17 giugno -
Premessa: fondamenti del Sistema sanitario pubblico
Il sistema pubblico si sviluppa lungo due dimensioni di cui conserva la piena titolarità:
1) il finanziamento del sistema;
2) la responsabilità di produzione ed erogazione dei servizi.
Per quanto riguarda la prima dimensione il finanziamento del sistema è sostenuto dal contributo economico al Ssn delle famiglie proporzionalmente al proprio reddito ed è sganciato dall’effettivo utilizzo dei servizi. Quindi ognuno contribuisce alla tenuta ed al finanziamento del sistema e riceve per i suoi bisogni al momento opportuno. Nei sistemi a finanziamento privato, invece, le entrate delle strutture dell’offerta provengono prevalentemente dalle risorse delle famiglie che accedono alle prestazioni (spesa out pocket), ed anche dalle imprese di assicurazione con cui le famiglie stipulano contratti di assicurazione volontaria. Tra i Paesi Ocse, tuttavia, solo gli Stati Uniti privilegiano il finanziamento privato.
I sistemi sostenuti dal finanziamento pubblico si classificano in base al meccanismo del prelievo obbligatorio che può essere di due tipi:
1. imposizione di contributi sociali (sistemi di Social health insurance – SHI, noti anche come sistemi mutualistici – modello Bismarck);
2. destinazione alla sanità di una quota di gettito della fiscalità generale (sistemi tax-financed, noti anche come servizi sanitari nazionali – modello Beveridge).
I sistemi di SHI offrono un collegamento più diretto tra sacrifici (prelievo contributivo) e utilità (assistenza ricevuta), in quanto il ventaglio dell’offerta è proporzionale ai contributi versati. Tra i vantaggi vanno considerati una migliore qualità complessiva ed una maggiore concorrenza tra gli erogatori, non essendo riconosciuta ai medici di base una specifica funzione di affidamento e guida del paziente I limiti più importanti dei sistemi di SHI, sono costituiti dai maggiori costi di transazione che derivano dalla separazione tra acquirenti ed erogatori, la frequente assenza di copertura universale, le differenze anche significative tra gruppi di popolazione in termini di aliquote contributive, il numero variabile di prestazioni garantite, la qualità dell’assistenza non uniforme.
I sistemi tax-financed sono invece tradizionalmente caratterizzati dall’integrazione delle responsabilità di finanziamento e di erogazione dei servizi (modello di Servizio Sanitario Nazionale). I sistemi tax-financed prevedono l’affidamento ai Medici di medicina generale della funzione di gatekeeping (irrilevante nei sistemi SHI) con significativi benefici in termini sia di costi, sia di qualità dell’assistenza. Ulteriori benefici derivano dalla maggiore attenzione alla sanità pubblica e ai servizi ad essa correlati (prevenzione, assistenza domiciliare, assistenza ali anziani, ai malati terminali ecc.). Tuttavia nei vari sistemi Tax non mancano eccezioni significative. Per esempio molti sistemi tax financed (tra cui l’Italia) hanno introdotto la separazione tra acquirenti e produttori nonché elementi di remunerazione a tariffa, che sono invece caratteristici dei sistemi SHI.
I sistemi pubblici in tutti i paesi dell’area Ocse registrano gravi problemi di finanziamento del servizio sanitario e sono costretti ad affrontare enormi difficoltà economiche ed organizzative per garantire la sostenibilità del sistema di fronte alla crescente spesa per la soddisfazione dei bisogni e ed alle variazioni demografiche-epidemiologiche.
È allora lecito porsi la domanda se è stato opportuno passare, come è avvenuto in l’Italia nel 1978, da un sistema mutualistico (Bismarck) a un Servizio sanitario nazionale (Beveridge).
La risposta è sì.
Una recente ricerca dell’Ocse ha dimostrato, infatti, che i sistemi sanitari modello Beveridge si comportano, in media, meglio rispetto alla spesa sanitaria, allo stato di salute e al mercato del lavoro. Del resto, dal 1960 a oggi sono solo quattro i Paesi Ocse che hanno percorso il cammino opposto e, in tutti e quattro i casi, si trattava di Paesi dell’Est Europeo che tornavano alla tradizione prebellica dopo la caduta del comunismo.
La sanità tra crisi economica ed emergenza sociale
A) Le dimensioni della crisi sociale
Nel Paese 8,3 milioni di italiani vivono in povertà e 15 milioni di cittadini sono a rischio povertà o esclusione sociale (24,7% della popolazione contro il 21,2% area euro). Il tasso di disoccupazione è arrivato al 12,9% (+1,1% su base annua), disoccupati sono 3,3 milioni, gli inattivi arrivano al 36,6% contro una media europea di 26,4%, il tasso di disoccupazione giovanile per la fascia tra 15 e 24 anni, è pari al 42,4%.
