Gentile direttore,
le cronache sono zeppe di episodi che narrano di aggressioni ad operatori sanitari. Siamo al cospetto di un’autentica emergenza e non c’è altro termine per definirla. Ad oggi sono oltre tremila i casi di aggressione a operatori sanitari registrati in media ogni anno. Dati sottostimati perché in Italia il fenomeno delle aggressioni fisiche e verbali nella maggior parte dei casi non viene intercettato e non sono previste procedure specifiche e formalizzate di rilevazione e segnalazione.
E’ un dato di fatto che lavorare nei Pronto Soccorso, in corsia o negli studi ed ambulatori territoriali, oggi, equivale a lavorare in trincea. Un autentico campo di battaglia nel quale rimane sempre accesa la miccia del pregiudizio. Un pregiudizio figlio della scarsa fiducia generata da decenni di gestione deficitaria della sanità pubblica, che ha lasciato maturare nel cittadino l’idea che l’assistenza preveda poche e certe criticità: un’eterna attesa, una presa in carico non adeguata e un trattamento poco coerente con i sacrifici di un contribuente.
Non è così e lo sappiamo. Sappiamo che chi lotta, perché di lotta si tratta, nelle sale di un Pronto soccorso o di un qualunque reparto, facendosi in quattro per garantire una qualità dell’assistenza degna di un Paese come il nostro, deve fare i conti con limitazioni strutturali ed organizzative, con personale ridotto al lumicino, costretto a svolgere il lavoro di più operatori, dovendo fronteggiare nel contempo un sistema incapace di eseguire un giusto filtro per gli accessi in ospedale laddove molte Regioni hanno mancato di potenziare i presidi territoriali, di evolvere le cure primarie, di istituire le cure intermedie, per garantire la continuità delle cure a tutti i cittadini e per garantire la presa in carico in setting appropriati dei pazienti cronici, iniziative fondamentali anche per evitare il sovraffollamento dei nostri nosocomi.
I nostri medici, i nostri infermieri, i professionisti sanitari e gli operatori socio sanitari tutti, nonché i preziosissimi volontari, operano davvero in trincea e lo fanno sempre a testa alta e con encomiabile spirito di sacrifico, consapevoli dei rischi che corrono durante ogni momento della loro giornata.
E’ un paradosso. Rischiare la vita per salvarne altre. Rischiare la vita perché chi doveva programmare non è stato all’altezza del suo ruolo.
Esercitare una professione in ambito sanitario in Italia vuol dire sopperire alle ataviche carenze di personale, significa lavorare avendo a disposizione una strumentazione non sempre adeguata, spesso obsoleta. Vuol dire, sovente, operare tra le mura di edifici fatiscenti o di vecchie tipologie di edilizia sanitaria. E dover fare i conti con turni massacranti e straordinari che sono oramai ordinaria amministrazione.
A risentirne di questo clima di sfiducia e di paura è, alla fine, l'intera collettività che riceve un servizio peggiore.
Ecco perché a noi ora spetta dare una risposta politica concretizzata nel
disegno di legge 867, fortemente voluto dall’allora ministro
Giulia Grillo.
Il provvedimento in dettaglio.
L'articolo 1 del disegno di legge, inserito alla camera, prevede definisce l’ambito di applicazione alle professioni sanitarie individuate dagli articoli 4 e da 6 a 9 della legge 11 gennaio 2018, n. 3, e quali professioni socio-sanitarie quelle individuate dall'articolo 5 della predetta legge.
L’articolo 2 prevede l'istituzione presso il Ministero della salute di un osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie che comprenderà rappresentanti delle Regioni, dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), dei Ministeri dell'interno, della difesa, della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, rappresentanti degli ordini professionali interessati, delle organizzazioni di settore e delle associazioni di pazienti, delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale e dell'INAIL.
L'articolo 3, inserito alla Camera, prevede la promozione dell’informazione attraverso la realizzazione di progetti di comunicazione istituzionale.
L’articolo 4 inserito in sede redigente in Senato, modifica l’articolo 583-quater del codice penale estendendo ai casi di lesioni personali gravi o gravissime cagionate a personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria o a incaricati di pubblico servizio, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio presso strutture sanitarie o socio-sanitarie, pubbliche o private, le pene aggravate previste per le corrispondenti ipotesi di lesione cagionate ad un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive. Tali pene sono costituite dalla reclusione da quattro a dieci anni per le lesioni gravi e da otto a sedici anni per le lesioni gravissime. Si ricorda che, invece, in via generale, per le lesioni gravi e gravissime (come definite dall'articolo 583 del codice penale) si prevede, rispettivamente, la reclusione da tre a sette anni e da sei a dodici anni (ai sensi del medesimo articolo 583).
L'articolo 5, inserito al Senato, inserisce tra le circostanze aggravanti comuni del reato l'avere commesso il fatto con violenza o minaccia in danno degli esercenti le professioni sanitarie o socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni. Tale circostanza aggravante va ad integrare quanto previsto all'articolo 61 del codice penale, in caso di fatti commessi contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio, in considerazione del fatto che non tutte le strutture sanitarie (o socio-sanitarie) sono riconducibili alla sfera pubblicistica penale.
