17 giugno -
Uno stato giuridico adeguato ai professionisti
Indubbiamente, dopo il processo di aziendalizzazione medici e dirigenti sanitari, all’interno delle Aziende sanitarie, si sentono poco amati, controllati, vincolati alle norme che disciplinano l’organizzazione e ne fissano i livelli di subordinazione, limitando, non di rado, la stessa autonomia clinica.
Nei medici la crisi della identità professionale ha rafforzato la tentazione di chiamarsi fuori per dedicarsi alla purezza della professione, lasciando che sia qualcun altro a pensare alla gestione. Di qui l’insofferenza per una qualifica dirigenziale vissuta come etichetta priva di contenuti, di qui l’inseguimento di una netta separazione di percorsi di carriera tra professionali e gestionali, di qui la sottovalutazione delle vere motivazioni di contenzioso con le nuove professioni sanitarie.
Nella società moderna, però, per avere un peso occorre imparare a gestire e accettare un ruolo, anche di ordinatore della spesa, perché la stessa autonomia professionale oggi è minacciata dalla crescita di altre professioni che, curiosamente aspirano a propri Ordini e a quel ruolo dirigenziale che molti vorrebbero abbandonare. Il guaio è che siamo chiamati a impersonare un profilo di dirigente, cui è collegata una dimensione professionale e una di responsabilità nella gestione quotidiana e strategica delle risorse, senza forme di partecipazione ai modelli organizzativi e operativi aziendali.
Tramontata anche l’attesa quasi messianica di un provvedimento legislativo che risolvesse questa contraddizione creando le premesse per l’affermarsi del governo clinico, che non è il governo dei clinici, ma la convergenza di valori, ruoli e responsabilità di professionisti diversi per un governo delle strutture sanitarie finalizzato ad obiettivi di salute, occorre porsi nuovi traguardi.
Lo stato giuridico del medico ospedaliero, e del dirigente sanitario per le diverse peculiarità professionali, costituisce un ossimoro peculiare: dipendente, per collocazione all’interno del pubblico impiego e dirigente, sia per la natura intrinseca di interprete dei bisogni di salute dei cittadini, sia per il trasferimento di delega della proprietà nella gestione di risorse anche ingenti. In tutti i medici sia pure con grado e intensità differente sono presenti i due ruoli, essendo la responsabilità gestionale insita in ogni atto medico per la valenza delle risorse impiegate e comportando ogni scelta clinica una decisione etica ed economica di cui il medico è responsabile.
Nella morsa della crisi e dell’attacco ai sindacati e al Ccnl l’ossimoro disegnato dal D.lgs 229/99 mostra tutti i suoi limiti che ne decreteranno la fine se non si individuano soluzioni in grado di disegnarne una evoluzione.
Il punto da cui partire per avviare una riflessione è il fatto che ci troviamo sempre più stretti nel contenitore del pubblico impiego, nel quale non ci riconosciamo e che tratta allo stesso modo professionisti, cui è demandata la tutela di un bene prezioso, quale la salute, e l’impiegato comunale. Insomma, “il disagio della professione è reale e chiede risposte” (Bianco). Occorre riflettere su questa situazione senza illudersi sull’esistenza di scorciatoie, quale potrebbe apparire la semplice separazione dei percorsi di carriera.
Uscire dalla dipendenza? E per andare dove?
La riflessione, certo, è ancora acerba e sappiamo, con certezza, solo ciò che non vogliamo senza avere ancora inquadrato un orizzonte. Constatiamo, intanto, che l’attuale contenitore penalizza i medici ed i dirigenti sanitari e non è coerente con la loro natura professionale, la specificità e la delicatezza dell’attività che essi svolgono all’interno delle strutture sanitarie. All’interno del Ssn oggi sono considerati semplici dipendenti cui è affidato un incarico professionale piuttosto che professionisti che lavorano per il Pubblico, tanto è vero che per le aziende non sono altro che uno dei tanti fattori produttivi di un modello organizzativo rimasto l’ultima espressione di fordismo, almeno in Italia. Occorre una riscrittura del lavoro medico all’interno delle organizzazioni sanitarie con un ragionamento a tutto campo che non escluda, se necessaria, una modifica dello stato giuridico. Anche ridisegnando modelli di organizzazione e gestione all’interno dei quali recuperare un ruolo professionale, sociale e politico che risponda coerentemente a tutte le specifiche caratteristiche della professione e del suo compito primario, cioè la tutela della salute dei cittadini.
