A fine ottobre solo 13 regioni avevano presentato un piano per la revisione dell’assistenza territoriale e solo 12 quelle che avevano presentato i piani per il recupero delle Liste d’attesa. E ancora, di Usca ne sono state realizzate a livello nazionale meno del 50% di quanto previsto e poi anche il percorso per l’introduzione dell’infermiere di famiglia è al palo. A mettere in fila tutti i ritardi delle Regioni nell’attuazione delle misure sanitarie per il contrasto alla pandemia è la Corte dei conti nella sua audizione sulla Manovra svoltasi ieri presso le Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato.
La Corte in primis evidenzia come “va osservato che con le risorse disponibili per il prossimo anno, pur significativamente potenziate, le regioni dovranno far fronte rispetto a quanto precedentemente previsto, sia alle occorrenze relative al personale e alle Usca di cui era stato finanziato il costo solo per il 2020, sia alle misure introdotte con il d.l. 34 per il potenziamento dell’assistenza territoriale e ospedaliera che, come si è visto, erano state finanziate integralmente solo per il 2020”.
In questo senso rileva come “naturalmente nella valutazione del fabbisogno sanitario va considerato che lo stato di attuazione delle misure avviate nei mesi scorsi è ancora parziale”.
E qui inizia l’elenco dei ritardi. “A fine ottobre – sotto linea la Corte - solo 13 regioni avevano presentato un piano per la revisione dell’assistenza territoriale prevista dall’articolo 1 del decreto-legge 34/2020 (e a cui sono riferibili circa 734 milioni). Il Ministero della salute aveva predisposto una griglia di valutazione inviata alle Regioni per il monitoraggio dei piani affidandone il compito ad un gruppo di lavoro appositamente istituito presso AGENAS”.
Limitata era anche l’attuazione dei piani regionali per il recupero delle liste d’attesa (d.l. 104/2020). “Erano solo 12 le Regioni – rileva la Corte - che hanno provveduto ad inviare i documenti. Mancavano i piani di Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Lombardia, P.A Bolzano, Piemonte, Puglia, Sardegna. Dato l’attuale andamento dei contagi è tuttavia difficile che si possa effettivamente compiere il recupero delle prestazioni mancate nei mesi del primo lockdown”.
Nota dolente anche “l’attivazione delle Unità speciali di continuità assistenziale, che ben avrebbero potuto rappresentare uno strumento di assistenza sul territorio anche in grado di alleviare la pressione sugli ospedali, ha avuto un andamento inferiore alle attese e con forti differenze territoriali. Vi ha inciso la volontarietà dell’adesione da parte dei Medici di medicina generale e dei Pediatri e le difficoltà di disporre di adeguate attrezzature sanitarie. Nonostante in alcune regioni le realizzazioni siano state forti, la media a livello nazionale era inferiore al 50 per cento”.
Al palo anche l’attuazione delle misure “che dovevano portare all’infermiere di famiglia sconta un qualche ritardo: sempre a inizio novembre, non era stata sottoposta all’esame della Conferenza Stato Regioni la bozza di intesa elaborata dalle Regioni che doveva portare all’attuazione della disposizione normativa”.
Insomma, ritardi su ritardi che non hanno aiutato a far arrivare pronto il Ssn nella seconda ondata della pandemia.
L.F.