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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Pani (Aifa) su 'Wired': "Ecco perché abbiamo fallito su Stamina"

13 giugno - Il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), Luca Pani, ha scelto il mensile Wired, per spiegare, in un articolo pubblicato sulla versione online, la sua posizione rispetto alla recente decisione del tribunale di Pesaro che ha permesso a Marino Andolina di riprendere le infusioni del cosiddetto metodo Stamina.
Luca Pani offre il racconto in prima persona della sofferenza di un medico e di un rappresentante delle Istituzioni di fronte all’impossibilità di tutelare la salute di un bambino indifeso e al tradimento dei principi etici e deontologici della professione medica.

 
 
Luca Pani, direttore generale dell’Aifa: “Perché abbiamo fallito su Stamina”. Di seguito l'articolo pubblicato dal mensile Wired.
 
"Capitano, ogni tanto, delle giornate diverse della vita di un uomo. Per me l’ultima è stata quando ho saputo che un bambino di tre anni e mezzo aveva ricevuto un’iniezione del cosiddetto metodo Stamina, nella schiena, con un ago che, per le sue dimensioni e per l’assenza di un’anestesia, sicuramente gli ha fatto male. Allora ho sentito di aver fallito. Sono medico da quasi trent’anni e ho prestato un giuramento sacro, identico da 25 secoli, che ci impegna a difendere la vita umana, di tutti, non solo quella di chi abbiamo davanti. Il paziente in questo caso non lo conosco, non l’ho mai visto di persona eppure, come capiterebbe a qualunque altro mio collega, mi sono sentito responsabile per lui. Anche se la sua famiglia non vuole neppure che lo nomini.

Se non sono riuscito a impedire questo gesto “illegale” e pericoloso con un’ordinanza, l’atto di più alto livello che l’Aifa potesse mai fare, e che mai aveva fatto, mi sono chiesto a cosa davvero servisse il mio mandato. Mi sono chiuso in me stesso e, tra l’amarezza e la sofferenza, ho spedito un messaggio al Ministro Lorenzin che ero certo avrebbe capito il mio dolore. Poi non ho più risposto al telefono per moltissime ore. Non mi era mai successo.

Nel silenzio di una lunghissima camminata mi sono chiesto come avrei ancora potuto svolgere i compiti di cui devo poter rispondere come medico e quelli cui mi legano la lealtà e l’appartenenza alle Istituzioni che rappresento. Mi sono chiesto a cosa servisse ricoprire la posizione di Direttore Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Una poltrona molto ambita che, nell’immaginario collettivo, è quella del“potere”. Peccato che a me il potere non sia mai interessato. Il “potere” di un medico è tutto concentrato nel curare i malati, ma se non riesci neppure a evitare che a un bambino indifeso venga fatto del male, che potere hai? Chi sei? È stato come fallire due volte.

La nomina di Andolina quale ausiliario del Tribunale di Pesaro, che di fatto lo ha posto nelle condizioni di trattare i pazienti, infrange tutte le regole nazionali e internazionali su ogni genere di terapie, vìola il rapporto medico-paziente, va contro il codice deontologico (persino quello nuovo), contro i regolamenti di ospedali pubblici e/o privati, contro le linee guida, contro tutto e tutti i codici etici e di comportamento che stanno a fondamento non solo della medicina e della sanità, ma persino della vita umana, e finanche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo si è recentemente espressa. Qualcun altro che niente conosce di scienza e di medicina ha ordinato di infondere liberamente una cosa segreta, che cura non è, così come non è terapia e non è neppure trattamento. S’infonde qualcosa che non sappiamo neppure definire, tutto questo lascia senza parole. Almeno me.

Sono trascorsi esattamente due anni e un mese dall’ordinanza con cui noi dell’Aifa e i Carabinieri del Nas definivamo con precisione quali fossero le violazioni di Stamina. Un’ordinanza che rimane valida, ma che viene applicata, o peggio, disapplicata dai giudici del lavoro con un pattern di impossibile comprensione. E perché? Perché la medicina in questo caso e sempre più spesso ormai, non è più in mano ai medici, i quali sono tenuti a rispondere, da sempre, solo alla propria scienza e coscienza, per essere poi responsabili di quello che fanno. Il tempio della medicina è il letto del malato e sono i corridoi degli ospedali, non quelli dei tribunali, i luoghi dell’esercizio della professione.

