Indice di trasmissione del virus Rt sotto 1, capacità di fare test entro 3 giorni dai sintomi, personale adeguato agli standard, tasso occupazione terapie intensive e Area Medica, nonché ovviamente trend in calo e assenza di focolai (anche nelle Rsa). Sono solo alcuni dei 21 indicatori contenuti nel decreto firmato oggi dal Ministro della Salute e che serviranno per monitorare l’andamento dell’epidemia in modo da poter intervenire per tempo qualora il numero dei casi dovesse tornare a salire. Le indicazioni ministeriali erano previste dal Dpcm del 26 aprile al cui interno era già prevista
la road map sanitaria per uscire dalla pandemia.
Ma il Ministero entra più nello specifico e dettaglia punto per punto cosa le Regioni devono tenere d’occhio. E qualora gli indicatori sforassero i parametri, attraverso un complicato meccanismo basato su due algoritmi, potranno scattare gli alert con il rischio di nuovi lockdown.
Gli indicatori.
Il primo set riguarda la capacità di monitoraggio stessa delle Regioni. Esse dovranno essere in grado per esempio di monitorare almeno il 60% dei casi sintomatici notificati, di quelli ricoverati in ospedale e terapia intensiva e anche minimo il 50% delle checklist somministrate settimanalmente alle Rsa.
Il secondo gruppo di indicatori riguarda la capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti.
Per esempio tra l’inizio dei sintomi e il tampone dovranno passare al massimo 3 giorni. Poi ci dovrà essere un numero adeguato di personale per il servizio territoriale dedicato al contact-tracing, e di quelli dei laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento.
“Sulla base delle stime dell’ECDC – sottolinea il Ministero - per garantire in modo ottimale questa attività essenziale dovrebbero essere messe a disposizione nelle diverse articolazioni locali non meno di 1 persona ogni 10.000 abitanti includendo le attività di indagine epidemiologica, il tracciamento dei contatti, il monitoraggio dei quarantenati, l’esecuzione dei tamponi, preferibilmente da eseguirsi in strutture centralizzate (drive in o simili), il raccordo con l’assistenza primaria, il tempestivo inserimento dei dati nei diversi sistemi informativi”.
Il terzo gruppo di indicatori riguarda invece la stabilità di trasmissione e la tenuta dei servizi sanitari. Tra questi si prevede che il numero di casi negli ultimi 14 giorni sia con un trend settimanale in diminuzione o stabile.
Poi c’è il dato sull’indice di trasmissione del virus Rt che dovrà essere al massimo 1 per non far scattare l’allarme.
Inoltre vi dovrà essere l’assenza di nuovi focolai nella Regione (da tenere d’occhio soprattutto le Rsa). Indicatori da tenere d’occhio anche quello del numero di accessi al PS con quadri sindromici riconducibili a coronavirus, nonché il tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva per pazienti COVID-19 (che dev’essere inferiore al 30%) e il tasso di occupazione di dei posti letto totali di Area Medica per pazienti COVID-19 (che dev’essere inferiore al 40%).
Tutti questi indicatori confluiranno poi in due algoritmi da cui si potranno desumere le aree a rischio. “Una volta accertata la qualità del dato – si legge nel decreto - si procederà ad una valutazione del rischio, definito come la combinazione della probabilità e dell’impatto di una minaccia sanitaria. È possibile analizzare separatamente queste due condizioni per poi valutare il rischio complessivamente. In questo contesto specifico, la minaccia sanitaria è costituita dalla trasmissione non controllata e non gestibile di SARS-CoV-2, e si valuterà quindi il rischio legato alla probabilità di infezione/trasmissione in Italia e all’impatto, ovvero la gravità della patologia con particolare attenzione a quella osservata in soggetti con età superiore a 50 anni”.
Luciano Fassari