L'articolo 6, inserito in sede redigente al Senato, modifica gli articoli 581 e 582 del codice penale, prevedendo anche per i reati di percosse e lesioni personali sempre la procedibilità d’ufficio in caso di aggressioni a danno di personale sanitario.
L'articolo 7, inserito in sede redigente alla Camera, prevede l’obbligo di costituzione di parte civile alle aziende sanitarie, alle pubbliche amministrazioni e alle strutture e servizi sanitari, socio-sanitari e sociali pubblici, privati o del privato sociale, nei processi di aggressione nei confronti dei propri esercenti le professioni sanitarie, socio-sanitarie o sociali nell'esercizio delle loro funzioni.
L'articolo 8, inserito alla camera, prevede di inserire nei piani per la sicurezza specifici protocolli operativi con le forze di polizia, per garantire interventi tempestivi.
L’articolo 9, inserito alla Camera, istituisce la «Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari», per sensibilizzare la cittadinanza ad una cultura che condanni ogni forma di violenza, da celebrare annualmente in apposita data da fissare con apposito decreto.
L’articolo 10, inserito in sede redigente alla Camera, prevede una sanzione amministrativa da 500 a 5.000 euro per chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive, ovvero moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o socio sanitaria o di incaricati di pubblico servizio presso strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche o private.
L’articolo 11 reca le clausole di invarianza finanziaria.
Grazie a questa legge il nostro sistema normativo potrà così dirsi perfezionato, tramite misure che costituiscono sia contrasto che deterrente contro il perpetrarsi dei fenomeni di violenza. Il M5S ha portato avanti questa battaglia per due anni, coinvolgendo tutti gli attori in campo attraverso un lungo ciclo di audizioni che ha portato all’integrazione del testo base con misure ritenute essenziali dagli operatori sanitari, prima tra tutte la procedibilità d’ufficio.
Questo intervento normativo estende a tutte le professioni sanitarie le tutele previste per il Pubblico ufficiale, senza generare un impatto irrazionale nel nostro sistema penale che non contempla l’attribuzione dello status di pubblico ufficiale per singole categorie. Il nostro ordinamento e le norme penali vigenti attribuiscono infatti la qualifica di pubblico ufficiale in ragione della funzione svolta e non della categoria di appartenenza.
Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’art. 357 del codice penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Si ribadisce che ciò che qualifica il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio non è il carattere pubblico dell’ente nel cui ambito essi operano, né tanto meno l’appartenenza ad una specifica categoria, ma piuttosto l’attività concretamente svolta dal sanitario che, a seconda dei casi, potrà essere considerata una pubblica funzione o un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità. Sulla base di questo assunto, diverse pronunce giurisdizionali hanno infatti diversamente riconosciuto lo status di pubblico ufficiale a seconda dell’attività concretamente svolta, ad esempio il sanitario che procede alle visite fiscali, il medico che accerta la sussistenza dei requisiti pensionistici, quello che opera in qualità di perito o di consulente tecnico, il medico necroscopo al momento in cui accerta la morte.
Per questo vogliamo ribadire a chi critica la mancata equiparazione del personale sanitario alla qualifica di Pubblico ufficiale, che la legge contro le aggressioni, concede invece a tutte le figure sanitarie e socio sanitarie, compresi i volontari che operano in sanità, i vantaggi e le tutele del Pubblico ufficiale, grazie all'inasprimento delle pene per chi commette atti di violenza ai danni di medici e personale sanitario e grazie alla procedibilità d'ufficio.
Per rispondere con la massima urgenza a un tema importante come questo, le tutele sono state ampliate alla Camera a tutte le professioni sanitarie e socio-sanitarie in ogni luogo in cui si opera e questo proprio per garantire immediatamente a medici e personale sanitario maggiori tutele, garanzie e protezione.
Le polemiche sterili di qualche esponente di maggioranza derivano esclusivamente dalla delusione per non aver potuto inserire le proprie proposte di modifica ad un testo che in realtà è molto completo. In battaglie come questa però non ci sono medaglie da conquistare o bandierine politiche da apporre. Questa legge rappresenta un dovere politico ed etico, teso a salvaguardare l’incolumità di chi si impegna, ogni giorno, ogni notte, ogni momento, per garantire l’inviolabile diritto alla salute di tutti noi.
La sicurezza dei Medici e degli Operatori sanitari è sempre stata una nostra priorità per consentire ai professionisti della sanità di svolgere la loro attività in sicurezza in ogni circostanza e per dare loro la tranquillità di prendersi cura della salute delle persone. Siamo stati noi ad avviare questo percorso normativo che è stato approvato all'Unanimità in prima lettura al Senato e ora approderà in aula alla Camera.
Resta sottinteso, in ogni caso, il massimo impegno a realizzare una necessaria riforma della sanità pubblica tale da garantire le risposte al bisogno di salute espresso di cittadini nei setting assistenziali appropriati, evitando il sovraccarico dei Pronto Soccorso e degli Ospedali.
Maria Domenica Castellone, Commissione Igiene e Sanità, Senato, Movimento Cinque Stelle
Fabiola Bologna, Commissione Affari Sociali, Camera, Movimento Cinque Stelle
Valeria Ciarambino, Consiglio Regionale della Campania, Facilitatore Nazionale Sanità Movimento Cinque Stelle