Non si riscontra mancanza di affezione alla professione quanto una forte disaffezione nei confronto del proprio posto di lavoro. Manca uno spirito di appartenenza e una condivisione di valori, complice anche l’incertezza cognitiva sui percorsi strategici, la scarsa trasparenza nella gestione delle risorse, l’irrilevanza cui le categorie professionali sono tenute dalla prosopopea di una certa cultura aziendalista che pensa di potere costruire maxi aziende con mini medici e mini dirigenti sanitari. Ed anche l’invadenza pervasiva della politica che cerca e trova altri cavalli su cui puntare per le proprie sorti elettorali.
Per invertire la rotta, le categorie dei medici e della dirigenza sanitaria devono decidere finalmente cosa vogliono diventare, ritrovando innanzitutto l’orgoglio professionale per riaffermare i valori in cui credono, per i quali hanno studiato, per i quali sono stati formati ed hanno prestato giuramento. E per riaffermarli in maniera unitaria. Questo è un elemento indispensabile per qualsiasi processo di trasformazione, che non può prescindere da una partecipazione convinta della maggioranza dei medici italiani e dei dirigenti sanitari che sono uniti nel denunciare un diffuso disagio e una crescente insofferenza verso il modello aziendale. Tanto è vero che abbiamo inseguito per anni un provvedimento legislativo che speravamo attuasse il mitico governo clinico. Il problema che abbiamo ancora di fronte è in sostanza quello di progettare un nuovo sistema che ricostruendo i valori di appartenenza alla professione privilegi le risorse sociali nei confronti dei valori economici, superando la dicotomia tra sviluppo dei temi professionali e l'attuale modello organizzativo nel quale il professionista è spinto ad identificarsi se vuole progredire nella carriera.
La questione dello stato giuridico di Medici e dirigenti sanitari dipendenti è collegata alla necessità di ripensare l’attuale modello di governance, di fatto un potere monocratico su cose e persone, e quindi i rapporti tra contenuto e contenitore. A partire dalla consapevolezza che chi non rivendica responsabilità ed autonomia nell’esercizio di un ruolo accetta di essere gestito, senza alcun potere negoziale nei confronti del management e senza forme di partecipazione ai modelli organizzativi ed operativi aziendali. Occorre riflettere per trovare risposte a un disagio professionale, esteso e reale, aspetto dell’eterna “questione medica”, esorcizzata ma non risolta in questi anni, a dispetto del tentativo di normalizzare la categoria con un attacco a tutto campo. I Medici, e gli altri dirigenti sanitari, si percepiscono privi di prospettive e stretti nel contenitore del pubblico impiego che non valorizza le specificità di coloro cui è demandata la tutela di un bene prezioso, quale la salute, e nega ogni rapporto con la struttura e le prerogative della professione nonché la garanzia dei suoi caratteri distintivi. Occorre cominciare dai meccanismi di progressione di carriera per realizzare una ri-collocazione all’interno di organizzazioni votate al puro controllo dei costi e da una ri-lettura dell’organizzazione del lavoro per affermarci non come parte del “problema” quanto della soluzione. Inutile, perciò, adattarci alle necessità aziendali tirandoci fuori dai codici etici e deontologici.
