L’Italia ha violato il diritto dell’Unione sulla qualità dell’aria in quanto i valori limite applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 sono stati superati in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea.
Il caso. Nel 2014, la Commissione europea ha avviato un procedimento per inadempimento nei confronti dell’Italia in ragione del superamento sistematico e continuato, in un certo numero di zone del territorio italiano, dei valori limite fissati per le particelle PM10 dalla direttiva «qualità dell’aria».
Secondo la Commissione, infatti, da una parte, dal 2008 l’Italia aveva superato, in maniera sistematica e continuata, nelle zone interessate, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato XI, della direttiva «qualità dell’aria». D’altra parte, la Commissione muoveva censure all’Italia per non aver adempiuto l’obbligo ad essa incombente, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, in combinato disposto con l’allegato XV di questa stessa direttiva, di adottare misure appropriate al fine di garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate.
Ritenendo insufficienti i chiarimenti forniti in proposito dall’Italia nel corso della fase precontenziosa del procedimento, la Commissione, il 13 ottobre 2018, ha proposto dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento.
Nella sentenza pronunciata il 10 novembre 2020, la Corte, riunita in Grande Sezione su domanda dell’Italia, ha accolto il ricorso.
In primo luogo, per quanto riguarda la censura attinente alla violazione sistematica e continuata delle disposizioni di cui al combinato disposto dell’articolo 13, paragrafo 1, e dell’allegato XI della direttiva «qualità dell’aria», la Corte giudica detta censura fondata, alla luce degli elementi dedotti dalla Commissione per i periodi e le zone oggetto del procedimento. A tal riguardo, la Corte ricorda, anzitutto, che il fatto di superare i valori limite fissati per le particelle PM10 è sufficiente, di per sé, per poter accertare un inadempimento alle summenzionate disposizioni della direttiva «qualità dell’aria». Orbene, nella specie, la Corte dichiara che, dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornaliero e annuale fissati per le particelle PM10 sono stati regolarmente superati nelle zone interessate.
Secondo la Corte, il fatto che i valori limite in questione non siano stati superati nel corso di taluni anni durante il periodo considerato non osta all’accertamento, in una situazione siffatta, di un inadempimento sistematico e continuato alle disposizioni in parola. Infatti, secondo la definizione stessa del «valore limite» di cui alla direttiva «qualità dell’aria», detto valore, al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo insieme, deve essere conseguito entro un dato termine e non essere superato una volta raggiunto.
Inoltre, la Corte sottolinea che, una volta che, come nel caso di specie, tale constatazione è stata accertata, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza, oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte, salvo stabilire l’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza. Nella specie, pertanto, non essendo riuscita a fornire tale prova, invano l’Italia si è fondata sulla diversità delle fonti d’inquinamento dell’aria per sostenere che alcune di esse non potrebbero esserle imputate, come esempio quelle che sarebbero influenzate dalle politiche europee di settore, o sulle particolarità topografiche e climatiche di talune zone interessate. Infine, la Corte non conferisce rilevanza alcuna alla circostanza, invocata dall’Italia, dell’estensione limitata, rispetto all’insieme del territorio nazionale, delle zone sulle quali vertono le censure invocate dalla Commissione. Essa precisa, al riguardo, che il superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10, anche nell’ambito di una sola zona, è di per sé sufficiente perché si possa dichiarare un inadempimento alle summenzionate disposizioni della direttiva «qualità dell’aria».
In secondo luogo, per quanto riguarda la censura relativa alla mancata adozione di misure adeguate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10, conformemente ai requisiti di cui all’articolo 23, paragrafo 1, da solo e in combinato disposto con la parte A dell’allegato XV della direttiva «qualità dell’aria», la Corte la giudica parimenti fondata.
A tal riguardo, essa ricorda che, ai sensi di tali disposizioni, in caso di superamento di detti valori limite dopo il termine previsto per la loro applicazione, lo Stato membro interessato è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell’aria che risponda ai requisiti di detta direttiva, segnatamente a quello di prevedere le misure adeguate affinché il periodo di superamento di tali valori limite sia il più breve possibile. La Corte sottolinea, in tale contesto, che, se è pur vero che un tale superamento non è sufficiente, di per sé, per dichiarare l’inadempimento agli obblighi incombenti agli Stati membri ai sensi di dette disposizioni della direttiva «qualità dell’aria» e che essi dispongono di un certo margine discrezionale per la determinazione delle misure da adottare, tali misure devono tuttavia, in ogni caso, consentire che il periodo di superamento sia il più breve possibile.
Orbene, nella specie, la Corte dichiara che l’Italia non ha manifestamente adottato, in tempo utile, le misure in tal senso imposte. A sostegno della sua affermazione, essa si riferisce agli elementi che risultano dal fascicolo da cui risulta, segnatamente, che il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni nelle zone interessate, che, nonostante il processo inteso a conseguire tali valori limite, in corso in Italia, le misure previste dai piani per la qualità dell’aria sottoposti alla Corte, segnatamente quelle intese a indurre cambiamenti strutturali (specificamente con riguardo ai fattori principali di inquinamento), per una grande maggioranza di esse sono state previste solo in tempi estremamente recenti e che molti di questi piani dichiarano una durata di realizzazione degli obiettivi relativi alla qualità dell’aria che può essere di diversi anni, se non addirittura di due decenni dopo l’entrata in vigore di detti valori limite.
Secondo la Corte, una siffatta situazione dimostra, di per sé, che l’Italia non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 sia il più breve possibile. Peraltro, mentre l’Italia riteneva indispensabile, segnatamente alla luce dei principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e gli interessi privati, disporre di termini lunghi affinché le misure previste nei diversi piani relativi alla qualità dell’aria potessero produrre i loro effetti, la Corte osserva, al contrario, che un siffatto approccio si pone in contrasto sia con i riferimenti temporali posti dalla direttiva «qualità dell’aria» per adempiere gli obblighi che essa prevede, sia con l’importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell’ambiente, perseguiti dalla direttiva medesima. Infatti, pur riconoscendo che l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva «qualità dell’aria» non può imporre che le misure adottate da uno Stato membro garantiscano il rispetto immediato di tali valori limite per poter essere considerate adeguate, la Corte sottolinea che l’approccio dell’Italia si risolverebbe nell’ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare tali valori, allorché essi sono stati fissati proprio nell’ottica di conseguire tali obiettivi.
Fonte: Corte di Giustizia Europea