A fronte di questo progressivo impoverimento sociale le risorse destinate al Fondo nazionale per le politiche sociali (interventi di assistenza alle persone e alle famiglie) si sono progressivamente ridotte nel tempo. Dai 928 milioni di euro del 2008 si è scesi progressivamente ai 218 milioni di euro del 2011. La legge di stabilità 2012 ha destinato al fondo appena 69,954 milioni di euro che la legge di stabilità 2013 ha incrementato di 300 milioni di euro per l'anno 2013.
Stessa sorte è toccata nel 2012 al Fondo nazionale della non autosufficienza che ha visto del tutto azzerate le sue risorse nazionali che ammontavano a 400 milioni nel 2010. Il fondo è stato nuovamente rifinanziato nel 2013 con 275 milioni, certamente non sufficienti al sostegno dei 3 milioni di non autosufficienti censiti in Italia.
All’impoverimento dei due fondi delle politiche sociali e della non autosufficienza si aggiunge la drastica riduzione del finanziamento dei fondi “sociali” della famiglia e delle politiche giovanili ed i tagli imposti alle Regioni dalle manovre economiche nel periodo 2010-2014 che avranno effetti anche sulle risorse regionali per il sociale come servizi sociali, indennità di accompagnamento ed altre mansioni trasferite di competenza alle Regioni
In questo contesto la Sanità diventa un importante ed insostituibile ammortizzatore sociale.
B) Le dimensioni della crisi economica
Tutti i governi dell’ultimo decennio, ogni anno sono intervenuti sulla Sanità. Le manovre di contenimento della spessa si sono particolarmente intensificate negli ultimi tre anni, per frequenza ed entità.
Complessivamente nel periodo 2010-2014 sono stati operati tagli al finanziamento del Ssn pari a 31 miliardi di euro (Corte dei Conti). Di conseguenza la spesa sanitaria pubblica e privata continua a scendere. Nel 2011 è diminuita del 1,6% rispetto all’anno precedente, posizionando l’Italia tra paesi che nell’area Ocse spendono meno, sia in termini di incidenza del Pil (9,2% contro una media pari a 9,6%) che di spesa pro capite, a parità di potere di acquisto 3130 dollari annui contro 4.500 di Germania, i 4085 di Francia e i 5.500 di norvegesi e svizzeri (Ocse relativi 2011).
In particolare la spesa sanitaria pubblica è stata nel 2012 pari a 110,8 miliardi euro, in diminuzione per il secondo anno consecutivo (era 118,7 miliardi nel 2010), con un incidenza sul Pil del 7.1%. Anche la spesa privata, che negli anni 2002-2012 è passata da 23,3 a 26.9 miliardi, registra una diminuzione nell’ultimo anno dello 0,2%. A dimostrazione che sempre più italiani abbandonano le cure o si affidano a percorsi di cura low cost. Il 55,7% degli italiani ha rinunciato o è pronta a rinunciare a prestazioni mediche per motivi economici (Osservatorio sanità Unisalute).
A fronte di forte contenimento della crescita della spesa sanitaria i principali indicatori di salute registrano una buona performance del sistema. L’aspettativa di vita alla nascita, che è un importante indicatore determinato dal benessere economico, quindi risorse destinate all’accesso alle cure, e dalla qualità dell’assistenza sanitaria, vede l’Italia al primo posto dei paesi Ocse (82,3 anni) ed al secondo posto nel mondo dopo il Giappone. Il livello di invecchiamento della popolazione, quindi il numero di anziani, è il dato che meglio integra il valore aspettativa di vita alle condizioni del sistema sanitario. Infatti, gli anziani sollevano maggiori problematiche di assistenza sanitaria (polipatologie, malattie croniche ecc.) per cui un’elevata popolazione anziana è un segnale di servizi sanitari che funzionano meglio. Ebbene l’Italia è il secondo paese per numero di anziani dopo la Germania (20,3%%). Rispetto alla media Ocse sono buoni anche gli indicatori come la mortalità infantile (3,4 su mille nati vivi, Ocse 4,3), il tasso di mortalità ospedaliera a 30 gg dopo infarto del miocardio ed ictus, ed il tasso di mortalità standardizzato per 100mila abitanti (502 contro media Ocse 628).