Per ri-partire dalla valorizzazione della professione e sciogliere un groviglio di nodi strutturali e sovrastrutturali, la Categoria speciale può rappresentare una soluzione, ma non è l’unica. Occorre sparigliare e trovare la mossa del cavallo. Innanzitutto l’agibilità politica di porre 115.000 professionisti come categoria speciale, in secondo luogo la consapevolezza del limite di rinunciare ad organizzazioni, strumenti, prerogative di carattere sindacale a fronte di benefici incerti.
Altra soluzione potrebbe essere quella di professionisti che lavorano per il Pubblico come lo sono i medici in convenzione?
Anche qui, c’è un problema di numeri oltre che di valutazione realistica di costi e benefici. Ma soprattutto occorre conciliare uno status di libero professionista con l’affidamento di risorse umane, tecnologiche, economiche.
Altra soluzione potrebbe essere insistere e rivisitare su presupposti diversi e più coerenti con la natura peculiare del sistema di tutela della salute dei cittadini del carattere di “dirigenza speciale” delineato dall’art.15 del D.lgs 502 e s.m..
Il D.lgs del 2009 n, 150, nel riscrivere almeno in parte le disposizioni dedicate dal D.lgs. n. 165 del 2001 alla dirigenza (o ero quelle del titolo Il, capo 11), appare direttamente ed immediatamente applicabile alla sola statale , ponendo tale decreto, per le altre dirigenze (si pensi a quella locale cx artt. 109/110 D.lgs 1882000 n. 267), solo principi cui adeguarsi nel rispetto della propria autonomia regolamentare e statutaria fatte salve le rispettive discipline speciali. Insomma, a prescindere anche dalla esistenza o meno di una perdurante (ed esclusiva) sfera di autonomia legislativa statale nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (ivi compresi quelli degli enti del Ssn) riferibile all’art. 117, comma 2 lett. 1) ed m) della Costituzione, le disposizioni di cui al titolo IV, di cui al D.lgs n. 502/1992 devono ritenersi non abrogate da quelle, sia pure sopravvenute, a carattere “generale” contenute nel D.lgs n. 150/2009.
Una conferma di siffatta conclusione si rinviene ancora nel medesimo DLgs. n. 150/2009, il quale nel ridisegnare i comparti della contrattazione collettiva, prevede espressamente che “una apposita sezione contrattuale dì un’area dirigenziale riguarda la dirigenza del ruolo sanitario nazionale, per gli effetti dell’articolo 15 dal decreto legislativo del 1992 n. 502” (art. 40, comma 2, D.lgs n, 165/2001 come novellato dall’art 54 D.lgs. n. 150/2009), cosicché non v’è dubbio che le novità del D.lgs n. 150/2009 vanno necessariamente “calate” e rilette alla luce della tuttora vigente specialità (normativa) della dirigenza sanitaria del Ssn. Il che vuol dire che articoli del medesimo D.lgs n. 150/2009 risultano applicabili alla dirigenza del Ssn solo e soltanto qualora operino espresso riferimento a detta dirigenza ovvero non siano derogate dalla disciplina.
Si tratta allora di rivedere e accentuare fortemente il carattere “speciale” della dirigenza del Ssn rafforzandone in termini certi l’autonomia sia nel profilo professionale che gestionale che rendono peculiare la “funzione” sanitaria, dando contenuti e riconoscimenti certi alle singole posizioni e certezza alle azioni professionali specifiche, e ciò anche attraverso un supporto di modifica legislativa che tenda anche a superare il fallimentare disegno “aziendale” della 502 che ha mostrato e mostra costantemente la sua assoluta inadeguatezza.
Qualsiasi processo di trasformazione non può prescindere da una partecipazione convinta della maggioranza dei medici e dirigenti sanitari italiani. Che non si rassegnano all’idea che un paese civile possa rinunciare a quel valore fondamentale costituito da un sistema sanitario pubblico e nazionale e dal lavoro dei professionisti al suo servizio.
A cura del Gruppo di lavoro: Costantino Troise, Carlo Palermo, Giorgio Cavallero, Alberto Spanò