Il nodo resta sempre quello del ricovero. E le linee di indirizzo (che ricordiamo non hanno valore vincolante ma appunto di indirizzo) alle Regioni su come utilizzare la RU 486 centrano proprio su questo la loro massima attenzione. Il verdetto della Commissione di esperti, guidata da Fabrizio Oleari, direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute, si basa sui diversi pareri del Css e ribadisce che è "fortemente sconsigliata la dimissione volontaria contro il parere dei medici prima del completamento di tutta la procedura perché in tal caso l'aborto potrebbe avvenire fuori dall'ospedale e comportare rischi anche seri per la salute della donna".
Che succederà a questo punto? E' molto probabile che le Regioni continuino ad operare secondo le proprie linee guida già emanate nei mesi scorsi e che vedono alcune regioni propense all'obbligo del ricovero ed altre favorevoli al day hospital. Resta comunque il fatto che la paziente può decidere autonomamente di lasciare l'ospedale dopo aver preso il primo dei due farmaci necessari all'aborto (il mifepristone che è il principio attivo abortivo), per rientrare dopo due giorni al momento dell'assunzione del secondo farmaco (la prostaglandina che favorisce l'espulsione del feto).
Su questa possibilità giunge ora la raccomandazione delle linee guida che giudica la dimissione volontaria molto pericolosa. Ma a suscitare le maggiori perplessità sono state le dichiarazioni del sottosegretario Roccella, che ha fatto ventilare la possibilità che le interruzioni con RU 486, condotte senza ricovero ordinario per tre giorni, possano non essere rimborsate dalla Regioni perché, sostiene la Roccella "esiste una criticità amministrativa che potrebbe determinare dei problemi sul piano del rimborso della prestazione da parte del servizio pubblico".