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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

La formazione specialistica in Europa

di A.Spedicato
28 aprile -

È opportuno pensare alla propria professione in un contesto europeo da quando, con la Direttiva 2005/36/CE, è stato stabilito il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali e dunque la validazione automatica dei titoli di formazione (garantita dal coordinamento delle condizioni minime di formazione). Queste condizioni permettono la libera circolazione dei professionisti tra i Paesi membri della Unione Europea.

È necessario ricordare che ogni Paese risponde al principio di sussidiarietà in fatto di salute. Secondo questo principio, l’UE può intervenire soltanto in casi in cui la sua azione sia più efficace di quella delle autorità nazionali, a cui rimane comunque la responsabilità primaria della tutela della salute. Questa premessa è necessaria per comprendere le diverse realtà esistenti nei vari contesti europei, riguardo percorsi formativi e accesso alla professione, e per capire per cosa e come l’Europa può esserci di esempio.

Nei Paesi Scandinavi, il percorso formativo si compie per acquisizione di obiettivi, che sono raggiunti attraverso corsi o attraverso un percorso clinico, certificato dal supervisore o dal capo dipartimento. Quando tutti gli obiettivi sono raggiunti ed un minimo tempo è trascorso, si manda una richiesta all’ente preposto, chiamato Direttorato della Salute, che verifica la correttezza dei documenti allegati e si ottiene così il titolo di specialista. L’accesso alla professione è il fisiologico proseguimento di questa impostazione. L’ospedale propone un posto di lavoro per il quale sono richieste delle competenze, lo specialista che presenta le competenze necessarie presenta personalmente la domanda (application form) e il Direttore Generale o il capo Dipartimento scelgono il professionista che, a loro avviso, soddisfa il profilo richiesto.

Come si è arrivati a questo sistema?

  • La formazione avviene per competenze
  • Il lavoro è individuato e strettamente svolto solo per competenze precisamente definite
  • La scelta del professionista non risente di personalismi o favoritismi.

Questa organizzazione presenta alcune criticità:

  1. la difficoltà di definire, in modo puntuale, quando una competenza può definirsi appresa e consolidata, soprattutto nel settore delle specializzazioni chirurgiche
  2. il limite di quantificare le procedure necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo di apprendimento, in contesti epidemiologici o strutturali che non permettono di affrontare frequentemente un certo tipo di patologia. Porto l’esempio di un collega neurochirurgo norvegese che, per completare il settore di competenza legato all’esecuzione di almeno 30 interventi di craniotomie, ha dovuto aspettare a lungo nel suo ospedale prima che si presentasse in trentesimo paziente neurochirurgico.
  3. Nel caso in cui il lavoro venga eseguito da personale sanitario che può muoversi solo nel contesto delle competenze acquisite, questo richiede, necessariamente, che non vi possa essere carenza di personale, che ci sia una perfetta organizzazione del sistema affinché ogni professionista sia presente nel momento necessario, che non ci sia conflittualità tra le diverse figure professionali e che il task shifting sia un modello di suddivisione del lavoro
  4. Una cultura della società che educa al riconoscimento del valore e non lascia spazio a personalismi.

Anche in Germania ed in Olanda, non esiste un concorso nazionale. Lo specialista può proporsi direttamente ad un ospedale o può rispondere ad annunci di lavoro. In questo ultimo periodo si sta verificando anche il fenomeno di una chiamata diretta, da parte di “cacciatori di teste” nei riguardi delle figure professionali più interessanti o più necessarie.  

Questo sistema è possibile perché la filosofia adottata da questi due paesi è quella di attrarre specializzandi e neo specialisti da altri Paesi europei, senza investire troppo in formazione a livello nazionale, offrendo ottime e soddisfacenti condizioni lavorative ed economiche; inoltre la barriera linguistica non è un problema perché la possibilità di comunicare in inglese, a qualunque livello sociale, è agevole; la formazione specialistica, che si svolge all’interno degli ospedali vede lo specializzando già inquadrato come un lavoratore con crescente responsabilità e autonomia e, frequentemente, il passaggio da specializzando a specialista, nella stessa struttura, avviene automaticamente.

Questi brevi esempi ci mostrano che sicuramente l’Europa può essere un’ispirazione e una finestra attraverso cui conoscere altre la realtà, ma le modalità adattate oltre confine rientrano in modelli organizzativi, culturali e sociali che dovrebbero essere adottati tout court per poter funzionare.

Questo non significa che non si possa imparare dall’Europa, ma è necessario porsi delle domande su cosa si vuole raggiungere e a cosa si vuole rinunciare. I paesi citati precedentemente hanno dimostrato che si può offrire un sistema formativo di qualità al di fuori delle Università, hanno accettato il task shifting come compensazione alla carenza di personale sanitario, riconoscono al medico in formazione specialistica una identità di lavoratore e non di eterno studente, hanno estromesso la politica dalla sanità pubblica.

Soprattutto hanno scelto di investire in Sanità (e nei settori corollari di attività a questa connesse, tra cui la formazione) una quota di PIL sicuramente maggiore del valore di 6,2% che l’Italia raggiungerà nel 2025. Riporto che nel 2020, la Germania ha mantenuto stabile intorno all’8,5% il suo investimento, Olanda 8,0%, Norvegia 9,6% mentre l’Italia è balzata al 7,9% dal 6,8% dell’anno precedente solo per i necessari ed emergenziali investimenti che sono stati fatti per la pandemia.

Scegliendo di investire in sanità, gli Stati più virtuosi promuovono non solo l’ingresso dei professionisti ma soprattutto il loro permanere nel SSN, offrendo retribuzioni e condizioni di lavoro adeguate.

La mia esperienza mi ha insegnato che non serve necessariamente importare modelli dall’Europa ma è necessario impegnarsi e investire per migliorare e “curare” quello che abbiamo qui in Italia. Perché i medici italiani e il nostro SSN sono strumenti di valore.

Un sistema complesso quale la Sanità non presenta soluzioni semplici ma sono identificabili settori umani ed organizzativi da cui partire per qualificare l’accesso alla professione. Ai fini di questa conferenza, sottolineo i seguenti punti:

  • è necessario insegnare a studenti e specializzandi, fin dal corso di studi, la clinical leadership affinchè siano consapevoli del processo organizzativo in cui lavorano e crescono come professionisti e non siano pedine di un sistema che le muove;
  • definire quali ruoli e competenze professionali sono da delineare in un progetto a lungo termine (decisori politici)
  • implementare la formazione specialistica al di fuori delle università con una responsabilità crescente (in Slovenia la responsabilità professionale dello specializzando cresce insieme alle skills acquisite) rivedendo il ruolo giuridico del medico in formazione specialistica
  • è necessario investire economicamente in sanità riflettendo sul dato che la media europea di investimento in sanità si attesta al 9% del PIL. Investire in sanità significa incrementare processi tecnologici ed informatizzati, rinnovare strutture e tecnologie, migliorare le retribuzioni, assumere personale e dunque ridurre il disagio.

Concludo con una anteprima. Una indagine che ho condotto in Europa, con la Fems, e che l’Anaao presenterà ufficialmente nelle prossime settimane ha dimostrato che i medici più soddisfatti del loro lavoro sono tedeschi, olandesi e svedesi.

Perchè, ad oggi, la difficoltà in Italia non è scegliere di entrare in un ospedale ma decidere di rimanervi.

Alessandra Spedicato
Capo delegazione Anaao in FEMS ed EJD

28 aprile 2022
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