Complessivamente un paese che spende meno rispetto agli altri paesi europei a noi più vicini per analogia sociale, geografica ed economica, ma che funziona meglio.
C) Un paese sempre più diviso e disuguale
I sistemi regionali mostrano evidenti disparità sia in termini di spesa e di costi e sia nella organizzazione ed erogazione dei servizi sociosanitari.
La spesa sanitaria pubblica a livello regionale è fortemente differenziata in valori pro capite, basti pensare che tra la provincia autonoma di Bolzano, che ha spesa più elevata (2274 $), e la Campania, che ha la spesa più bassa (1711$), la differenza è di circa 500 euro, che corrisponde ad un quarto della media nazionale che è pari a 1.860 euro pro capite. Delle otto Regioni che spendono meno rispetto alla media nazionale ben cinque sono del Sud Italia, quattro delle quali in Piano di rientro (Puglia, Sicilia, Campania e Calabria). Un altro segno della crisi Rispetto all’anno precedente è la diminuzione del numero di Regioni con uno scostamento di spesa sanitaria pro capite positivo rispetto alla media nazionale superiore al 10%. Erano sei e passano a cinque (PA Bolzano, Valle d’Oste, PA Trento, Friuli, Molise). Gli scostamenti negativi più marcati si registrano in Campania (-8%) in Calabria (-7%) e in Sicilia (-6,5%).
Delle otto Regioni in piano di rientro (Piemonte Lazio; Abruzzo; Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) solo tre hanno registrato un utile di esercizio (Abruzzo, Piemonte e Puglia) le altre, anche a fronte di risultati di negativi, hanno migliorato il loro debito rispetto all’anno precedente. Questo a significare che la politica economicistica dei Piani di rientro è efficace sul fronte del contenimento della spesa, ma a prezzo di tagli a servizi e prestazioni. Lazio, Sardegna e Campania detengono l’89% del disavanzo totale.
D) Principali problemi di sostenibilità
Se nel complesso la Sanità pubblica è finanziariamente in equilibrio con una spesa contenuta e una buona efficienza del sistema nel confronto internazionale, persistono elementi di forte criticità:
1) scarse ed insufficienti risorse per investimenti per il rinnovo tecnologico e infrastrutturale;
2) sul versante delle entrate una modalità di contenimento della spesa basato sulla compartecipazione dei cittadini (ticket) che se da una parte riduce i consumi di prestazioni sanitarie dall’altra manifesta una forte dose di iniquità;
3) sul versante della spesa si privilegia il governo dei fattori produttivi e non dei servizi quindi con occhio solo ai consumi senza tenere in considerazione gli outcome dei servizi. Si blocca il turn-over per consentire una drastica riduzione del personale e si riduce la spesa di beni e servizi, senza tenere in nessuna considerazione la maggiore appropriatezza organizzativa e funzionale di una azienda nell’utilizzo dei fattori produttivi, i risultati raggiunti ed i vuoti che derivano dai tagli. Una politica di tagli lineari che lascia complessivamente la geografia dei servizi immutata. Taglia qualche ramo ma non contiene nessun elemento di trasformazione, lascia immutate le cose che non funzionano come per es. le reti ospedaliere squilibrate (piccoli ospedali), le reti territoriali inadeguate, il sovraccarico ospedaliero, i vuoti assistenziali;
4) elemento del tutto nuovo, al contenimento della spesa pubblica non corrisponde una crescita della spesa privata out of pocket. Dopo anni di costante crescita, nel 2012 si è registrato -2,8% di spesa privata, e -8,5% di consumo di prestazioni specialistiche (Agenas);
5) altro elemento di criticità: il gap tra le Regioni si accentua sempre di più, in particolare le Regioni in piano di rientro si allontanano dagli standards produttivi di servizi e prestazioni garantite dalle altre Regioni.
Le reazioni alla crisi
I Provvedimenti di risposta alla crisi economica finanziaria e al progressivo definanziamento del sistema sono stati diversi da Regione a Regione e sono stati dipendenti dalle condizioni strutturali e dalle capacità programmatorie delle singole Regioni.
In sintesi gli interventi di politica sanitaria si possono riassumere:
1) Modificazioni della geografia dei servizi. Si afferma nel tempo un cambiamento degli assetti istituzionali regionali attraverso un lento e progressivo accorpamento delle aziende pubbliche. Dalla prima ricognizione post D.lgs 502/92 al 2012 le Asl sono passate dal 659 a 145 (-78%). Aumentano le loro dimensioni geografiche, collocandosi in un perimetro provinciale se non addirittura regionale, e l’entità dei fattori produttivi governati. In molte Regioni tende ad imporsi un rilevante gigantismo istituzionale (Marche: azienda unica, Abruzzo: 4 Asl, Umbria: 2 Asl, Emilia Romagna: Azienda Unica della Romagna) e si sperimentano forme di collaborazione orizzontale e verticale attraverso la condivisione di servizi (es. laboratori di analisi) e strutture amministrative e di logistica (magazzini, farmacie ecc.).