Questa pratica nuova che certo non è scienza, non è clinica e tantomeno arte, viene invece oggi contrabbandata dal ciarlatano di turno, dal truffatore e dall’impresario che non è neppure imprenditore, nello stesso modo per cui non basta assolutamente essere laureati in medicina per essere medici. In Italia non manca mai naturalmente l’aiuto del politico compiacente che per due lustrini di visibilità e novanta secondi di gloria nel telegiornale nazionale non esita a vendere al migliore offerente una coscienza che non ha più da tempo. E pure prendendo atto che le scelte della magistratura siano da rispettare (così come d’altronde vanno rispettate le leggi del Parlamento), mi chiedo se chi materialmente crea le condizioni per porre un proprio ausiliario nella capacità di compiere un’attività vietata e ordina questo tipo di somministrazione si renda esattamente conto di quello che ha fatto. Spero di no.

Si sappia allora che le agenzie regolatorie come Aifa, in tutto il mondo, stanno lavorando perché le terapie, quelle con T maiuscola, arrivino col massimo grado di priorità e sicurezza alle persone colpite da malattie gravissime. Esistono percorsi per la sperimentazione veloce, corsie preferenziali che proprio noi abbiamo creato in Europa e per questo motivo non possiamo accettare e tollerare la deregolamentazione selvaggia o strumentale per far quadrare, per esempio, dei bilanci economici sulla pelle dei pazienti. In queste ultime settimane ho avuto la netta sensazione che questa sia invece proprio la direzione in cui stiamo andando, grazie anche al bombardamento di informazioni false e incontrollate che hanno fatto balenare speranze infondate in chi vive l’esperienza drammatica di malattie che, al momento, non hanno cura.

Mi sono dunque domandato perché davanti a queste aspettative e a tanta disperazione, molti altri si siano rifiutati di vigilare o di intervenire o siano stati anch’essi impossibilitati a farlo. Il motivo, credo, è quello che brucia sulla mia pelle: il tutto può dimostrarsi molto doloroso considerati i molti interessi in gioco che niente hanno a che fare con i malati e con la medicina. E allora c’è chi preferisce chiudere un occhio, o entrambi, e lasciare che sia. Eppure nessuno resta per sempre invisibile agli occhi della Storia.

La Storia presto solleverà il sipario su un nuovo mondo che ho dovuto scoprire mio malgrado, fatto di aggressività, insulti, calunnie, minacce e intimidazioni, che istiga all’odio verso un modo diametralmente opposto di concepire la vita e la professione. Costoro odiano la scienza, le regole, la disciplina ma anche la fatica, il sacrificio, l’umiltà e il sudore. Piegano le leggi ai loro interessi e le cambiano a discapito dei pazienti. Non fa per me. Questo festival dell’ignoranza, che cerca di trascinare tutti nel fango per renderci plasmabili e complici della non-cultura, incoerente e vaga, che si nutre di presunzione e arroganza, lascia dentro un’amarezza impossibile da sopportare.

Non riconosco più i pilastri della medicina che ho studiato e che amo, quelli che spiegano come si scoprono e si studiano veramente malattie, farmaci e cure mentre, invece, vedo spazi sterminati concessi alla superficialità estrema e a intense operazioni di marketing mediatico completamente prive di sostanza reale.

Alla fine di quella giornata diversa mi sono accorto che questi attacchi avevano (e ancora hanno) anche lo scopo di trascinare lo stile di vivere etico e rigoroso a cui la maggior parte degli scienziati e dei medici ispirano la loro esistenza in una grottesca pantomima fatta di banalità e cattiverie gratuite. Vedo calpestati e offesi giornalmente gli ideali per cui ho scelto il mio lavoro e mi chiedo se ci sia ancora una minima speranza in questo Paese e se ci sia ancora spazio per quelli come me". 
13 giugno 2014
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