico Montemurro, Pierino Di Silverio, Fabio Ragazzo