2) Trasformazione dell’offerta e del flusso delle prestazioni. Obiettivo raggiunto seguendo più direttrici:
• Riduzione del numero dei ricoveri ospedalieri (-16,9% nel periodo 2000-2011) molti dei quali sono convertiti in servizi a ciclo diurno (Dh, Ds) e incentivazione del trasferimento dal ciclo diurno a prestazioni ambulatoriali.
• Contemporanea riduzione dei Posti letto per acuti, tale da raggiungere il numero programmato (3%), trasformazione dei piccoli ospedali in centri di cura intermedie e primarie, realizzazione di reti ospedaliere integrate con reti territoriali.
Le Regioni più deboli non superano la rigida e consueta applicazione dei tagli lineari per cui si scavano sempre più profonde diseguaglianze sociali e si accentuano gli squilibri territoriali e geografici. La testimonianza di questi squilibri è data dalla dimensione raggiunta dalla mobilità sanitaria che nel 2012 interessa quattro milioni di cittadini, con 523 mila ricoveri provenienti da altre Regioni.
In ultima analisi fossimo affermare che la crisi economica ha favorito una trasformazione del sistema che, di fatto, ha superato l’originario modello costruito sul D.lgs 502. Questo modello che collocava la Regione in un ruolo centrale di programmazione e regolazione dei molteplici “attori” locali concorrenti nella produzione di servizi e nell’erogazione di prestazioni specialistiche è stato sostituito con un modello gerarchico centrato su una diarchia costituita da assessore regionale/pochi DG, una specie di cabina di regia, dove la politica regionale è concertata tra pochi soggetti. Si impone quindi una politica sanitaria basata prevalentemente su logiche di stampo economicistico, costruita sui tagli e sulla concentrazione delle risorse, a prescindere da qualsiasi altra logica o modello di distribuzione dei servizi.
Per una sanità come diritto alla salute
Secondo un’indagine Censis 9 milioni di italiani rinunciano alle cure secondo un copione che ricorda sinistramente l’esperienza della Grecia dove, a causa della crisi, si è registrato un aumento della mortalità generale annuale, un incremento della malattie infettive a forte correlazione sociale come Hiv e Tbc ed un incremento dei suicidi (+ 40% sul 2007). Nel 2012 solo otto Regioni sono state in grado di assicurare i Lea ed il 55% dei cittadini ha fatto ricorso alle proprie tasche per procurarsi prestazioni che i rincari dei ticket (+40% dal 2011 al 2012) e liste di attesa rendono sempre più difficili ottenere. Le ricette alla crisi, che possano allontanare il default del sistema sono conosciute, a cominciare dalla lotta agli sprechi ed alla corruzione come si deduce dalle ultime sentenze delle Corte dei Conti nel 2013 per illeciti nella sanità (complessivamente 103 milioni tra citazioni e sentenze definitive) Occorre trovare un bilanciamento tra obbiettivi da raggiungere e politiche ed interventi di breve-lungo periodo. Occorre rispondere ai bisogni attuali e nello stesso tempo prepararsi a rispondere ai bisogni del lungo periodo che saranno prevedibilmente sempre più influenzati da fattori esterni al Ssn (inquinamento, alimentazione, stili di vita). Occorre raggiungere un nuovo equilibrio tra assistenza, ricerca e formazione con un ampio coinvolgimento in questo senso dei professionisti (medici infermieri e altre professioni). Da questo punto di vista appaiono miopi quelle politiche che per prima cosa mirano al contenimento della spesa, all’equilibrio economico finanziario a tutti i costi e con qualsiasi perdita. Questa logica non può applicarsi a un sistema che deve per prima cosa garantire i Lea e che considera il rispetto della persona e la tutela della salute come diritto fondamentale. Non sono condivisibili obiettivi di contenimento della spesa, come si è seguito con i piani di rientro, basati su sequenze di tagli che incidono negativamente su prevenzione primaria e secondaria, rinnovo della tecnologia, manutenzioni strutturali, risorse umane e ricerca.
A cura del gruppo di lavoro: Domenico Iscaro, Silverio Selvetti, Erminio Torresani, Chiara Di Lauro