10 maggio -
I più piccoli sono sempre meno attaccati nella ‘vita reale’ e lo sono sempre di più via Internet o con gli sms. Il motivo? Questo tipo di bullismo è nascosto nell’anonimato ed è più difficilmente riconoscibile dagli adulti. E il bullo diventa star del web. Ma gli esperti precisano: “Aumentano anche il grado di empatia e il senso di giustizia”.
A preoccupare, per i più giovani, non è solo la salute, ma sono anche gli stili di vita. In particolare, a questo riguardo, nel corso del 68° congresso della Società Italiana di Pediatria è stata presentata proprio stamattina un’indagine che rileva la percezione dell’incidenza degli atti di bullismo tra i ragazzi delle scuole medie. Sebbene rispetto all’anno scorso nella ‘vita reale’ questa sia calata di 8 punti, passando dal 61% del 2011 al 53% del 2012, si rileva un preoccupante aumento dei casi di bullismo su Internet. Il ‘cyberbullismo’, fatto di offese, minacce o vere e proprie persecuzioni veicolate tramite gli strumenti che vanno dalle mail a Facebook, è un trend in forte crescita: riferisce di esserne stato oggetto o di sapere che ha interessato un amico il 42,9% del campione preso in esame. Nel 2010, secondo un’indagine Eurispes/Telefono Azzurro, erano solo il 25,3%.
Il termine inglese "Cyber bullying" ("bullismo elettronico" o "bullismo in internet") indica l'utilizzo di informazioni elettroniche e dispositivi di comunicazione, come ad esempio la posta elettronica, la messaggistica istantanea, i blogs, i messaggi di testo quali sms, mms ecc. per effettuare attacchi personali o altro tipo di persecuzione contro un soggetto scelto. Gli studi mostrano come tutto ciò sia oggi usato per perpetrare comportamenti di vera violenza psicologica come dicerie e falsità sul proprio conto, esclusione dal gruppo dei pari (lo ha fatto il 4% degli intervistati e lo ha subito il 2,4%), messaggi o contenuti mediali di minaccia o intimidazione (subiti dal 6,4%).
Un trend in crescita anche perché può permettere di non svelare la propria identità. “Il bullismo elettronico permette un maggiore anonimato del bullismo diretto che può far diminuire il senso di responsabilità da parte di chi agisce, permettendo l'azione prevaricante anche da parte di soggetti che nella conflittualità sociale diretta non troverebbero la forza di agire”, ha
spiegato Luca Bernardo, Consigliere Nazionale SIP ed esperto di disagio giovanile. “Non va poi dimenticato, in termini operativi, che il bullismo elettronico può essere maggiormente nascosto al mondo degli adulti, a causa di una generale maggiore competenza informatica e tecnologica dei ragazzi rispetto ai genitori o agli adulti in genere ed alla scarsa possibilità di controllare le comunicazioni inviate tramite internet o tramite cellulare”.
Come ogni altra forma di bullismo, anche il cyberbullying è un comportamento intenzionale e riguarda danneggiamenti ripetuti nel tempo, inflitti prevalentemente tramite frasi o immagini. Ma presenta alcune differenze con le altre forme di discriminazione. “Ad esempio – ha continuato Bernardo – il bullismo elettronico risente più del bullismo ‘tradizionale’ dell'influenza dei media e delle modalità e contenuti da questi trasmessi, con il ruolo rivestito dall'immagine nella società della comunicazione”. Questo nuovo tipo di strumenti, consentono al bullo di “diventare un eroe multimediale” e fa si che la vittima non rimanga vittima una sola volta, ma diventi la vittima catturata dall’infinito spazio virtuale; e l’immagine (fotografia, film, ecc.) che riprende la violenza subita (verbale, fisica) viene immortalata e resa intangibile nello spazio virtuale. Ciò comporta che il disagio della vittima aumenti in modo esponenziale: il silenzio, l’esclusione, il senso di impotenza, la mortificazione, la vergogna, il timore del giudizio degli altri, che connota ogni vittima di bullismo, diventano spesso insostenibili quando si è alla mercé di un atto di cyberbulling.
Tuttavia, dall’indagine non emergono solo dati negativi. Ad esempio se i più giovani vengono più spesso perseguitati via web, allo stesso tempo si evince un alto grado di empatia nei confronti delle ‘vittime’ che sono soggetti deboli, che non hanno sviluppato meccanismi di auto-protezione tali da permettergli di reagire (52,2%). In più dagli ultimi dati emerge come si faccia più forte il senso di giustizia tra i ragazzi: l’85,8% ritiene che chi ‘denuncia’ un comportamento persecutorio a genitori e insegnanti faccia la cosa giusta mentre solo il 10, 5 lo definirebbe ‘una spia’ e il 10% un fifone, ma il 44% si difenderebbe da solo e solo il 34,3% informerebbe un genitore. Il 69,3% dei ragazzi infine valuta in maniera negativa i coetanei prepotenti che assumono comportamenti violenti, aggressivi e vessatori anche se il 27% riferisce scarso interesse al fenomeno a meno che non lo riguardi direttamente.